img_2610EMILIO NIGRO | Il linguaggio, mediano di relazione tra scena e pubblico. Parola recitata, prima che scritta. Scavata, ricercata, cruda, come un tozzo di pane di queste terre, lievitato per arrivare all’occhio prima che al gusto, e che nella forma dice dell’asprezza, della crudità d’una parte di mondo incastonata in un sud da cui liberarsi ma anche stanziare per tempi altri.

Siamo in Basilicata e alla parola in genere, nei quotidiani, si preferisce il silenzio, gestuale, indicativo, per comunicare. Poche e significative parole. Per non far scorrere il tempo in articolazioni sofistiche e destinare ad orpelli la concretezza di un’azione verbale.E il palco, figura cosa dal reale si percepisce, si filtra, si intuisce pure. O cosa è lapalissiano ma altrettanto celato, per ragioni di ordine o convenienza sociale. Il teatro che non dichiara direttamente, ma mostra, lasciando terzi e coinvolti gli spettatori, quello della compagnia Petra, di Satriano di Lucania, a non molto da Potenza e forse troppo distante da cosa succede altrove. Un teatro artigiano, povero (nel senso più nobile del termine) che centra il nucleo formale e sostanziale nell’ossatura granitica e universale della pratica artistica: parola, gesto, drammaturgia. Un teatro a cui corrisponde un patto tacito essenziale di reciprocità, di mutua comprensione, di tracce apprese e restituite.

Due attori, Fabrizio Pugliese e Antonella Iallorenzo. Meccanico e minuzioso il primo, portante in bocca una parola mai afona, intenzionale, strutturata per circostanze di parte e con licenze personali. Caratterizzante e mimica, l’altra, chiamata in una parte oltre le righe della propria cifra e per questo notevole di considerazione e di plauso, l’artista che si misura con il fuori da sé.

Sono una coppia di meridionali in un meridione localizzato dal linguaggio polimorfico, con chiari e singolari influssi calabresi (per via dell’appartenenza calabra del Pugliese) ma farciti di innesti semantici di gittata più ampia. Un linguaggio sonoro, fonetico, lirico anche, di quel lirismo non codificato per rigore di regola ma capace di approdi profondi, per l’eufonia ricreata.
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Uno sguardo su una povertà individuale, suggerita da una scena scarna, in cui netti sono i codici di traspirazione tra palco e scena – una finestrella da un interno casa, per esempio, quarta (piccola) parete e momento di contatto con la platea, l’unico spazio in cui l’attore volge lo sguardo direttamente al pubblico -, e drammatizzata per oggetti di simbolo, di identificazione scenica e oggettiva. Povertà assunta quale dato narrativo e pretesto per puntare il dito contro (presunti) colpevoli (invisibili, Pinteriano) per denunciare un depauperamento territoriale carnificato dall’impoverimento lessicale e progressivo: la parola diventa più magra, più balbettata, più imprecisa a materializzare l’intenzione. E il gioco di intenzioni e figure, si modula spedito, con ritmo preciso, a tratti greve e leggermente impantanato, in un duetto serrato, mai monologante e quindi vanitoso o sentenzioso, ricamato da anafore drammaturgiche e di azione.

Una costruzione livellata, dal tratto deciso e sguazzante, rimbalzata tra il gesto e il detto, tra l’espressività e l’impressione.

Una minima nota stonata l’avvertire, per spettatori attenti, un generale senso di “superficie”, dovuto probabilmente allo stretto tempo di allestimento.

Uno spettacolo d’autore. In cui la firma, diventa un segno distintivo, una autonomia non venuta dal nulla, ma da una robusta consapevolezza del mezzo scenico per plasmarlo con indipendenza. E i rimandi, le correlazioni, quella sensazione di pienezza e nello stesso tempo di mancanza che il buon teatro sa provocare. Quando è di mestiere.

 

 

PER PRIMA COSA

Produzione | Compagnia Teatrale Petra

in collaborazione con |Ura Teatro

attori-autori |Antonella Iallorenzi, Fabrizio Pugliese

drammaturgia e regia | Fabrizio Saccomanno

luci e scene |Angelo Piccinni

 

Visto mercoledì 19 ottobre al Teatro Ruggiero Opera – Melfi. Rassegna La Scena Lucana.