RENZO FRANCABANDERA | E’ la 30ima edizione, quella in ricordo di Paola Leoni, storica fondatrice della rassegna. Find per ricordare una delle figure più eminenti dell’arte coreutica in Sardegna, sta proponendo al suo pubblico un programma davvero speciale, con le compagnie di danza nazionali e internazionali che l’artista isolana aveva più care.
Dopo ULTIMA VEZ, diretta dal genio artistico Wim Vandekeybus, e VERA STASI di Silvana Barbarini, con lo spettacolo “Parole per Musica”, abbiamo dato testimonianza del ritorno in Sardegna di JAN FABRE, con la compagnia Troubleyn (nel 2005 presentò Angel of Death alla XXIII edizione del festival). Il lavoro ci aveva colpito per la straordinaria leggerezza e dolcezza con cui nello spettacolo “Drugs kept me alive” il performer Antony Rizzi riusciva a raccontare il suo mondo visionario e intimo allo stesso tempo.
Pensavamo di aver raggiunto il massimo dell’esito estetico ma siamo stati ancor più sorpresi nell’assistere lo scorso fine settimana al lavoro della compagnia svizzera CIE LINGA, diretta dagli ex allievi del grande Maurice Bèjart, Marco Cantalupo e Katarzyna Gdaniec.
Si è trattato di  due coreografie, proposte qui in prima nazionale, proprio come omaggio di Cantalupo alla memoria della Leoni, al Teatro Auditorium Comunale in piazza Dettori a Cagliari.
“WE ARE NOT I” e “STEP 2.1”, sono due pezzi profondamente diversi. Il primo un quasi assolo, il secondo un lavoro più composito, che si avvicina maggiormente agli stimoli che all’arte arrivano dall’implementazione delle nuove tecnologie.
Una straordinaria Ai Koyama (e Gerald Durand)  sulle musiche di Philippe Jeck, coprodotto dall’Octogone Théâtre de Pully, dà in questo lavoro corpo ad un’indagine sugli stadi di equilibrio emotivo dell’essere umano. Su cosa si adagiano le nostre certezze, i nostri dissidi, i tremiti e i fremiti del nostro io? Quale sequenza mai continua di azioni e pensieri dà senso al vivere? A quale albero possiamo davvero intrecciare i rami dell’esistenza.
La quasi mezz’ora di performance di suo è irraccontabile, perché in questo tempo la danzatrice riesce a regalare una gamma sentimentale al pubblico domando ogni singolo muscolo del suo corpo, partendo da epifanie stop and go dell’inconscio, per poi rivelare pian pianino una sorta di superiore nudità, intesa come disvelamento. La seconda parte sarà giocata con otti piccoli cilindri trasparenti, di diametro non superiore ai dieci centimetri, illuminati alla base da fioche luci led.
Su questi supporti di poca stabilità, la grandissima Ai Koyama adagiava il suo corpo come la Maya desnuda, alla ricerca di uno sguardo esterno, però diverso da quello del voyeur. Nessun ammiccamento, nessun pensiero recondito, ma proprio l’intima comunicazione del proprio stato, vissuto non come partecipazione condivisa. E d’altronde è il titolo stesso forse a chiarire l’arcano artistico, quell’idea che il noi non implichi la pienezza dell’io, una circostanza che riesce ad essere postulata tanto nel sociale quanto nell’affettivo. L’io vive come una divinità insicura, adagiata su piccole instabilità dalle quali fa bella mostra di sé, nella costante ricerca di un equilibrio forse non raggiungibile. Questo frammento sia dal punto di vista coreografico che di esecuzione è un capolavoro assoluto. Imperdibile.
“STEP 2.1” il secondo lavoro proposto – altra coproduzione con L’Octogone Théâtre, con Belenard Azizaj, Gerald Durand, Ai Koyama, Dorata Łecka, Hyekyoung Kim, Michalis Theophanous,   musiche di Christophe Calpini e sistema interattivo di Alain Crevoisier – è invece un trionfo dell’arte bionica, della techno danza.
Grazie ad apparecchiature wireless capaci di monitorare il movimento e trasformarlo in codice sonoro, i danzatori possono traducevano l’avanti e l’indietro, l’alto e il basso, la destra e la sinistra in possibilità nell’universo delle vibrazioni foniche.
I performer vestono da atleti, vogliono quasi ricordare la collaborazione fra l’Istituto delle Scienze Sportive dell’Università di Losanna, la Scuola Superiore di Musica di Ginevra, la Future Instruments, la Biopac System Inc. e con il compositore Christophe Calpini che ha dato il via all’esperimento. A vent’anni dalla sua fondazione, la Compagnia Linga mostra una maturità e una capacità creativa non solo consolidata ma anche coerente, tanto coerente da esser capace di lasciar leggere chiaramente le citazioni e i rifermenti agli artisti e alle arti con cui si pone in dialogo.
Forse più algido del primo esito, perché ancora in fase sperimentale, “STEP 2.1” è uno studio che rende evidente il linguaggio. Ora il linguaggio deve liberare la poesia, superando il codice generatore, lasciando sullo sfondo la grammatica, che in’arte è sempre e solo un pre-testo.
E’ invece dedicato alla danza italiana questo fine settimana con il BALLETTO DI SPOLETO, diretto da Caterina Genta e Marco Schiavoni, che presenterà lo spettacolo “Sette Coreografi per il Balletto di Spoleto”. Sette brevi spettacoli con sette paternità diverse, per inglobare in un’unica struttura sette modalità artistiche di raccontare una storia e la compagnia sarda ASMED-BALLETTO DI SARDEGNA padrona di casa, in scena con due spettacoli: “The Box”, in prima assoluta, sotto la direzione del coreografo Max Campagnani, e “Uomini”, di Guido Tuveri, rappresenta uno spaccato dell’universo maschile contemporaneo avvalendosi di linguaggi differenti (teatro, canto e arte circense) che si uniscono alla danza.