Teatro Alkaest, Alberica Archinto, Rossella Tansini. Presenze costanti per chi conosce il teatro di Milano, operatori appassionati dell’arte della scena, da anni impegnati a cercare, produrre, realizzare.
E’ da queste sensibilità che nasce Stanze, una rassegna iniziata l’anno scorso a Milano, e che si è ricavata, in questo spicchio d’autunno mentre le stagioni teatrali si iniziano ad animare, uno spazio proprio.
Abbiamo incontrato Rossella Tansini e Alberica Archinto.
Siamo quasi in dirittura d’arrivo con questa prima stagione di Stanze. Cosa ha significato questo progetto per Milano?
In una città abitualmente un po’ pigra e abitudinaria una corrente di novità che il pubblico ha percepito. E anche l’ambizione, per una volta, di esserci misurati con la realtà europea.
Ci date qualche numero?
Abbiamo invitato cinque compagnie. Ognuno ha replicato tre volte per un totale di quindici repliche in quindici case diverse, più lo spettacolo previsto alla discoteca Sogemi per il Festival dei beni confiscati alla mafia. Il pubblico possiamo quantificarlo in circa 600 presenze, calcolando una media di 40 spettatori a sera ed escludendo quello intervenuto alla discoteca. Decine gli interventi della stampa, nei quotidiani e nelle riviste, nel web, alla radio e in televisione.
Il luogo “casa” secondo me ha due risvolti fondamentali nel proporsi come luogo teatrale: il primo riguarda proprio le possibilità sceniche e ambientali, la seconda invece la vicinanza col pubblico. Su quest’ultimo tema che riscontro avete?
E’ stato l’aspetto più sorprendente: abbiamo visto la gente piangere, ridere, restare scossa e impressionata, come è accaduto per l’ultimo spettacolo della rassegna, Prodigioso delirio con Mario Sala diretto da Lorenzo Loris, o piacevolmente coinvolta e divertita come è accaduto con i Marcido Marcidorjs. E poi, con soddisfazione, molta gente è tornata per vedere altri spettacoli.
Negli ultimi anni sono molti gli spettacoli proposti in diverse rassegne che si sono svolti in casa. Da Cuocolo Bosetti fino appunto agli spettacoli che la vostra rassegna ha ospitato. Ma non dimentichiamo neanche l’iniziativa a Como l’anno scorso. Perché secondo voi?
La casa, pur offrendo spazi raccolti, in realtà spalanca orizzonti più ampi, sia per chi, come noi organizza e che si trova a operare con maggiore libertà, sia per chi realizza lo spettacolo che “naturalmente” dispone di maggiori spazi creativi.
Quella del circuito del teatro in casa è secondo voi una via sostenibile dal punto di vista economico? Cioè, può mantenersi in piedi da solo o c’è sempre da sperare in un sostegno economico integrativo? Quanto dovrebbe essere grande un circuito “nazionale” di case per proporsi come circuito vero e proprio?
La sostenibilità economica è la grande scommessa. Noi abbiamo avuto, per l’avvio, il sostegno fondamentale di Fondazione Cariplo e per il prossimo anno si è dichiarato disponibile anche il Comune di Milano. Per la prima edizione si è deciso di fare pagare unicamente una tessera associativa e ci ha sostenuto una formidabile squadra di padroni di casa che ha servito cene deliziose per tutti. Per il prossimo ciclo prevediamo un biglietto di 5 euro oltre alla tessera associativa. Difficile ora prevedere gli sviluppi futuri. Ci consideriamo ancora in fase di studio e aspettiamo il banco di prova della prossima edizione. Stessa risposta interlocutoria per il circuito nazionale. E’ evidente che più si allarga il giro più aumentano i vantaggi, su tutti i fronti e questo ci induce a un inguaribile atteggiamento positivo. Del resto contatti con altre città italiane sono già in atto. Oggi è comunque difficile prevedere cifre precise: il momento economicamente duro magari non aiuta, ma davvero crediamo che non sia impossibile auto-sostenersi.
E ci sentiamo di chiudere con una nota di ottimismo: non c’è stata casa dove siamo entrati, attore o gruppo coinvolti, pubblico e padroni di casa che non siano stati contagiati da una ventata di entusiasmo, da un più consapevole atteggiamento di partecipazione.