MARIA CRISTINA SERRA |  Un testimone sensibile della complessità del suo tempo e referente, per oltre 50 anni, degli scambi culturali fra Italia e Francia, cui l’Orangerie dedica fino al 29 luglio un’affascinante retrospettiva, dal 17 settembre al Mart di Rovereto. Fantasia creativa e rigore geometrico le sue caratteristiche fin dagli esordi

La Parigi classica, modellata sulle limpide prospettive che dal Museo del Louvre, con una idilliaca deviazione nell’oasi incantevole e appartata del giardino del Palais Royal, fra aiuole fiorite e zampilli di fontane, partendo dall’Arc de Triomphe du Carrousel, attraversa il parco delle Tuileries e arriva a Place de la Concorde. Una passeggiata che riposa gli occhi e arricchisce l’animo, parentesi di calma, che corre parallela alle arterie del lusso e della moda: Rue St. Honorè e Rue de Rivoli, per aprirsi sulla visione a pianta ottagonale della grandiosa Place de la Concorde, l’antica Place Louis XV, ribattezzata Place de la Revolution durante il “Terrore”, per arrivare poi a cogliere, alla fine del cammino, i frammenti e le illuminazioni degli spazi infiniti, rinchiusi nella “vertigine” di malinconiche trasparenze delle Ninfee di Claude Monet.

Raccolti su 8 pannelli decorativi di circa 4 metri l’uno, gli intrecci di piante acquatiche, simbolo duplice di carnalità e lievità dello spirito, emergono come ombre e colori riflessi nell’acqua , fra nebbie blu, verdi, rosa e giallo lucente o esangue, fasciando di magiche astrazioni le pareti delle grandi sale ovali al piano terra dell’Orangerie, come un monumento alla pittura senza tempo né confini spaziali.
La caducità umana, qui nell’intuizione dell’istante che trasfigura la materia, si sublima in eternità di essenza assoluta e immateriale. Lo spettatore, posto al centro di un accordo mirabile fra terra, acqua e cielo, avvolto dal flusso continuo di aria e luce, si può così abbandonare ai sogni e alle interpretazioni, cullarsi nelle proprie emozioni e diventare a sua volta parte della creazione.

Ci si avvicina, poi, in punta di piedi, alle spirali tracciate nell’aria dalle “Ballerine in blu”, metafora poetica di dinamismo universale, e all’acceso cromatismo e ai sussulti geometrici, infarciti di musicalità, del “Futurista-neoclassico Gino Severini”.
Il “più francese degli artisti italiani” del Novecento, cui l’Orangerie dedica un’affascinante retrospettiva, che ripercorre le tappe fondamentali della sua opera: dal Divisionismo al Cubismo, passando per il Futurismo (fino al 29 luglio, e poi dal 17 settembre al Mart di Rovereto).

“Sono nato a Cortona, lì si trovano le mie radici, ma intellettualmente e spiritualmente mi sento legato a Parigi”, confessava di sé Severini, artista eclettico dalla straordinaria disciplina formale, che l’accompagnò lungo tutte le sue stagioni, e dai virtuosismi cromatici. Divisionismo e Pointillisme aprono il percorso espositivo. Le prime immagini urbane, la dimensione sociale delle trasformazioni industriali sarà sempre una sua tematica, sono segnate da una pittura libera e ritmica, dal tratto “filamentoso”, che evidenzia i contrasti dei colori puri con effetti d’ombra. La “joie de vivre” e il senso di modernità, che gli ispira Parigi, lo condurranno progressivamente al Futurismo e poi al Cubismo. Il suo è un futurismo da “mediatore” fra l’avanguardia italiana e quella parigina; una “sintesi poetica” del mondo, che lo induce a mantenere la sua equidistanza e soggettività espressiva a metà strada con il Cubismo.

“Ricordi di viaggio” (1911) è un fantasmagorico fotomontaggio dove si compongono spezzoni di vita parigina e ricordi di paesaggi natii. L’ocra caldo della terra si mischia al giallo oro dei covoni di fieno, il verde degli alberi si intreccia con il blu delle architetture, gli ombrellini da sole coprono i visi delle signore, quelli degli amanti sfidano il frastuono urbano. Le carrozze s’incrociano con le locomotive, il movimento centrifugo comprime i sogni impossibili in una esplosione di colori. “Boulevard” è un mosaico di perfette armonie, di minuziose spezzettature geometriche con elementi figurativi dai toni caldi e freddi, scadenzati dal ritmo dei bianchi e dei neri, che si alternano come i tasti del pianoforte.

La “Danseuse”, rosa e gialla, è avvolta da un arcobaleno l’ “Espansione sferica della luce” dona pura energia cromatica. La “Dance de l’ours au Moulin Rouge” ha la gioiosa eleganza di un misurato sincretismo. Il” Treno blindato”, scompone il grigio metallico della guerra con tregue illusorie dai toni pastello. E per contrasto al dramma bellico, il ritorno alla pace è rappresentato dal ritratto della bellissima “Maternità”, che con la dolcezza delle forme segna il recupero della realtà visibile e figurativa. E’ l’idea di un classicismo, non come “ritorno all’ordine”, perché in lui non era mai avvenuta realmente una rottura con la natura, ma come riappropriazione della nostalgia, di un vissuto interiore, che lo condurrà poi a recuperare anche la tradizione della Commedia dell’Arte e la tecnica dei mosaici bizantini, nella parabola conclusiva di una eterogeneità, che rivendicherà con coerenza.