beethovenVINCENZO SARDELLI | Il Beethoven di Corrado d’Elia è estro senza bisogno d’orpelli. Attore e scena. Sgabello bianco al centro, vuoto totale, azzurro luminoso; un susseguirsi di pannelli quadrati, un po’ lampade un po’ carta da musica.

È un attimo, un vortice. Rullano le luci, casca la musica. Ti ritrovi inchiodato alla poltrona come d’Elia allo sgabello.  Il personaggio, la sala, tutto è fermo. Come la mano di Beethoven nell’Inno alla Gioia. E ne nacquero le quindici note più belle di sempre.

Io, Ludwig van Beethoven, liberamente tratto da Lezione 21 di Alessandro Baricco, è la biografia di un genio: l’infanzia tormentata, la mortificante afasia fino a dieci anni, i primi successi, le manifestazioni di un temperamento ardente, i molteplici antitetici stati d’animo, ambizioni e passioni. È il ritratto di un artista moderno che detestava virtuosismi e sonorità leziose, e deragliò dalla tradizione. Unendo forza e sensibilità. Dando fisicità al suo atto creativo.

La narrazione di d’Elia rende l’esuberanza del musicista, acclamato solista-improvvisatore al pianoforte, direttore d’orchestra, compositore. C’è l’uomo, insofferente e accigliato, utopista e sregolato: andatura scimmiesca… bestia, così lo chiamavano. Una vita di povertà, solitudine e disperazione. Annodata alla sordità, che distinse oltre metà della sua vita.

Genio e sregolatezza: ma quella trasandata, unta, asociale, finalizzata all’arte e solo allora sublime. Sarà per questo che d’Elia, autore, regista e attore, qui è un direttore d’orchestra dalla cravatta slacciata e dai capelli impomatati. E centellina parole come le note su uno spartito. Con scosse e ripartenze improvvise.

È un oracolo di parole divulgative e liberatorie, imbevute degli ideali della Rivoluzione Francese. Trilli, bisbigli e urla sono tutt’uno con la musica, con luci ben dosate nelle varie tonalità (azzurro, rosso, indaco, viola, fucsia, verde, grigio opalescente, bianco abbacinante) da Alessandro Tinelli.

L’identità tra racconto, musica, mimica e luci è la nota dominante di questo monologo. D’Elia non entra nel personaggio. Entra nell’anima. Tutto è equilibrio. L’Allegro con brio è penetrante, porta la pièce a un fortissimo che si smorza e lascia il posto a un lirismo raccolto. I temi si alternano misurati fino alla conclusione gioiosa. In mezzo c’è lo Scherzo-Allegro vivace con le sue rappresentazioni fantastiche. Il Finale-Allegro si serve di variazioni. Procede attraverso trasposizioni e aggiunte. Il flusso si interrompe con un Poco andante, raggiunge nuove altezze drammatiche. E sfocia in un finale travolgente.

 

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