RENZO FRANCABANDERA | Al Teatro dell’Elfo di Milano Fibre Parallele, giovane compagnia pugliese, ha portato in scena, con buon successo di pubblico e operatori, il testo del drammaturgo Edward Bond, che (forse) racconta di rapporti familiari in un mondo senza memoria.
E’ un biennio di crescita e cambiamento quello che sta affrontando Fibre Parallele, il collettivo artistico di cui sono promotori i pugliesi Licia Lanera e Riccardo Spagnulo. In questi giorni ospite della rassegna di realtà pugliesi al Teatro Elfo Puccini a Milano, la giovane compagnia propone “Have I none”, una drammaturgia di Edward Bond che avevano presentato l’anno scorso a Roma per poi tenerla in standby a favore di Duramadre, lo spettacolo di recente presentato a Bassano e Terni.
La traduzione del testo di Ilaria Staino e la regia di Licia Lanera e Riccardo Spagnulo proiettano lo spettatore in un futuro inquietante, orwelliano, dove la memoria è una stimmata dell’inconscio, flebile lascito di fotografie e tracce, che affoga in un presente angosciante e surreale.
Questa dimensione psicotica e sardonica al contempo riesce bene agli interpreti, che, indossando tute che rendono l’umanità indistinta e indistinguibile, neutralizzano l’effetto della specificità individuale.
La trama è semplice: un uomo, James, provocatoriamente e intelligentemente interpretato da Licia Lanera, lavora come “ripulitore” di segni e memorie in una città dal tratto chirurgico, dove ogni traccia di presenza della Storia deve essere rimossa.
Di questa persona Bond racconta il vissuto domestico con la compagna Sarah, di fatto rinchiusa prigioniera in un ambiente casalingo che sa di gelida prigione. Riscaldati e di fatto illuminati da stufe, questi personaggi al confine fra la vita e la morte sviluppano una dimensione comunicativa surreale, che in alcune sequenze dialogiche ricorda lo Ionesco di Delirio a due. La Lanera proietta questa normalità paradossale addosso ad un operaio della classe popolare, che racconta dei suoi litigi col collega De Biase. Ma attenzione: questa dimensione di scarto sul reale non è una forzatura da teatro dilettantesco, ma un’interessante trovata della compagnia, per acuire il senso di straniamento che invece via via la storia trasmette.
Entra nella trama da subito una terza figura che si presenta come il fratello di lei, come un affresco strappato dalle pareti di una memoria che non ne riconosce più l’immagine. Questa figura, in realtà non è risolutiva rispetto al plot, che si sviluppa per irrisolti e dubbi, e finisce per essere un finto deus ex machina a tratti giustiziere, come il soldato di Blasted della Kane, a tratti giustiziato, come spesso capita nelle drammaturgie anglosassoni.
Pur non essendo il miglior testo di Bond, i due promotori di Fibre Parallele riescono a declinarlo con misura e intelligenza. Non può tacersi la prova d’attore della Lanera e l’allestimento fatto di alcuni interessanti simboli e poche ma forti immagini da psicanalisi dei rapporti familiari, in un gruppo umano che rimane in una eterna dimensione d’infanzia. Have I none è nel complesso un buon lavoro con gli indubbi pregi di cui abbiamo fatto menzione e qualche aggiustamento possibile in questa fase di ritorno e rodaggio sulla drammaturgia; come nel testo, così ovviamente nello spettacolo, manca a nostro avviso, nel cuore della pièce, un piccolo ganglo logico-emotivo: non qualcosa che spieghi l’inspiegabile o che lo banalizzi, ma che colleghi sul piano artistico la lettura concreta e quella onirica.
Forse si tratta di un’immagine o un passaggio di scena, forse di qualche battuta di cui il testo paga la mancanza: tutte cose di cui, con acume, la compagnia può sistemare la puntualizzazione, il classico bullone che, quando registrato, permette al motore di andare a pieni giri.

Un video dello spettacolo
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