carta-geoRENZO FRANCABANDERA E VINCENZO SARDELLI | RF: Capita nella vita di non interessarsi mai di una cosa, forse persino di tenerla in qualche modo lontana dai propri interessi e poi di finirci dentro mani e piedi senza volerlo e di rimanerci affascinato. Di solito capita per incontri con quelli che Peter Brook, e prima di lui Gurdjieff, definiva gli uomini straordinari.

E non c’è dubbio che Walter Bonatti sia uno di questi. Lo scopo dell’avventura è trovare l’uomo, così avrebbe detto una volta il grande alpinista ed esploratore italiano scomparso da non molto. E la sfida di Luca Radaelli, attore nato e vissuto in quelle terre dove Bonatti volle costruire insieme alla compagna Rossana Podestà con le sue stesse mani la casa della sua vita, la sfida di Radaelli, dicevamo, è finita per diventare quella di costruire una sua particolare avventura su questo personaggio, quasi che vivendone le vicissitudini come si faceva con Salgari da piccoli, si possa tornare a sognare, da grandi e pur disillusi sulla vita, di imprese e paesaggi inesplorati, di sogni, di purezze, di vette. Quasi viene in mente che prima di tutto, prima di ogni altra cosa, dunque, Federico Bario e Luca Radaelli nello scrivere il testo abbiano voluto prima di tutto ricreare una terra vergine di emozioni. Sentirsi davvero bambini contro l’ignoto, e guardare alle avventure di Bonatti quasi a bocca aperta. Un po’ con gli occhi dei piccoli e un po’ con gli occhi dei grandi. E infatti il testo è un po’ costruito come contrapposizione fra queste parentesi di indole purissima e contatti con una società contaminata fino all’irragionevole di tutto quanto l’essere umano non dovrebbe essere. Emblematico il racconto degli ultimi giorni di vita di questo eroe contemporaneo, e delle assurde vicende che li connotarono.

VS: Bonatti, una vita per l’avventura. Credo che questo sia meritevole: fare ricerca partendo da una suggestione; mettere al centro dell’arte persone come noi, fragili, vulnerabili, però con un sogno. E quel sogno l’hanno realizzato perché animate da un’immensa passione. Il Bonatti di Radaelli ci ricorda l’insensatezza della mentalità comune, che contrappone il sogno alla realtà, la fantasia alla pratica. I geni sono tali perché non pensano secondo questa distinzione. Qui capiamo, già dalle letture di Bonatti, da quella carrellata sui suoi libri da bambino (London, Stevenson, Salgari) che tutti i bambini sognano, ma che i sogni li realizzano solo gli adulti che non smarriscono l’ardire fanciullesco. E non smettono di amare, che so, la geografia o la storia. E affrontano il pericolo con l’equipaggiamento e un pizzico di follia. Questo in scena lo vediamo. Come pure vediamo le profonde fragilità umane: meschinità, invidie, ripicche, di cui Bonatti fu vittima da parte talvolta dei suoi stessi compagni di cordata. Immagineresti che lassù, sul Cervino o sul K2, tali bassezze non ci siano. Invece sono insite nel genere umano, come una condanna. Chissà che adesso, che è ancora più in alto del K2 o dell’Everest, Bonatti non se ne sia finalmente emancipato.

RF: Cosa funziona e cosa meno secondo me in questo lavoro: a me sono piaciute proprio le avventure, la parte in cui il narrato diventa evento, recitazione. Più deboli sono invece gli appoggi, gli argomenti, l’amalgama. Lì dal punto di vista drammaturgico e di recitato non arriva la stessa potenza. Bene poi la creazione sonora di Maurizio Aliffi. Non è mai colonna sonora, ma emozione ambientale, tanto che come tutte i contrappunti sonori ben fatti, pare quasi sparire, per come si interseca bene e diventa un tutt’uno

VS: Sì, la musica è davvero flebile, mai invasiva: la apprezzo quando diventa partitura drammaturgica lieve, e non semplice accompagnamento, o intermezzo, o commento. Poi ho gradito le luci, così vere che ti pareva d’essere in montagna, la notte quando congelavi o la mattina quando il sole ti rimetteva in circolo il sangue restituendoti la vita. Ho ammirato le immagini proiettate stavolta sì in maniera invasiva: sequenze di deserto o d’acqua, di bosco o di cime innevate. E l’attore a muoversi dentro, in una fusione panica. Quanto alla drammaturgia, io ho trovato il testo bello, a tratti poetico, con le varie citazioni da Giobbe a Luzi e Montale. C’è qualche eccesso narrativo che lo rende a volte dispersivo e pletorico. Se manca qualcosa sul piano recitativo, io lo trovo compensato dalla voce di Radaelli, sorprendentemente calda e musicale. Poi chissà, tu hai visto il debutto, e può darsi che fino all’ultima replica che ho visto io, il lavoro sia salito di temperatura, e un poco ne abbia guadagnato proprio l’amalgama.

RF: Come è giusto che sia per una storia di montagna. Se non sale… Che montagna e’?