murmuresVINCENZO SARDELLI | Un teatro sospeso nel sogno. Le molteplici ambiguità di una scena immaginifica, imprevedibile e mutevole, che presenta luoghi dove tutto è possibile. È Murmures des Murs, spettacolo di scena al Teatro dell’Arte di Milano fino al 6 gennaio.

La notte creata dalla luci è spazio metafisico fatto di piazze, palazzi, case, interni più o meno precari. L’immagine indefinita è viatico all’immaginazione. Sono paesaggi di fantasmi, proiezioni dell’anima.

Aurélia Thierrée, diretta dalla madre Victoria Thierrée Chaplin, è la protagonista di questo viaggio attraverso città abbandonate che prendono vita grazie a favolosi giochi scenografici. Il punto di partenza sono le immagini create da Victoria, che Aurélia mette in scena. E stiamo parlando della figlia e della nipote del grande Charlot.

Grandioso è anche questo puzzle che si compone lentamente di pezzo in pezzo partendo da pluriball e cartoni, per animare mostri, inquietudini, sogni d’amore, ad esempio nella forma di una Giulietta al balcone. Uno spettacolo in continuo movimento, come un cartone animato giapponese di Miyazaki. Gli oggetti, i luoghi, i costumi e le persone scivolano, appaiono, scompaiono.

Fumo e polvere, treni di scatole di cartone, draghi, gatti e uomini pesce. Tip-tap in parrucca e danze illuminate. Tempeste di cellophane creano distese d’acqua, bozzoli dentro cui germogliano mostri fiabeschi. Alti edifici o interi isolati, giardini e panni distesi sui fili ad asciugare, nascono, rullano, collassano. I fili diventano trapezi per equilibristi. Scivolano dentro e fuori dal palcoscenico, risucchiando ed espellendo personaggi fantastici: una sorta di mantide religiosa; uno strano uccello il cui capo è un mantice; un serpente marino dalle spire avvolgenti.

Arrampicandosi sulle facciate degli edifici Aurélia, con i suoi occhi stralunati da diva del cinema muto, incontra figure irreali e si immerge in storie intrappolate nei “mormorii delle pareti”. Annega tra barche volanti, salvata da un principe che non atterra mai sul morbido.

Fughe, trucchi, ombre, acrobazie. Trovate esilaranti. Un susseguirsi di scene deliziose, tra clownerie ed effetti illusionistici, il tutto senza pronunciare una parola. È il paradiso di chi crede nei sogni. Le pareti si scrostano e si animano. Mummie ibride trovano la vita attraverso gli affetti o gli effluvi dell’alcol, al suono di note d’archi e pianoforte. È un carosello di pertugi attraverso cui Aurélia, eterea, compare e scompare. I suoi costumi cadono a pezzi. Fanno spazio a mille travestimenti.

Virtuosismo ed eleganza contraddistinguono anche le performance del danzatore Jaime Martinez e del clown-acrobata Magnus Jakobsson, protagonisti sulla scena realizzata da Etienne Bousquet e Gerd Walter.

Un universo straniante di poesia, illusione, angoscia e persecuzione. Il desiderio di scoperta è già sul palco: tra gli attori, prima ancora che nel pubblico.

Viaggio nell’immaginario, o dentro la follia? Difficile trovare il discrimine. Nell’epoca dell’esasperazione tecnologica, questo teatro artigianale come il cinema dell’epopea propone illusione e ingegno creativo. A dar corpo allo spettacolo le musiche di Phillip Glass, che attingono alla lirica e persino alla canzone napoletana, in una dimensione senza spazio né tempo.

75 minuti di pura illusione. Un mondo effimero, ingannevole come bolle di sapone. Ideale per accompagnare le atmosfere natalizie.

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