BRUNA MONACO | Quasi uno spettacolo italo-tedesco l’ultimo di Fabrizio Arcuri. Italo-tedesca la produzione, tedesco il debutto, italiani gli artisti. Il testo è di Rainer Fassbinder più noto come regista cinematografico che per le sue drammaturgie. Das Blut am Hals der Katze il titolo originale, tradotto letteralmente in italiano con Sangue sul collo del gatto, una sorta di non-sense per uno spettacolo che parla dell’impossibilità di comprendere il linguaggio degli altri, gli altri. È un testo del ‘68, e dunque lontano dalla recente produzione dell’Accademia degli artefatti: il capitolo della drammaturgia contemporanea inglese (Crimp, Crouch, Ravenhill) che ha segnato una tappa importante nel percorso artistico della compagnia, sembra concludersi. E l’inversione di rotta era iniziata già lo scorso anno, con la messa in scena di Orazi e Curazi di Bertold Brecht.
In Sangue sul collo del gatto la questione omosessuale, a differenza della produzione cinematografica di Fassbinder, non è dominante. È la situazione di partenza, il presupposto drammaturgico ad attirare su di sé tutta l’attenzione: un extraterrestre è inviato sulla Terra per un’indagine sulla democrazia nel nostro paese. Nulla di politicamente rilevante emergerà però dal suo studio. Politicamente e socialmente irrilevanti le azioni dei nove personaggi che si incontrano e si scontrano sulla scena, nonostante le premesse e in parte le promesse. Da questo studio, anzi, non emergerà proprio nulla: quando Phoebe Zeitgeist (questo il nome dell’aliena che in tedesco significa spirito del tempo) arriva sul nostro pianeta il primo ostacolo in cui si imbatte è il linguaggio, riesce a decifrare le parole, ad imitarne il suono, ma le resta impenetrabile il senso. Gli occhi fuori dalle orbite, un’espressione spaesata e spaventata, le stanno come una maschera in viso dall’inizio alla fine del suo viaggio, del nostro spettacolo.
L’ostacolo è insuperabile, il linguaggio umano è per lei una membrana impermeabile, le impedisce di passare dalla forma al contenuto, dalsignificante al significato, dall’apparenza all’essenza di questa strana gente che avrebbe dovuto studiare ma non può che limitarsi a sbirciare. Ed è vasto il campionario umano che ha davanti e che si muove su una pedana circolare . Alla fine Phoebe Zeitgeist, pur non penetrando il senso dei discorsi degli umani, ne ricalca la forma e sul finale dialoga con gli altri riproducendo a caso spezzoni di frasi: le parole hanno un senso e a volte sono anche pertinenti, ma il risultato non cambia ed è l’incomunicabilità. L’incomunicabilità tra i diversi.
Fassbinder ha scelto il diverso per eccellenza, diverso per tutti, da tutti. Così, paradossalmente, chiunque può immedesimarsi con lei e sperimentare la scomodità d’essere considerato diverso: rispetto a un diverso così diverso, come solo un alieno può essere, donne e uomini, neri e bianchi, atei e religiosi, siamo tutti uguali, nessuno è discriminabile. Che poi la differenza la faccia il linguaggio e non, ad esempio, le sembianze fisiche, è rilevante dato che il linguaggio è (anche) convenzione e basta non rispettare le convenzioni, non capirle, per essere fatti fuori.
Sangue sul collo del gatto di Arcuri è uno spettacolo compatto, divertito e divertente, forse non acuto come altre prove di questo regista, ma testimone della sua capacità di uscire dai propri stessi stilemi artistici e misurarsi anche con un testo non certo facile.

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DRODESERA 2012 We Folk! – ACCADEMIA DEGLI ARTEFATTI “SANGUE SUL COLLO DEL GATTO” from Centrale Fies on Vimeo.