GIULIA RANDONE | Fede religiosa che diventa fanatismo: un problema attuale e una paura condivisa. Che cosa accade quando l’uomo, credendo di espandere la propria anima per avvicinarla al divino, in realtà si torce rabbiosamente contro gli altri?

Nel suo ultimo spettacolo Grzegorz Jarzyna, direttore artistico del Teatr Rozmaitości di Varsavia, si propone di analizzare la nascita e lo sviluppo dell’estremismo religioso attraverso i Martiri di Marius von Mayenburg. Scritto nel 2012, il dramma è andato in scena in molti teatri europei e statunitensi, mentre in Italia è stato al centro di un laboratorio della Silvio d’Amico. Rispetto al testo originale, il regista polacco attua alcune significative inversioni di genere, la più importante delle quali è la sostituzione del protagonista maschile con una ragazza. Si tratta di un cambiamento importante, perché la questione dell’identità di genere della protagonista, sebbene non approfondita, finisce comunque per dominare sulla materia originaria del dramma.

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Lidka frequenta un gimnazjum di Varsavia, ha un’età compresa tra i 13 e i 16 anni e un corpo non ancora pienamente sviluppato. Nella prima scena intravediamo la sua ombra stagliata sul fondale colorato, poi la distinguiamo seminuda nell’intermittenza dei flash, infine la luce piena la sorprende raggomitolata in una posa difensiva di fronte alle domande del padre e degli insegnanti, che non capiscono perché si rifiuti di partecipare alle lezioni di nuoto. Prima di affidare alla voce la propria ribellione, la protagonista trasforma il corpo in un manifesto. Infastidita dal bikini che lascia scoperto il corpo delle compagne, si tuffa in piscina completamente vestita e senza dire una parola. Pallida, minuta, le spalle incurvate a mascherare i seni appena abbozzati, Lidka incarna la confusione e lo spavento dell’adolescenza. A casa e a scuola parlano lingue estranee, nelle parole della Bibbia, invece, trova risposte e ideali da seguire. Significativamente, comincia la sua lettura solitaria dall’Apocalisse, salta il capitolo “porgere l’altra guancia” e si entusiasma alla prospettiva di convertire gli altri “con la spada” e dare la vita per la fede. Al prete – un personaggio untuoso al quale, in maniera piuttosto immotivata, sono attribuite apparizioni e voce da psicopatico – spiegherà che non vuole vivere per Cristo, ma morire per lui.

Qualche anno fa un film polacco di successo, La stanza dei suicidi, analizzava la fascinazione dei giovani per la scelta di sottrarsi alla vita e lo spettacolo di Jarzyna sembra ricollegarsi a quello stesso smarrimento di chi non trova più alcun punto di riferimento nella famiglia (padre simpatico ma dialogo scarso) né tantomeno nella scuola, la cui proposta formativa consiste in lezioni di meccanica sessuale (come infilare un preservativo su una banana). Casa e scuola: sul palco lo stretto necessario, due banchi e un tavolo da cucina, sullo sfondo le proiezioni video raffinate e iperrealistiche di Robert Mleczko. Abitano questi luoghi alcuni educatori disorientati, che minano la reciproca autorità e si concedono battute argute, verosimilmente pensate per alleggerire il tono tragico dello spettacolo. Uno sforzo superfluo, perché in effetti di tragedia non c’è traccia. I turbamenti esistenziali e sessuali che scatenano l’estremismo religioso di Lidka sono espressione non di una ricerca spirituale deviata ma di un’adolescenza irrequieta, in bilico tra ascese vertiginose e discese abissali.

Ne è riprova la rappresentazione dell’aldilà. Quando per la prima volta la protagonista sente (o crede di sentire) la voce di Dio, all’orecchio le giungono suoni attutiti e alle sue spalle si spalanca un mare color acciaio. A differenza della visione offerta da Terrence Malick in The Tree of Life – in cui l’ambiente marino esprime fede nell’eternità e nel cammino dell’umanità verso una forma di giudizio finale –, quella di Lidka è una suggestione disabitata, priva di trascendenza e priva di peccatori da giudicare. Non è sufficiente il fervore dei discorsi di Lidka: nel suo corpo e nelle sue visioni pulsa un disagio saldamente ancorato alla terra, non lo slancio esaltato del fanatismo religioso.