Herik Haglund ne Il nemico
Herik Haglund ne Il nemico

MATTEO BRIGHENTI | Non c’è sangue, né esplosioni, né assalti. C’è la sopravvivenza dell’uomo in guerra e della guerra di per sé. Il prima e il dopo sono un eterno durante di attesa e speranza ne Il nemico del Teatro dell’Elce.
Tratta dall’omonimo album di Davide Calì illustrato da Serge Bloch (edito in Italia da Terre di mezzo), la nuova regia di Marco Di Costanzo ci precipita dentro la trincea di un soldato della Prima Guerra Mondiale, un buco in cui prova e forse riesce a inventarsi il mondo, un suo mondo di pace e gesti quotidiani, come annaffiare le piante o prendere il caffè. Invenzioni, pratiche di immaginazione ‘esclusiva’, tanto perché riguardano soltanto lui, quanto perché chiudono fuori la possibilità di una partecipazione, di un incontro con l’altro. È in guerra e l’altro, chiunque altro non sia dalla sua parte, è un nemico e per questo, per il fatto stesso che esiste, va distrutto.
Herik Haglund è il corpo della storia, presenza e occhi che parlano senza parole, perché il racconto, le sue pause, azioni e pensieri sono nel canto dal vivo di Lucia Sargenti, l’asta del microfono accesa come una spada laser e una pulsantiera per dare effetti diversi alla voce. Le scene, le luci e le video-animazioni di Beatrice Ficalbi restituiscono tutto l’intorno possibile dal buco al cielo. Un genere performativo forse nuovo, sicuramente insolito, che potremmo definire teatroromanzo musicale.
Il buco ad altezza di più uomini in cui è confinato Haglund è una fortezza sotterranea, la terra di scavo sembra fatta di cumuli di stracci di contadini che hanno lasciato le campagne per andare a rimpolpare il fronte, morti marciti lasciati a marcire. La divisa da militare è una cotta nera e un elmetto bitorzoluto, tra il soldatino di piombo di Andersen e un calciatore del biliardino. Il suo fucile è un tubo di metallo e i proiettili sono colpi sordi e ripetuti che Sargenti batte sul tamburo. Dell’amico scomparso tempo fa rimane una floscia maschera antigas.
L’esistenza del soldato è tutta qui, gira attorno a questa tana che chiude il suo cerchio aprendosi sulla platea e gli sguardi del pubblico. L’unico suo contatto con l’esterno è una scala, che tiene pulita, ma che non riesce o meglio non vuole salire. La scala porta al nemico, la scala allora è già il nemico.
Piccoli oggetti, di poco e povero conto, costituiscono la cassetta degli attrezzi dell’immaginazione scenica propria del Teatro dell’Elce, ovvero la traduzione in scena di una visione da naturalismo magico. La realtà che ci circonda è opprimente e asfittica, ma per viverla, pare dire la compagnia fiorentina, non bisogna combatterla, ma incantarla dei suoi incanti nascosti, ricostruirla a partire dallo stupore di guardare il solito con sguardo insolito. Con cura, attenzione e passione di fare le cose per bene e non lasciarle al caso, al “vediamo come viene” di troppo teatro contemporaneo.
Allora una tovaglia da picnic può bastare a raccontare l’Italia del Boom economico e di coppia come in Cinquanta! Epopea di un faticoso entusiasmo da Gli amori difficili di Calvino e da interviste ai nati in quegli anni, oppure gli stracci cangianti di una compagnia di provincia riescono a evocare il favoloso regno di Farruscad e Cherastaní da La donna serpente di Gozzi. Rispetto ai lavori precedenti, Il nemico fa un ulteriore passo avanti: scopre bellezza, leggerezza e poesia anche nella tecnologia.
La sorpresa di ciò che accade, la magia, arriva tutta dall’interazione tra Erik Haglund, lo spazio e le video-animazioni, i tre ‘personaggi’ dello spettacolo, accompagnati dalla voce (anche narrante) di Lucia Sargenti che compone e campiona suoni dalla sua plancia musicale e conduce la vicenda come fa il vento con le nuvole.
All’alzabandiera del giorno canta un Inno alla Gioia della crisi, inno all’Europa tanto di Maastricht quanto di Schengen e dell’Erasmus. È l’unico ponte gettato verso l’attualità insieme a quel “Liberté, Égalité, Fraternité, Mare Nostrum” che il soldato urla ogni volta che spara fuori dal buco. Marco Di Costanzo non ha intenzione alcuna di commemorare il Centenario della Grande Guerra con vuoti di retorica come fa Mario Perrotta in Milite Ignoto, né di divertire i bambini con gag clownesche, com’è successo per le prime trasposizioni francesi dell’album di Calì-Bloch, piuttosto vuol dare eco e respiro al nemico che è in ognuno di noi.
Ci sono due buchi, dice Sargenti all’inizio dello spettacolo, dentro ci sono due soldati, nemici. Ma in scena il buco e il soldato sono uno e uno soltanto. Il nemico è come lui, è lui, specchio dell’alibi “non sono stato io a cominciare la guerra, non sarò certo io a finirla”. Anche il cielo si colora di rosso, luce che si ripete, si contorce e collassa dentro la trincea.
Come può quest’uomo costruire una società accogliente e aperta? Su una questione così attuale Il nemico avanza una proposta inattuale: raccontando la vita per imparare a viverla. Abbiamo tutto quello che ci occorre, ma non riusciamo a gioirne, perché la realtà che conosciamo si è ridotta a un’immaginazione della nostra testa. Sfuggire alla paura della propria ombra si può facendo del mondo intero il destinatario fantastico del nostro messaggio in bottiglia o aeroplanino di carta. Avere fiducia che qualcuno risponda è il primo passo sulla scala che ci porterà fuori dal buco.

Il nemico
liberamente ispirato all’album L’Énnemi di Davide Calì e Serge Bloch pubblicato da Éditions Sarbacane
adattamento e regia Marco Di Costanzo
con Erik Haglund
canto Lucia Sargenti
scene, luci, video-animazioni Beatrice Ficalbi
suono Andrea Pistolesi
produzione teatro dell’elce
in collaborazione con Teatro Solare Di Fiesole | SPAM! rete per le arti contemporanee | Teatro Excelsior Reggello
con il sostegno di Regione Toscana
Visto venerdì 4 dicembre all’interno de “Il Sole d’Inverno. La nascente stagione teatrale di Fiesole”, Circolo Arci La Pace, Compiobbi (Fiesole).