POLIFEMOIRIS BASILICATA | “C’è nessuno?”. No, non è la particella povera di sodio a chiederlo ma la regista Emma Dante nel suo ultimo spettacolo Io, nessuno e Polifemo. Mixate le interviste impossibili (studiate a scuola) con la vicenda del monocolo Polifemo (studiato e soprattutto odiato nelle versioni di greco, sempre a scuola) e ne uscirà lo spettacolo della regista siciliana dedicato ai miti della classicità. Emma Dante entra nella caverna dell’essere mostruoso per chiedergli come siano realmente andati i fatti narrati nell’epica e alla domanda di “C’è nessuno?” un Polifemo napoletano vestito in giacca e camicia va su tutte le furie: il solo ricordo di colui che lo ha accecato con l’inganno lo manda in bestia. Ed ecco che compare anche Ulisse, (anche se lui preferisce Odisseo perché “è cchiù epico“), un guappo napoletano scaltro e pieno di sé, definito da Polifemo un “figlio di buttana”. La Dante tenta di mostrarci l’altro lato della medaglia: non vengono infatti lodate le gesta dell’eroe omerico che riesce a mettersi in salvo con l’inganno di definirsi Nessuno, ma viene narrata la storia di un mostro buono e sempliciotto che è stato ingiustamente attaccato. Una specie di Shrek versione teatro. L’orgoglioso Odisseo diventa così un antieroe che rompe la bolla di routine dell’idillio del mostro da lui stesso definito “babbasone” con la cecità.

Lo spettacolo alterna una forma semi-giornalistica di domande fatte a Polifemo sul come siano andati realmente i fatti e le coreografie di tre danzatrici, che insieme a una musica dal vivo fanno da sfondo allo scenario cavernoso della rappresentazione. Le attrici che si muovono come se fossero manichini da disegno accompagnate dai passi di Odisseo arricchiscono la storia di particolari come la scena di Penelope che tesse infinitamente la sua tela.

Polifemo rivendica la sua memoria e la sua identità insistendo soprattuto sul fatto che egli non è siciliano, le sue radici non risiedono nell’Etna, come tutti pensano, bensì nei Campi Flegrei. Ma nello spettacolo qualcosa stona, come un cocktail di gamberetti condito con una maionese un po’ acida, tra citazioni della regista sul suo stesso lavoro teatrale, Carmelo Bene e battute più o meno tristi sull’accostamento tra lei e il sommo poeta per assonanza di nome. L’utilizzo del dialetto è fondamentale in tutto il lavoro della Dante per marcare la distanza tra i personaggi, ma stavolta l’uso del siciliano e del napoletano appare un po’ forzato. La riflessione sul diverso e sul suo mondo privo del male al quale viene strappata identità e storia tramite un abile eroe riempie lo spettacolo di spunti e stimoli. Nonostante ciò Io, Nessuno e Polifemo non è riuscito a decollare pur volendo staccarsi dalla tradizione per andare oltre le convenzioni.

Il tutto termina con una ricetta suggerita da Polifemo di un piatto tipico della cucina napoletana: se non ci ha convinti lo spettacolo, per lo meno, abbiamo un’idea su cosa cucinare per il prossimo Natale.