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ALESSANDRO MASTANDREA | Se la televisione fosse un libro giallo, uno dei modi per valutarne la caratura potrebbe essere quello di capire, col senno del poi, quale peso abbiano avuto nell’equilibrio dell’intreccio particolari ritenuti insignificanti. Ora, pare proprio che in TV qualcuno abbia commesso un delitto. Questo delitto, sebbene smentito da addetti ai lavori del calibro di Michele Santoro, ha lasciato riversa sul pavimento una vittima illustre: il talk show politico.
Spetta a Lilly Gruber, Giulia Innocenzi e al quasi dimenticato terzetto estivo Ceran-Aprile-Margonari (le tre presentatrici del fu Millenium), prendere sulle spalle lo scomodo ruolo del particolare nascosto, indicandoci l’identità dell’assassino.
Che il talk show politico di prima serata fosse roba da uomini, lo si dava un po’ tutti per scontato, ma è stata la momentanea scomparsa dagli schermi di Lilly Gruber, che taluni credevano sacrificata a maggior gloria di Giovanni Floris, a riproporci con forza il problema. Tale genere (contraddistinto da pubblico in studio, diretta e ospiti di rilievo) ha visto andare in onda le proprie stagioni migliori allorquando gli animi si scaldavano, la contrapposizione dialettica si faceva muscolare e le parole esplodevano infuocate come olio bollente, mentre le regie faticavano non poco a correr dietro alle performance dell’uno o dell’altro ospite, alle invettive reciproche, agli stati d’animo del pubblico in studio. Erano i bei tempi dell’arena televisiva, in cui giornalisti e ospiti politici se le davano di santa ragione, con gusto coreografico impeccabile, e dove, all’occorrenza, non si disdegnava l’insulto. Un po’ come nei migliori buddy film il ritmo era incalzante, il dramma si alternava alla risata, l’invettiva allo spirito di corpo, l’insulto all’ammiccamento. Le donne, naturalmente, non potevano che ricoprire ruoli marginali all’interno dello spettacolo, poiché eventuali intemperanze, dettate da un’interpretazione sopra le righe, mal si adattavano a una conduzione femminile. La parità di genere, dunque, sacrificata per ragioni di bon ton.
I dati auditel sembravano premiare, quelli elettorali anche, e tanto bastava.
Poi, un po’ come accadde con la comparsa dell’homo sapiens, che soppiantò nel processo evolutivo gli ominidi che lo precedettero, due nuove specie di ospiti hanno cominciato a fare capolino nei salotti che contano: i montiani prima e i renziani poi. Togliendo di scena la figura del berlusconiano al governo, l’antagonista per antonomasia, costoro hanno distrutto dall’interno e in modo irreversibile il rodato meccanismo narrativo dei talk show, snaturandone i canoni di genere. Da allora gli autori non hanno più saputo che pesci pigliare, illudendosi che qualche pannicello caldo (una copertina satirica o un sondaggio in apertura piuttosto che in chiusura, l’ospite in piedi o seduto, il pubblico sulle gradinate o in piccionaia) avrebbe potuto ridestare un interesse evidentemente sopito.
Se non ora quando, avranno pensato la scorsa estate gli spiriti più riformisti della televisione italiana, coloro che con una certa lungimiranza avevano da tempo compreso l’andazzo, mettendo insieme gli indizi. Quale momento migliore per rottamare la vecchia guardia di presentatori uomini, proponendo una nuova sensibilità di approccio, tutta al femminile.
Col senno di poi, appunto, esperimenti come Anno Uno, ma soprattutto Millenium non hanno affatto sortito gli effetti sperati. Ci vuole qualcosa di più di una semplice crisi di ascolti, per far si che la folta schiera dei presentatori di talk show ceda cavallerescamente il posto a una donna. D’altro canto, per farlo, avrebbero dovuto seguire gli indizi, col rischio di scoprire proprio in se stessi i colpevoli del tremendo delitto. Proprio ora che qualcuno, il Matteo che non t’aspetti, per esempio, sembra deciso ad abbracciare l’eredità di B. e dei suoi, restituendo ai media il proprio antagonista, salvando questo peculiare genere televisivo e qualcuna di quelle comode poltrone da salotto televisivo.