RENZO FRANCABANDERA | Esiste una parte del bello che non può essere raccontata. E forse il bello di suo non può essere raccontato davvero, perché quello che viene trasmesso all’esterno è il sentimento che esso genera, non l’astratto in quanto tale. Pensare poi di dover raccontare di questa sensazione in una delle forme più alte e cristalline a proposito di una performance in cui il protagonista per un’ora e un quarto racconta, in un assolo fra teatro e danza, di come le droghe lo abbiano tenuto in vita, è quantomeno prospettiva balzana per chi si accinge a scrivere.
Lo è perché dovremmo raccontare di una scena il cui perimetro è segnato da un migliaio di boccette di farmaci e null’altro, se non un tavolo dove il nostro performer giocherà di tanto in tanto con un paio di ciotole trasparenti al piccolo chimico e alcuni enormi sottovasi riempiti di un po’ d’acqua saponata. Dal soffitto, in un angolo in fondo a destra della scena una macchina che ad un certo punto inizierà a produrre schiuma artificiale. Questo quello che il pubblico vede, e ciò che risulta materiale, consistente. Nulla quindi di esteticamente significativo. Una luce fioca sbalza dal buio questa ipotetica stanza.
Ma è proprio questa la grandezza della mistura che la regia è capace di trasformare in dolcissima leggerezza. Si, perché tutto il resto è struggente, dolcissima e fragilissima leggerezza.
In scena il personaggio: le sembianze di un elfo sbagliato, di un puffo scienziato che ha scarpe, cappello e guanti bianchi, che rende pubblico il suo vissuto, affidato al corpo del ballerino e performer americano Antony Rizzi, assistente di Forsythe e già interprete per Jan Fabre e Jan Lauwers. Con Fabre in realtà la collaborazione è al settimo episodio e questo era nato come monologo, ispirato proprio alla vita di Rizzi, mentre solo dopo pare sia nata una parte fisica, divenuta poi per sublimazione danza.
Il fisico di Rizzi è magro ma non scavato. I suoi tratti sono scuri, con quel tipo di carnagione che lascia intuire la peluria ispida, mediorientale. Indossa una tuta scura che ricorda, senza esserlo, quella da operaio di cantiere. In realtà un involucro, all’interno del quale introietterà di tanto in tanto flaconcini, quasi a voler ricordare l’assunzione di farmaci.
Il testo: la parola di questo spettacolo è una parola che sa trovare la poesia nella chimica. Un’enumerazione da breviario di farmaci, uniti a descrizioni medico-oniriche di reazioni sul corpo di un soggetto dalla presenza fragile ma lucidamente consapevole, e dei riflessi sul sociale del suo essere al mondo.
Nulla che spieghi o ambisca a provare come il farmaco faccia sentire diversi, o renda forti, migliori. L’assunzione di farmaci, qui, è una sorta di rimedio per riuscire ad ammantare di arte la miseria del mondo.
In realtà è il testo l’elemento cardine attorno al quale questo spettacolo ruota, dando corpo ad una potenza di immagini che via via si generano e che finalmente, dopo gli esiti scenici numericamente più affollati ma a nostro avviso non altrettanto ispirati degli ultimi 3-4 anni, riportano Fabre all’altezza della fama del genio.
Quest’omino, poi, pian pianino, nel raccontare la sua allegra follia tossica pone in ossimoro il suo universo leggerissimo e il mondo comune, raccontato attraverso  la parola drammaturgica capace di coloriture pop, con cui viene dissacrato il nostro tempo e i suoi slogan massmediatici; si contrappongono l’enumerazione clinica delle dosi e dei suoi effetti alla banalità del cosmo di non-relazioni che circonda di solitudine il vivere.
Si comporranno in scena, via via, galassie di bolle di sapone sempre più grandi. Tanto più quello cui assistiamo sembra sempre meno il delirio di un pazzo inconsapevole e sempre più la lucida voce di una parte di noi, del nostro io desideroso di occhiali tossici con cui guardare il mondo, tanto più grandi diventano queste bolle di sapone, fino ad ingoiare l’individuo Antony, che al pubblico si è presentato proprio con nome e cognome, e si racconta proprio come potremmo immaginare il racconto di un impasticcato genialoide, un po’ schizzato e poeta.
Bolle dolcissime, enormi, capaci di flutturare nell’aria, materializzazione dei pensieri tutt’altro che mortiferi dell’individuo che li porge allo spettatore. Bolle che si seguono, che si inglobano, che entrano l’una nell’altra, che si riempiono di fumo, con l’inconsistenza che si somma all’inconsistenza e che si infrange sulla materialità del reale. E lui intanto parla, tace, danza.
Più il fiume in piena di questo puffo bianco, magro, con gli occhiali neri grandi scorre, più i virus del nostro mondo (cui con idea geniale viene dato corpo dal performer con batuffoli di quella schiuma che la macchina ha nel frattempo prodotto) diventano la realtà, la sconcia personificazione delle nostre brame, delle nostre guerre, del nostro insulso vivere.
E’, quello del protagonista, un rifugiarsi dalla vita o è forse la cura per leggere in una forma alta e psicoticamente elegante un destino di morte che lo accomuna all’homunculus vulgaris vulgaris?
La risposta è nell’incredibile finale, in cui una serie di macchine, che sparano da fuori scena migliaia di bolle di sapone, pongono fine al bombardamento dell’esistenza e portano questa anima in un paradiso che non è il paradiso artificiale del tossico, ma il sogno d’arte e leggerezza di ogni umano. La bolla, emblema di fragilità, che Varrone per primo accomunò all’uomo, all’esordio del primo libro del Rerum Rusticarum Libri Tres, aforisma ripreso e reso celebre da Erasmo nei suoi Adagia, è il ritratto dell’umano, ma anche del sublime. Miserabile umanità e sublime fragilità questo spettacolo li fonde e  al termine di una colossale pioggia di bolle di sapone, che riempie l’universo scenico, le luci si affievoliscono, fino a ridursi ad un puntatore, che inquadra la testa di Antony Rizzi poggiata sul tavolo. Lui e la sua vita che ha ispirato tutto. Lui con la sua testa calva poggiata sul tavolo come un piatto, ultima parte del corpo visibile, ultimo chiarore nel buio, ultima Bolla. Poi dissolvenza. Oscuro. Capolavoro.
Di seguito un video con alcune immagini dello spettacolo

[youtube http://www.youtube.com/watch?v=3gFT3nx7hwY]