Foto: Alessandro Scotti PhotographyALICE KELLER | “Gli occhiali rotti”, performance contro le mafie per l’iniziativa bolognese Civica 2013, regia di Macellerie Pasolini, prende avvio nel bel mezzo della quotidianità. Non c’è un sipario, non cala la luce, lo sappiamo, siamo nel cortile del palazzo comunale e semplicemente aspettiamo. Alessandro Bedosti, attore e danzatore, è già in un angolo, accovacciato. Prende con le mani della terra, ci si cosparge il volto, sta in equilibrio su due piccoli amplificatori, che porta legati ai piedi.
Fotografi, tecnici, organizzatori, un capannello di pubblico in attesa e una scia di comuni avventori, curiosi, gli passano intorno, lo toccano, aspettano. E’ una situazione bizzarra, dove una performance che ancora non c’è e una quotidianità un po’ meno quotidiana si toccano, attendono in tensione che accada qualcosa. Che la performance cominci, la realtà torni quella di sempre e tutto si risolva, nelle categorie consuete. Invece questo limbo dura a lungo, per molto tempo i confini si dilatano, tanto che l’impronta dei gesti tecnici degli attori, la preparazione degli organizzatori entra nel ricordo dello spettacolo.
Poi, d’improvviso, comincia la musica. Un uomo è solo, il volto coperto di terra, sta accovacciato. Magro, lo sguardo basso, quando si alza, e lentamente avanza, sale una scala.

E’ lunga la scala.

Barcolla, cammina su tacchi alti, trasporta scarpe più grosse di lui che non sa portare. I suoi gesti discreti – una presenza danzata e minimale – compongono immagini scure, corvi, cornacchie. Sono simboli sfumati e controllati in un corpo ridotto all’osso, costretto a una precisione stanca, etica. Evocano ma non dicono, accennano con il sorriso di un bambino alla fatica. La fatica di capire la mafia. Risolverla. Viverne la violenza.
Fatica: salire è fatica. Nella fatica, per salire, occorre aiuto: noi siamo le spalle, l’uomo cerca appoggio sulle nostre spalle. E’ un gesto piccolo, necessario ma non casuale, sempre compresso, misurato, ci trasmette col solo contatto una reazione scomoda, insofferente: l’egoismo della sopravvivenza della propria pelle.

L’omertà tra realtà e rappresentazione.

L’azione si sposta sotto un’ala di portico fredda, il vento ghiacciato sferza le guance. Qui Matteo Garattoni, performer, siede in controluce. E’ una figura nervosa, dalla partitura gestuale costretta e vibrante, che fili come quelli di una bomba legano a una piccola piattaforma.
Il collo fasciato, giri di scotch e una pistola alla tempia. Ruota il capo lentamente, con scatti piccoli e impercettibili, mentre le voci di cento telegiornali elencano anni, date, numero di morti. Quando la mano preme il grilletto il corpo si contorce  – appena – dietro a un’esplosione di bolle di sapone.
Tanto basta: la bomba è nei nostri ricordi, come i brandelli di carne, le grida strozzate. Si sovrappongono al portico freddo mentre il performer sparisce.

L’inquadratura sterza di colpo e compare una santa, schiacciata al muro come l’icona di un quadro.

E’ Natalia Mazer, performer, che danza muovendo soltanto le braccia, secondo una scia di gesti sottili e fugaci. Passa da una figurazione all’altra, mostrando in mezzo al petto un cuore trafitto, in plastica. Ogni volta che il simbolismo pare troppo, è già sparito, la santa ha abbassato le braccia in uno sguardo neutro. Resta la voce rotta, registrata, che grida con strazio: “li perdono”.

E’ nella realtà, alla fine,  la commozione.

Foto: Alessandro Scotti Photography

L’occhio di PAC alla performance di Macellerie Pasolini

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3 COMMENTS

  1. mi sembra molto interessante ed emozionante! dove e quando si può vedere la performance? grazie.

  2. Grazie Mariateresa, stiamo montando un video di presentazione, appena pronto ti farò sapere, e anche se le performances saranno ripetute. a presto .

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