willy-ronisMARIA CRISTINA SERRA | “La fotografia è l’emozione. Io ho la memoria di tutte le mie foto. Loro formano la trama della mia vita e talvolta mi danno il senso del trascorrere degli anni”. Così diceva il fotografo “umanista” Willy Ronis, cui il Museo della Monnaie di Parigi, sul lungo Senna, a due passi da Saint Germain des Près, dedica una retrospettiva

E’ “uscito di scena” proprio l’anno prima che la sua Francia gli dedicasse, come regalo di compleanno, una grande mostra retrospettiva per i suoi 100 anni. Se n’è andato discretamente, come aveva vissuto, chiudendo per sempre la tendina del suo obiettivo magico sul mondo, sulla realtà della gente semplice che sapeva vivere delle piccole gioie, che soffriva anche, ma lottava e sognava un futuro migliore. Un tuffo nel passato, questa mostra dedicata al “poeta dell’impegno”, il fotografo “umanista” Willy Ronis, al Museo della Monnaie di Parigi, sul lungo Senna a due passi da Saint Germani des Près, per riflettere sul presente, attraverso uno “sguardo” che sapientemente sa cogliere il sublime e l’imprevisto che la quotidianità nasconde.

Piccoli racconti di ogni giorno, che svelano significati esistenziali universali raccontati con semplicità, ma con perfetta geometria, la fusione delle ragioni del cuore con l’armonia del rigore stilistico.

“La fotografia è l’emozione”, diceva Ronis, scomparso a 99 anni l’11 settembre del 2009. Ed emozione, stupore, senso di appartenenza ad una memoria collettiva senza tempo, sono le sensazioni che si avvertono, percorrendo le piccole sale della Monnaie, che ha voluto onorare la lunghissima carriera artistica di questo “suo figlio”, nato il 14 agosto del 1910 da una famiglia di immigrati dall’Europa dell’Est, rifugiata a Parigi per scampare ai pogrom contro le comunità ebraiche.

La mostra dedicata ad uno dei rappresentanti più significativi della cosiddetta “fotografia umanista” (resterà aperta fino al 22 agosto), rappresenta una parte minima dell’immenso lascito di negativi, documenti, album e stampe, che Ronis donò allo Stato francese, frutto di 70 anni di attività. In 150 foto, suddivise per 5 sezioni, si possono conoscere i temi ricorrenti nella vita professionale di Ronis come: la vita di strada (soprattutto a Parigi), il mondo del lavoro e le sue lotte sindacali, i viaggi, i nudi femminili, l’intimità della vita familiare ed amicale.

“Io ho la memoria di tutte le mie foto. Loro formano la trama della mia vita e talvolta mi danno il senso del trascorrere degli anni”, raccontava Willy Ronis e sosteneva che “loro si rispondono, conversano, tessono i loro segreti”.

Figlio di un fotografo, che gestiva un piccolo studio a Montmartre, e di una pianista che arrotondava il modesto menage familiare impartendo lezioni di musica, Willy crebbe in una stimolante atmosfera artistica. Deciso a diventare violinista, studia musica fino al 1932, quando a causa di un’improvvisa malattia del padre deve sospendere gli studi per mandare avanti la “bottega” di fotografo. Diventa così un fotografo per “necessità, per un caso della vita”, come amava ricordare.

Ma la passione per la musica, il suo innato senso del ritmo e della composizione armonica guideranno il suo occhio dietro l’obiettivo a trovare sempre un’immagine “che sia un accordo riuscito”, creando delle vere e proprie “melodie per immagini”. Spiegava, infatti, Ronis che una delle sue fonti d’ispirazione costante era J.S. Bach per il rigore quasi matematico delle sue composizioni, l’arte della “fuga” e quel del “contrappunto”.

La celebre foto del 1959 delle Fondamenta Nuove a Venezia, scattata per la rivista Vogue, e che ritrae una bambina mentre attraversa leggera una sottile passerella, quasi sospesa sull’acqua, appena appoggiata sulla sponda, con i paletti in controluce e le architetture sullo sfondo, appare come una partitura musicale. Gli Amanti sul Pont Neuf di Parigi, del 1955, stretti l’uno all’altra, sembrano un canto a due voci. E così ancora la foto degli Amanti del Pont des Arts, del 1957, ripresi stretti in un tenero abbraccio, sotto la luce bianca dell’inverno, adagiati a bordo di una barchetta ormeggiata alla banchina della Senna, con il ponte che traccia un arco sullo sfondo, dà la sensazione di una lieve melodia da sottofondo.

Più potenti, invece, le note che accompagnano l’immagine degli Innamorati della Bastille (1957), in primo piano, appoggiati alla balaustra con i tetti di Parigi ai loro piedi, che abbinano l’amore al senso di vertigini. Come fosse di una suonatrice d’arpa è l’immagine che trapela dal ritratto del 1950 di un’operaia tessile, in una fabbrica dell’Alsazia (Haut Rhin), chinata davanti al telaio meccanico, intenta con delicatezza a riannodare un filo che si era staccato dal’immensa matassa bianca. “Era molto bella e il suo gesto pieno di grazia”, scriveva a questo proposito W. Ronis, ” e io pensai immediatamente ad un’arpista davanti al suo strumento”. Il mondo delle fabbriche, del lavoro, delle lotte operaie, dei minatori e delle condizioni disumane cui erano sottoposti, è ampiamente rappresentato nell’esposizione.

Non c’è mai pietà o commiserazione, anche nelle immagini più crude, come quella del minatore affetto da silicosi, foto del 1951, ritratto dietro ad un vetro col viso emaciato, gli occhi lucidi e lo sguardo perso, rivolto verso un infinito interiore, l’ennesima sigaretta in mano. Un “vecchio” di appena 47 anni, che si avvia con dignità e rassegnazione a morire da lì a pochi mesi. Il rispetto dell’umanità e la volontà di documentare guidano sempre l’occhio attento del grande fotografo “umanista e comunista” Willy Ronis, come lui stesso amava definirsi: ” Non ho mai resistito all’appello delle persone che vivono penosamente del loro lavoro. Ho frequentato molto l’ambiente e le associazioni operaie e, poco a poco, mi è venuta una coscienza politica. Senza dubbio le mie convinzioni trasparivano dalle mie foto”.

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