Sacro-e-Profano-lowMARCELLA MANNI | In mostra fino al 2 giugno a Modena una selezione di lavori di Nam June Paik.
Nato a Seul nel 1932 e con studi al conservatorio di Tokyo, Paik si trasferisce in seguito in Germania dove alla fine degli anni 50 lavora con Karl-Heinz Stokhausen e ha occasione di conoscere John Cage. Il profondo legame con la musica ha segnato tutta la sua produzione artistica, all’insegna dell’improvvisazione e della sperimentazione mediatica. Viene quindi naturale il coinvolgimento fino dalle prime esperienze con George Maciunas e con i suoi incontri internazionali
a Wiesbaden, in Germania, che preludono alla costituzione del movimento Fluxus. E del fluire, della liquidità, verrebbe da dire oggi, Paik ha fatto una cifra stilistica, mescolando i confini tra le arti e rompendo gli schemi tecnici a favore dell’interscambio culturale.
La collaborazione con la violoncellista Charlotte Moorman si concretizza in numerose performance, oggetto il violoncello suonato, mimato, distrutto come in One for Violin in cui la Moorman, nel 1985, interpreta la oramai classica performance di Paik, di cui sono in mostra le tracce, la parti del violino in una scatola di plexiglass.

E giocare principalmente sul filo della musica viene facile quando ci si relaziona con i numerosi interventi che Paik ha compiuto in Italia, che lui ha sempre inteso, prima ancora di visitarla e di stabilirvi anche durature collaborazioni professionali, come la patria dell’Opera. Proprio l’opera rappresenta la summa di quello a cui un evento artistico può aspirare per Paik, un complesso e delicato equilibrio di musica, movimento e spazio, i capisaldi della “sua” arte elettronica. In pieno situazionismo l’arte per Fluxus diventa “arte divertimento” che deve essere “semplice, divertente e senza pretese” e “ desiderio di partecipare alla competizione dell’essere sempre un passo davanti agli altri, con l’avanguardia.” Negli anni fedele a questa linea, come testimoniano in mostra la Maria Callas (1993) ironica e affascinante, così come un simulacro di Giuseppe Verdi (1995) affidato a pianola, violino e l’immancabile monitor o un Luciano Pavarotti in forma di radio, lo humor autoironico di Fluxus è evidente nei robot, così come nelle video installazioni Sacro e profano, (1993) o una trasfigurata Venere di Botticelli con il volto di Hilary Clinton (1997).
A guadarli ora i suoi robot, le sue macchine video-sonore, si leggono tracce di una tecnologia senz’altro superata nei mezzi, ma assolutamente contemporanea nella poetica e nell’esplosione creativa. La tecnologia è per Paik prima di tutto uno strumento per diffondere l’arte, un’indagine che si compie sia in termini spaziali che temporali.
Ma sono la televisione, il video prima e la videocamera poi che permettono a Paik di sperimentare con l’immagine in movimento, che si trasforma in un caleidoscopio di potenzialità. Le prime performance di Paik sono legate al video e lavorano con un ready-made, cioè con materiale già girato, mettendo in scena la distorsione, il disturbo, ottenuti semplicemente attraverso l’uso di una calamita vicino al tubo catodico. Con la diffusione delle videocamere portatili il lavoro di Paio conosce evoluzioni e sperimentazioni che può affidare in prima istanza al girato, per poi aprirsi a successive modifiche.
La sua performance del 1984, il primo dell’anno, in cui ha messo in scena Good Morning Mr Orwell, una trasmissione live tra New York, e Parigi, collegata alla Germania e alla Corea del Sud, è quello che può essere definito un villaggio globale dell’arte.
E proprio Marshall McLuhan nel 1964 in Gli strumenti del comunicare scrive “La TV è un medium che respinge le personalità marcate e preferisce presentare procedimenti di lavorazione piuttosto che prodotti perfettamente finiti”. A quasi cinquant’anni di distanza il dibattito filosofico e estetico sull’immagine in movimento è tutt’altro che chiuso.

Un interessante video sulla mostra, disponibile sul canale youtube di ArtistaViaggiatore www.ilogo.it
[youtube http://www.youtube.com/watch?v=r7IYkLoyEXo]

Nam June Paik in Italia
A cura di Silvia Ferrari, Serena Goldoni e Marco Pierini
Fino a 2 giugno 2013
Galleria Civica di Modena
Palazzo Santa Margherita
www.gallericavicadimodena.it