RENZO FRANCABANDERA | Attenzione al fermento nazionale ma anche alla dimensione locale. E’ questo il focus che da diciotto anni persegue la direzione artistica di Autunno Danza, rassegna ospitata a Cagliari negli spazi dell’ex Vetreria e che propone quest’anno un programma di rilievo (abbiamo rivisto con grande piacere Atlante del bianco di Virgilio Sieni, e nel prossimo fine settimana saranno sul palcoscenico Tagliarini/Deflorian).

Abbiamo intervistato Momi Falchi, della direzione artistica, per un dialogo sul cosa significa promuovere il linguaggio coreutico oggi.
–          Quali sono le determinanti delle scelte artistiche nella strutturazione della rassegna? 
L’interesse verso il linguaggio della danza contemporanea nella sua accezione specifica cioè  di ricerca e sperimentazione che, pur centrando nel movimento e nel corpo la propria attenzione, si pone in relazione  con altri mezzi espressivi e linguaggi artistici. Questo ci spinge alla definizione di una programmazione non a tema e non concentrata solo su un’unica estetica o filosofia teatrale ma al contrario di toccare stili e modelli molto differenti. In ogni edizione tentiamo di seguire alcune direttive costanti: – ospitare autori consolidati in modo da seguirne il percorso creativo; – dare uno sguardo verso il panorama internazionale, cercando di cogliere alcuni elementi specifici delle diverse provenienze; – produrre  un nuovo spettacolo di autori sardi e offrire il sostegno a un progetto che coinvolga  giovani artisti.
–          Autunno danza arriva alla sua diciottesima edizione. Che tipo di dialogo ha instaurato in questi anni con la collettività cagliaritana e sarda in generale? 
Non credo di essere presuntuosa affermando che ormai Autunno Danza rappresenta un appuntamento atteso da un pubblico, certamente non numerosissimo, ma costante e attento. La nostra attività si concretizza oltre che nell’organizzazione della rassegna anche nella produzione e della formazione dei giovani, compreso un intervento nella scuola pubblica, con il fine di diffondere la conoscenza della danza contemporanea. Negli anni ci siamo rivolti anche al resto della Sardegna, e da 2 edizioni partecipiamo alla realizzazione di un festival estivo nel paese di Sadali, cercando di superare la difficoltà di introdurre il linguaggio della contemporaneità in contesti culturali estremamente differenti e più rivolti al passato o alla pseudomodernità del modello televisivo.
– Proprio la parte finale della rassegna vuole guardare alle esperienze del territorio. Perché secondo voi la Sardegna da alcuni punti di vista comunica di sé ancora una dimensione quasi oleografica e non corrispondente allo stato della ricerca artistica sull’isola? 
In realtà nella parte di AD che si interseca con il festival SIGNAL abbiamo la presenza di un solo artista sardo, Enrico Tedde, che peraltro si è formato e lavora in un contesto internazionale. Credo che la Sardegna viva le conseguenze della riaffermazione di un’identità culturale che se da un lato nasce dalla necessaria rivendicazione di una specificità e autonomia, che storicamente è sempre stata negata, dall’altra corre il rischio di cadere in stereotipi e modelli obsoleti. Sono spesso le istituzioni o le realtà esterne che chiedono agli artisti sardi di produrre “sardità” cioè oggetti artistici connotati da archetipi legati ad un immaginario proveniente soprattutto dall’area nuorese e barbaricina. E’ molto complesso il lavoro dell’artista sardo contemporaneo, il cui problema è  rivendicare la propria libertà di scavare nella propria identità individuale e collettiva e di ritrovare quella base sostanziale che comunque spesso ha tanto in comune con l’essenzialità della produzione contemporanea.
–          Quali sono i progetti per l’anno prossimo e le prospettive di Spaziodanza? 
Primum vivere deinde philosophari!!!!!! Il primo progetto è quello di sopravvivere alle difficoltà del momento e cercare di non rischiare sul piano personale oltre i limiti accettabili. Poi ci sono una serie di progetti che vanno dal probabile al possibile all’utopico…continuare a organizzare un festival possibilmente con tempistiche razionali che ci permettano di progettare e programmare con un po’ di serenità; riproporre un festival estivo di danza urbana che già avevamo organizzato anni fa ma che siamo stati costretti a tagliare; creare un centro di danza contemporanea che programmi nel corso dell’anno intero e riesca a coinvolgere il pubblico dei giovani; supportare la creatività degli artisti sardi anche con l’intervento e le residenze di artisti provenienti da contesti internazionali. Non mancano le idee e neanche l’energia!