GIULIA MURONI | “Ma” come un balbettio, un ‘incertezza, l’incedere di un dubbio. Sillaba in bilico tra due cornici di senso: il richiamo  alla madre e l’introduzione, con una avversativa,  di un dubbio, un’ opposizione.

Antonio Latella ha debuttato con la sua nuova opera “Ma” al Festival delle Colline Torinesi, a partire dalla figura della madre di Pasolini colei che- scrive Latella- “lo ha accompagnato nella fuga dalla banalità coatta del vivere quotidiano”.

Candida Nieri, già premio Ubu come migliore attrice 2013, dà vita a un momento teatrale prezioso. La scena è spoglia e lei, seduta su uno sgabello, di profilo rispetto alla platea, indossa delle scarpe enormi. Ricurva, la presenza del suo corpo contratto permane con intensità, volgendo fino alla fine con coerenza la scelta di mantenersi fissa in quella postura. Lo spettacolo si apre nel silenzio, è solo la sua fisicità straniante a riempire la scena. Sgorgano le parole, la drammaturgia ricchissima a cura di Linda Dalisi è stratificata, disposta a innumerevoli pieghe e torsioni. Sulle labbra di Nieri si avvicendano magnifiche e crudeli alcune figure materne: la madre di Pasolini, la figura materna come Pasolini l’ha descritta nelle sue opere e Pasolini-madre delle sue opere, figlie bastarde e dannate.

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Di fronte a sé un’alta porta in ferro dalla quale pendono alcune lampade. Oggetti di un interno domestico, illuminano con differenti toni di colore. L’attrice stringe tra le mani un fazzoletto che contiene un microfono, che registra, rimanda e riverbera i suoni. Straziante e meravigliosa, Candida Nieri rievoca e astrae la maternità, ne rivela i drammi e le debolezze, le contraddizioni e i parossismi, singhiozzando suoni e parole con intensità violenta.  “Perché mi hai fatto madre di un Cristo comunista?” e ancora “Tu sapevi che la tua vita la pagavi ad un prezzo molto alto. E al prezzo che abbiamo pagato noi, hai mai pensato?”

Sguardi su vite violente, in cui il dolore materno diviene assoluto e soffocante e la sua figura irriducibile, mai del tutto rappresentabile e tuttavia infinitamente riprodotta, rievocata nel tentativo inesausto d ucciderla simbolicamente.

“Sei insostituibile. Per questo è dannata alla solitudine la vita che mi hai data. (…) Perché l’anima è in te, sei tu, ma tu sei madre e il tuo amore è la mia schiavitù”. (Pasolini, “Supplica a mia madre”).

Latella ha firmato la regia di un monologo sapiente, introiettivo e commovente, forte di una drammaturgia schietta e un’interprete eccezionale.