illustrazione di Federico Maggioni promessi sposi - CopiaCOSIMA PAGANINI | Ora capisco cosa intendeva Gina, l’infermiera che assisteva mia madre ma si rifiutava di leggerle Orgoglio e pregiudizio, quando diceva: io le sorelle Brontë le odio. Presentano un mondo in cui le donne sono tutte stupide. Ed io le rispondevo: ma guarda che Orgoglio e pregiudizio l’ha scritto Jane Austen. Gina: E allora! Non è una scrittrice pure lei? Io: Austen è intelligente e non è stata infettata dal cattivo romanticismo. In tutti i suoi romanzi prende in giro quel mondo di sublimi sciocchezze sull’amore, l’amore oltre la morte, la bellezza del sacrificio d’amore, amore come unica verità, ecc., creato da donne, e uomini, che non conoscono ‘donne’ e ‘uomini’. La puoi leggere! Lei: …non voglio rischiare, sai quanti anni ci ho messo a liberarmi di Heathcliff e Kate?

E adesso parliamo di Intrigo e amore, “classico dramma romantico di Schiller”, visto al Piccolo Teatro.

 

Ragione di stato contro ragione del cuore? Con i presupposti che abbiamo: due giovani innamorati, Luise e Ferdinand (ma che amore è quello che soccombe alla gelosia?) separati dal censo, un padre aristocratico che non vuol perdere i suoi privilegi, anzi vorrebbe aumentarli (fino a prendere il posto del Duca?), una favorita di origini oscure (o per lo meno senza altre referenze che le proprie), le ‘ragioni del cuore’ sono destinate a perdere e anche perdersi. Perché deboli, provvisorie, poggiate sul vuoto… e la sconfitta dell’amore può far piangere moltissimo e farci annegare nel melodramma.

Lev Dodin però ha voluto evitare i toni del melodramma. Ha messo in scena un dramma ‘moderno’ in cui emerge la difficoltà di raggiungere la felicità per i troppi conflitti di genere, di classe, politici. E davanti alla scelta: la morte come sublimazione o come esito tragico, se Schiller, come Wagner e Verdi, sembra scegliere la prima, Dodin, grazie a una lettura più attenta, alla luce della “decadenza”, a me sembra porre in primo piano la seconda. Quindi c’è romanticismo e romanticismo.

Il senso del romanticismo è tragico in quanto coglie nell’umanità un paradosso irrisolvibile. L’uomo e la donna devono riconciliarsi con se stessi, con le proprie inclinazioni e con la propria natura “divina”. In questo senso devono amare anche se il loro amore li pone contro le convenzioni sociali e le opportunità politiche. La dismisura e la nobiltà dell’uomo e della donna, la loro infinità, non avrebbero senso se obbedissero ad un mero impulso utilitaristico. Ma la natura divina ama nascondersi e noi, pieni di impulsi non sempre puri, siamo ignoti a noi stessi. Solo un “genio”, un eroe puro, riuscirebbe nell’intento di vedere dentro di sé, ma un tale eroe è possibile? Non credo, in giro (vedi Ferdinand) si vedono per lo più caricature del genio.

Perché allora, nonostante i tentativi di Dodin di sfuggire al ‘cattivo’ romanticismo, continuo a pensare a quanto poco mi abbia convinto Intrigo e amore? Forse la risposta è che non credo che esista un romanticismo ‘buono’. O forse perché credo che Dodin non sia riuscito a evitare le trappole dell’iper romanticismo del tipo ‘amore e morte’.
Le storie di ispirazione romantica, nel migliore dei finali, portano alla morte prematura dei due amanti e, nel peggiore, alla catastrofe (magari sublime ma catastrofe). L’idiota atto assassino di Ferdinand vanifica ogni manifesto d’amore. Dodin avrà pure adattato il testo di Schiller per portarlo dalla sua parte, quella giusta, ma il pubblico quella doppia morte finale l’ha vissuta come sublimazione e come affermazione della verità (che molti scriverebbero con la v maiuscola), l’ha vista, quindi, alla maniera di Schiller.
In quanto a me: ho contato i candelabri della scena finale, che non erano innumerevoli come ha scritto qualcuno, ma solo 16 con 5 candele per uno e ho pensato: toh! Ecco la Russia. Ho seguito le smorfiette coreografate di lady Milford, incredibile (e un po’ non credibile) nel ruolo di chi vorrebbe spodestare dal cuore di Ferdinand, tutto sturmunddrang, la pura Luise. Ho sorriso all’altezzosa rivendicazione di Wurm del suo essere borghese (Wurm=verme: e si perdona alla giovane età di Schiller la scelta di un nome tanto evocativo quanto cretino). Ho visto il bacio, anzi i baci, quello iniziale e quello finale e tutti e due mi hanno lasciato alla mia domanda: perché non mi piaceva quello spettacolo “che sfiora la perfezione”?
Infine, mentre guardavo le persone intorno a me, plaudenti e felici, seppure in lacrime, mi sono convinta che nel ‘terribile’ romanticismo siamo ancora totalmente immersi e mi sono sentita sola in questo sentire. Ho rimpianto allora il tempo in cui leggevo Jane Austen e parlavo con l’infermiera Gina, cristallizzata nel suo ‘illuminismo’, e immaginavo un futuro in cui il sentimento sarebbe stato illuminato dalla ragione.