caduta-muro NICOLA ARRIGONI Nella società della tecnica c’è ancora spazio per l’umanesimo? meglio per un umanesimo globale? Come l’umanesimo può diventare una via d’uscita dalla crisi? La risposta a questi interrogativi nei giorni in cui si celebrano i venticinque anni della caduta del Muro di Berlino, arriva da Villa Mondragone e dalla sala Protomoteca del Campidoglio, dove è nato il network internazionale Humanitas Renascens, promosso da Vivarium Novum, centro di alta formazione in discipline umanistiche. Humanitas Renascens sarà una sorta di circolo internazionale, laboratorio di idee volto ad elaborare un nuovo umanesimo, nell’epoca della globalizzazione. Su questo e di questo hanno parlato trecento studiosi, filosofi, umanisti provenienti da tutto il mondo nella consapevolezza che la tradizione occidentale possa dare ancora un contributo non da poco al nostro presente e al nostro futuro, nella consapevolezza che il sapere umanistico abbia un ruolo centrale nello sviluppo di un’umanità interconnessa, di un mondo fatto di gradi diversità e veloci cambiamenti, di un mondo che celebra la caduta del Muro di Berlino e la fine del XX secolo o l’inizio del XXI secolo ma che vede alzarsi altri muri legato ai localismi, alle diverse confessioni religiose, alla guerra sulle materie prime, ad un’umanità che non smette di combattersi, che ha fatto dell’identità la propria condanna a morte e che potrebbe risorgere solo nella consapevolezza che l’identità si costruisce nella molteplicità.
Ad affrontare il tema: Quid sit futurum cras. L’umanesimo per vincere le paure e le incertezze del futuro sono stati, fra gli altri, Edgar Morin e il filosofo Mauro Ceruti, autori del volume La Nostra Europa, pubblicato da Raffaello Cortina Editore che rappresenta una riflessione intelligente e acuta sul ruolo dell’Europa e più ampiamente della cultura occidentale nel futuro prossimo venturo della Terra.
photo de Carolo CuelloIn un certo senso Humanitas Renascens ha recepito l’urgenza di un sapere della complessità messa in evidenza da lei e Morin in più studi?
«Ciò che sabato e domenica accadrà a Roma sarebbe piaciuto a Pico della Mirandola che organizzò convivi con gli intellettuali del tempo per interrogarsi sull’humanitas».
Una tradizione che si rinnova, in tempi di globalizzazione e di società della tecnica?
«Devo dire che anch’io sono stupito. Se poi penso che l’istituzione promotrice, Vivarium Novum è una scuola di alta formazione di studi classici, la cosa fa pensare. Esperti di latino e greco si fanno promotori di un nuovo umanesimo globale. Non solo, ma le nostre relazioni domenica saranno tradotte ex tempore direttamente in latino classico per la platea di invitati. Ma poi se ci riflettiamo bene non è così assurdo partire dalla cultura umanistica per disegnare un futuro umanesimo possibile».
Perché?
«Per i dotti dell’Umanesimo e del Rinascimento la civiltà europea poggiava su quattro colonne. Alle tre colonne delle tre grandi tradizioni monoteistiche (cristiana, ebraica, islamica) si aggiungeva la quarta colonna della sapienza degli antichi, della civiltà latina e greca riscoperta dagli umanisti nel quattordicesimo e nel quindicesimo secolo, attraverso le mediazioni più diverse, quali il monachesimo celtico e la cultura araba. Era un’immagine di unità nella diversità e di diversità nell’unità».
mauro_cerutiQuesto intreccio di culture come si coniuga con l’attualità e per citare il titolo della sezione che la vedrà protagonista con Edgar Morin, in che modo può vincere le paure e le incertezze del futuro?
«Oggi la riscoperta e il radicamento nel senso più profondo della tradizione umanistica europea – il principio complesso della diversità dell’unità, dell’unità nella diversità – è la grande opportunità per avere un futuro, per costruire un futuro a misura di uno sviluppo umano integrale, dei singoli come delle collettività».
In che modo?
«Per essere all’altezza delle presenti sfide, il compito è di coniugare ciò che la crisi attuale ci ha fatto credere separati: il rigore dei bilanci e gli investimenti nelle conoscenze, nella cultura, nella formazione, nella rigenerazione dei legami sociali; la direzione e la partecipazione; le culture umanistiche e le culture scientifiche; lo sviluppo economico e lo sviluppo umano integrale».
Ciò di cui c’è bisogno è un cambio di passo?
«Ci chiede di guardare in modo diverso il mondo, di capire che la nostra identità è nel molteplice, come ben insegna la storia dell’Europa. Ci dice che la nostra ricchezza sono le diversità dei saperi, sono gli incontri, la convivenza del molteplice. In questo senso l’Europa con la sua storia è un paradigma culturale con la sua diversità interna e la sua apertura alle culture altre; la capacità di operare insieme come centro di innovazione e come luogo di confine e di integrazione fra le culture d’Europa e fra l’Europa e il mondo; la sua ricchezza di saperi che sono stati e sono ad un tempo teorici e pratici, concreti e visionari, artistici e artigianali. Mi permetta di raccontare una cosa che mi fa piacere ed è funzionale alla nostra chiacchierata».
FIL-19-Morin-Ceruti-S-800x800Prego…
«In questi giorni esce l’edizione turca del libro scritto con Moren, La Nostra Europa. Un segno che mette in evidenza come la Turchia torni oggi ad essere un paese in cui l’identità europea si fonde con quella delle culture mediterranee, nel segno di un’identità che si costruisce nel molteplice».
Tutto ciò però viene ampliato a una condizione planetaria, alla globalizzazione, alla Terra patria come dice Morin…
«Non dimentichiamo che la globalizzazione ha inizio nel 1492 con la scoperta dell’America. Dopo cinquecento anni, oggi per la prima volta nella storia umana la Terra, in quanto patria, è divenuta realtà concreta».
E in tutto ciò il nuovo umanesimo globale come si pone rispetto alla tradizione umanistico/rinascimentale?
«L’antico umanesimo aveva prodotto un universalismo astratto, ideale e culturale. Il nuovo umanesimo non può che produrre un universalismo concreto, reso tale dalla comunità di destino irreversibile che lega ormai tutti gli individui e tutti i popoli dell’umanità, e l’umanità intera all’ecosistema globale, alla Terra. Questo universalismo concreto non oppone la diversità all’unità, il singolare al generale. Si fonda sul riconoscimento dell’unità delle diversità umane e delle diversità nell’unità umana, reso necessario dal fatto che qualunque sfida oggi ha una portata planetaria e ha bisogno dell’impegno di tutti, ognuno nella singolarità delle loro rispettive visioni e nella relazione e nell’apertura agli ‘altri’».