FORME di Riccardo Caporossi - foto di G. Scrugli.05

LAURA NOVELLI | L’ampio spazio scenico del teatro India è pressoché vuoto. Vicino al pubblico si staglia una forma geometrica di legno attorno alla quale si assiepano poco a poco figure stravaganti – una donna in fiore, un uomo in frac, un prete, un carabiniere, una sposa, un uomo –  che sembrano uscite dalla Prefazione ai Sei personaggi in cerca d’autore di Pirandello e che esplicitamente si interrogano su se stesse nel tentativo di trovare un senso (quale senso?) alla loro esistenza. La stilizzata creazione lignea attorno cui si muovono potrebbe (dovrebbe?) catalizzare la paura di inconsistenza che li accomuna restituendo loro l’illusione di una possibile presa di coscienza della propria identità. Inizia così – con un paradosso pirandelliano – Forme, lavoro che il prolifico e ben noto duo Rem & Cap portò al debutto nel 2002 e che ora, a tre anni di distanza dalla scomparsa di Claudio Remondi, Riccardo Caporossi ha ripreso e riadattato per dodici allievi della Scuola di teatro e Perfezionamento professionale del Teatro di Roma.

Lo spettacolo, andato in scena nei giorni scorsi con le luci di Carmine Marino e le musiche di Sergio Quarta, si inserisce a pieno titolo nello stile inconfondibile di una compagnia che ha segnato in modo significativo le declinazioni più eclettiche e originali della nostra avanguardia anni Settanta e che, in quasi mezzo secolo di creatività, ha regalato al pubblico capolavori come Giorni felici (produzione d’esordio che, come è noto, venne vietata dai detentori dei diritti di Beckett in Italia perché un uomo – lo stesso Remondi, unico protagonista – non poteva comprendere i problemi di una donna di cinquant’anni), Sacco, Rotobolo, Cottimisti, Passaggi, Personaggi, Olio, Altri giorni felici, Scarto, Orchestra in sciopero, solo per citare qualche titolo. Spettacoli cauti, salmodianti, silenziosi, rigorosi, dove gli oggetti, i materiali grezzi, i cappelli, i secchi, le scarpe, le valigie hanno un’anima e una memoria vere e vivide. Spettacoli dove la scenografia si compone e si disfa sotto gli occhi degli spettatori. Dove il ritmo di bastoni e mani battute a terra si sposa a voci e cori sommessi, significativi quanto le pause e il non-detto.

Anche questo Forme, superata l’impronta metateatrale dell’avvio, si sostanzia poi come un cantiere in costruzione dove dodici operai trasportano lunghe assi di legno naturale (sessanta per la precisione) componendo un’elegante danza di linee e architetture che alla fine andranno ad edificare, in due angoli diversi del palcoscenico, due imponenti costruzioni simili, se non fosse per le dimensioni, alla forma dell’immagine iniziale.

In mezzo a questo costruire e cercarsi, e dunque mentre gli attori/falegnami entrano, escono, collocano le assi le une sulle altre, le fermano con dei grandi ganci di ferro, succede che la vita attraversi l’opera e l’operato. Succede che il teatro trasbordi, cioè, nella realtà e che questa perda la sua certezza di dimensione già data. C’è tanto Beckett in questo agire per consistere. In questo ennesimo affondo nel vuoto dell’esistenza scritto e diretto dall’architetto/teatrante Caporossi. In questa con-fusione di apparenza e autenticità, superficie e profondità che ci attanaglia e ci rende tutti spaesati.

E ci sono ovviamente visioni, moduli, intuizioni di altri precedenti lavori: gli uomini incappucciati, i corpi mossi all’unisono in danze e ritmi ancestrali, i suoni martellanti di percussioni che sembrano battiti del cuore. Forse la drammaturgia risulta a tratti un po’ troppo esplicita, scontata, ma l’insieme restituisce con luminosa armonia l’idea di un percorso artistico che sa “ripro-porre” con una lingua scenica tutta sua le domande fondamentali dell’Uomo. Domande immense, insondabili, ineffabili. Non per niente Forme mi ha riportato alla memoria quel poetico L’ineffabile che Caporossi presentò al Valle nel 2012 (www.youtube.com/watch?v=Uw6eZOWP7lM e https://www.youtube.com/watch?v=I8wq2UIVC1E): anche allora lo spettacolo nasceva da un’esperienza laboratoriale con studenti universitari e anche allora il senso di sospensione, disagio, mistero che ne promanava molto aveva a che fare, paradossalmente, con la necessità di costruire, fare, salire scale, cantare insieme, sondare le “forme” più diverse e fluttuanti della vita. Il coraggio di esserci, insomma, malgrado il nulla: cosa di più pedagogico di questo?

Forme

scritto e diretto da Riccardo Caporossi

e con gli allievi della Scuola di Teatro e Perfezionamento professionale del Teatro di Roma:

Roberto Caccioppoli, Marco De Bella, Lorenzo Frediani, Silvio Impegnoso, Stefano Lionetto, Michele Lisi, Chiara Lombardo, Anna Mallamaci, Carlotta Mangione, Caterina Marino, Sara Pallini, Vincenzo Preziosa

assistente alla regia Vincenzo Preziosa

luci Carmine Marino

musiche Sergio Quarta

 produzione Teatro di Roma

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