serata a colonoBRUNA MONACO | La serata a Colono, unico testo teatrale di Elsa Morante uscito nel ’68 e “acquattato”, secondo la definizione di Ferdinando Taviani, fra le pagine letterarie de Il mondo salvato dai ragazzini, sbarca per la prima volta sul palcoscenico. È Mario Martone a farsi carico di questo impervio compito: costringere le poesia della Morante a farsi corpo e voce d’attori. Martone insieme al vecchio amico di Elsa Morante Carlo Cecchi, che da vent’anni progetta questa messa in scena e oggi finalmente interpreta questo Edipo contemporaneo.
La serata a Colono è un testo difficile e affascinante, con la fama d’essere irrappresentabile. Un testo dalle didascalie che per nulla tengono in conto le esigenze sceniche, che ignorano (o rifiutano) il vocabolario teatrale e si servono di ogni mezzo letterario per raggiungere l’immaginazione del lettore, trasformando in parole immagini in-visibili, irrappresentabili. E infatti lo spettacolo inizia proprio con delle parole scritte, proiettate sul fondo scena. Sono quelle della didascalia che apre il testo della Morante, “verso sera, in un dolce tiepido novembre, intorno all’anno 1960”. Difficile attingere al vocabolario teatrale e comunicare allo spettatore questa sensazione di tepore, così tangibile, invece, nelle parole della Morante. Ancor più difficile, forse, trasformare l’ampio palco del Teatro Argentina nel corridoio “imbiancato a calce” di “undici metri per tre”. Un corridoio, un luogo di transizione, un luogo non-luogo, quasi impossibile da materializzare. Già appare, in tutta la sua complessità, la sfida raccolta da Martone. Quella che la Morante lancia al teatro.
Lo spazio scenico scavalca il palco dell’Argentina: il coro frantumato dei ricoverati del reparto neuro-deliri si muove lungo i corridoi che separano le poltrone degli spettatori. Monologano, ognuno chiuso in se stesso, e di tanto in tanto intervengono ad amplificare una parola, un gemito del moribondo Edipo. A un angolo del palco due musicisti “fanno suonare” la scena, come da indicazione della Morante. Eseguono la partitura originale di Nicola Piovani che vuole “illuminare il senso ritmico” della metrica del coro.
Ma di luce ce n’è poca in questa messa in scena di Martone: le musiche sono cupe e solenni, cupi e solenni sono il coro e lo stesso Carlo Cecchi, il cui tono costante e declamato appesantisce un Edipo che Pasolini aveva acutamente definito un “gigione”. E un gigione doveva apparire, uno da mettere anche in burla. Da non prendere sul serio, pena l’incapacità di far emergere ciò che rende magico questo testo. Ovvero, come scriveva sempre Pasolini: l’umorismo come carità. D’altronde La serata a Colono dichiara di non essere una tragedia: parodia recita il sottotitolo scelto da Elsa Morante. E neppure di questo v’è traccia nello spettacolo visto all’Argentina. Anche la prosodia lenta e impacciata con cui Antonia Truppo dà voce ad Antigone, se da una parte rende l’immagine di una creatura “di mente un poco tardiva”, dall’altra affatica l’ascolto di un testo che forse guadagnerebbe nello scorrere veloce, senza indugi, con una dizione fresca e spensierata, ironica, che si avvicini alla scrittura.
C’è il sospetto che tutto, in questo testo della Morante, andrebbe preso non con la serietà di Martone e Cecchi ma come una provocazione, una festosa rivolta. E non solo perché, per quei misteriosi accordi tra i poeti e lo spirito del tempo, Il mondo salvato dai ragazzini uscì nel ’68. Ma perché la Morante lo ha inteso come un antidoto contro l’“infezione dell’irrealtà”. Il fantastico e l’invenzione si contrappongono alla pretesa realtà di tutti i giorni, ovvero alla sua manipolazione retorica che per realtà si spaccia. E per questo il filo rosso che lega le parti di questo libro è un ritornello sovversivo: “pure se ci fa tremare per gli spasmi e la paura, tutto questo, in sostanza e verità, non è nient’altro che un gioco”. Il gioco del teatro, anche.
Forse davvero La serata a Colono è un testo inadatto alle scene, un invito al lettore a farsi sognatore di parole, come diceva Baudrillard. Elsa Morante chiede al lettore di vedere il teatro tra le pagine, così come Bulgakov in Romanzo teatrale invitava a vedere tra le pagine un pianoforte. O forse, semplicemente, a essere inadatta è una riproposizione troppo fedele di un testo pensato per essere letto. Sotto l’influsso di volere rendere omaggio alla memoria della Morante, è mancato forse il coraggio di un tradimento necessario: la forza di rielaborare, riadattare. Perché La serata a colono, più che letteratura drammatica, è letteratura tout court. Così alta da farci sentire dentro un teatro. Il teatro dei sogni di Elsa. Quello dove è possibile anche, come recita una didascalia, sentire tutte le voci del mondo che parlano insieme. Quello che doveva restare acquattato, sorprendere il lettore. Un gioco segreto. Ecco cosa aveva predisposto per noi la Morante: trascinarci, nella solitudine della lettura, sulle tavole del teatro dei sogni proprio mentre credevamo di leggere un libricino di poesie destinate ai ragazzini.

il link a un saggio di particolare interesse su La serata a Colono
Alcune sequenze dello spettacolo in un video realizzato da Teatro di Roma
[youtube http://www.youtube.com/watch?v=iXMiTW7aU4s]

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