Guillem-6000milesBRUNA MONACO | Enfant prodige della balletto classico francese, a soli sedici anni Sylvie Guillem faceva già parte del corpo di ballo dell’Opéra di Parigi, e a diciannove era l’étoile, la più giovane mai vista, della compagnia. Ora Sylvie Guillem è una delle più significative rappresentanti del danza classica dei nostri tempi. Ballerina acclamatissima e amata che allo scoccare dei quarant’anni, con un’audacia e una curiosità invidiabili, decide di abbandonare il mondo noto e scandagliato del classico, per sperimentarsi nella danza moderna e contemporanea. Dal 2005 a oggi ha lavorato con coreografi come Akram Khan e Russell Maliphant a spettacoli che hanno incontrato un gran favore di pubblico e critica, come dimostra il fatto che sono ancora in tour per l’Europa.

Oggi, a quarantasette anni, è con 6000 Miles Away che Sylvie Guillem si presenta al pubblico del Parco della Musica di Roma. Il titolo è un omaggio alle vittime del sisma che nel marzo del 2011 colpì il Giappone. Nell’ora del disastro Sylvie Guillem era a 6000 miglia da Fukushima, a Londra, e creava Rearray con William Forsythe. Rearray è una delle tre parti che compongono questo 6000 Miles Away. Un duetto che vede in scena, accanto alla bravissima Guillem, Massimo Murru, anche lui danzatore di formazione classica.

Rearray è un brevissima pièce altamente intellettuale: mentre gli interpreti lavorano sull’equilibrio, il coreografo compone i corpi in modo che sia sempre avvertibile un conflitto, anche sottile. Si imitano ma si allontanano, sembrano infastiditi e attratti dalla presenza dell’altro. I costumi neutri e scuri per entrambi tendono ad annientare le differenze tra i corpi, a confonderli. Così fanno le luci, basse. La musica originale di David Morrow, apparentemente ignorata dai danzatori che eseguono movimenti precisi e raffinati senza seguirne gli accenti e le dinamiche, è in realtà determinante nell’evocare un contesto freddo e grigio, cerebrale. I suoi suoni brevi e irregolari, metallici. Sull’Arietta della ¬Sonata op. 111 di Beethoven si muove invece Sylvie Guillem nella pièce intitolata Bye diretta dal coreografo svedese di fama mondiale Mats Ek. Una Sylvie sbarazzina, quella proposta in questo spettacolo, in gonna corta e calzettoni.

Gioca con sé e con la propria immagine di sé (dentro e fuori di metafora) attraverso un ingegnoso monitor-finestra che la proietta ora sola, ora in mezzo alla folla. Fin dal titolo, Bye, si presenta come un piccolo estratto di diario, una pièce autobiografica che ritrae il futuro imminente di Sylvie Guillem, che a quarantasette anni, nonostante la tenacia e un corpo ancora flessuoso, vede avvicinarsi il momento del saluto alle scene e l’inizio di una nuova vita, da “persona comune”, fra le tante, fra la folla. Anche se il pubblico e gli applausi erano tutti per lei, 6000 Miles Away ha visto in scena anche due interpreti forse più giovani e meno famosi, ma sicuramente all’altezza della grande Guillem: Nataša Novotná e Václav Kuneš hanno eseguito la coreografia di Jiří Kylián danzando sulle note di Dirk P Haubrich. In 27’52’’ la musica è coinvolgente e segue il trasporto emotivo dei due danzatori: due amanti che si cercano, si trovano, si perdono. E forse proprio 27’52’’ il pezzo più riuscito, almeno sul versante della capacità comunicativa, ovvero della forza di attrarre e produrre senso anche in chi della danza non sia un fine conoscitore. In effetti Sylvie Guillem ha a volte il difetto di sfiorare il pubblico senza toccarlo, muovendosi al riparo di una raffinatezza carica sì di richiami in controcanto alla danza classica e alla sua biografia, ma che rischia a tratti di sfociare nell’algore della calligrafia.

Un estratto di 6000 miles away
[youtube http://www.youtube.com/watch?v=wDjc6jy7YSQ]

Sylvie Guillem qualche anno fa… nel Grand pas classique
[youtube http://www.youtube.com/watch?v=lRWcCRgW8MY&w=420&h=315]

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