LUIGI SCHIPANI | C’era una volta Prometeo e, a quanto pare, c’è tuttora.prometeoedio-2-628x353 Ma come ogni individuo, che con il passare del tempo matura e si trasforma, così anche il Prometeo di E. Conte mostra uno scarto e un’evoluzione rispetto a quello rappresentato da altri artisti nella produzione, anche letteraria, precedente.

Il lavoro portato in scena a fine marzo al Teatro Menotti, sebbene intriso di riferimenti che rievocano scrittori che contribuirono a rendere immortale questo mito, dal poeta tragico Eschilo al romantico Goethe, si inserisce nel solco della tradizione in maniera del tutto originale, addensando in sé molteplici (forse troppi) significati.

Siamo in un tempo senza tempo: non ci troviamo all’epoca degli antichi Greci, ma neppure in quella contemporanea. Luci soffuse e musiche dark introducono uno spazio tratteggiato con un alone di mistero, di cui è evidente fin da subito la raffinatezza e l’intensità con cui è stato studiato. Grate di metallo e tubi da impalcature irrompono imponenti dal proscenio. A questi, Prometeo (G. Martini) viene ancorato e immobilizzato con pesanti catene di ferro. In questa posizione, che rievoca quella assunta da Gesù Cristo sulla croce, il protagonista dialoga e interagisce con gli altri personaggi, che si muovono sulla scena sfruttando tutto lo spazio messo a loro disposizione: si arrampicano tra le impalcature, si muovono liberamente dietro la griglia, fuoriescono dal palco, rompendo la quarta parete e coinvolgendo il pubblico nell’azione.

A fare da coprotagonisti sono sicuramente i costumi monumentali realizzati con grande maestria da D. De Blasio, che hanno contribuito a delineare ed enfatizzare le caratteristiche peculiari dei personaggi.

L’attenzione con cui è stato realizzato questo progetto si evince anche dalla gestualità esasperata con cui i protagonisti comunicano: impedita da grosse catene quella di Prometeo (G. Martini), che assume non solo ideologicamente, ma anche fisicamente una posizione scomoda, posata e solenne quella di Oceano (P. Fabbri), dio dei mari, frenetica e a tratti sensuale quella di Io (A. Pellegrino), trasformata in giovenca da Era per essersi unita con il marito Zeus, da paesana pettegola, ma anche empatica e comprensiva, quella della spassosissima corifea (A. Di Casa), che a più riprese ha interagito col pubblico per smorzare il tono della tragedia.

L’alternanza tra momenti ricchi di pathos e concentrazione ad altri più distensivi, infatti, ha scandito il ritmo in maniera armonica e ha permesso al pubblico di sentirsi parte dell’azione stessa.

La pièce pone al centro della scena l’uomo, con le proprie debolezze e le proprie fragilità, che non vengono lette in chiave negativa, ma con un sorriso di tenerezza: l’uomo va amato per quello che è, con le sue imperfezioni e i suoi caratteri peculiari. In aggiunta, si evince il tema dell’amore per l’umanità, che Prometeo dimostra donando il fuoco agli uomini, quello conflittuale tra padre e figlio, attraverso il quale il secondo riesce a distaccarsi, identificarsi e differenziarsi dal primo e, da ultimo, quello della ribellione al potere.

Proprio sul kratos, infatti, E. Conte elabora e sviluppa una riflessione, che si concretizza in una trilogia di spettacoli, di cui Prometeoedio costituisce la tappa finale. Dopo la rilettura dell’Antigone di Anouilh del 2013, in cui si analizza la lotta del protagonista contro il potere costituito, e quella di Caligola di Camus del 2016, in cui si affronta il conflitto dell’uomo di potere contro se stesso, in quest’ultimo lavoro il regista pone l’accento sulla ribellione al potere di una divinità tirannica e insensibile alle esigenze delle sue creature.

Prometeoedio si configura come uno spettacolo spettacolare, di grande teatralità, molto godibile e curato nella messa in scena, ma a tratti troppo denso di intensità e complessità, che meriterebbero per un verso maggior dettaglio, per altro una cernita fra le molte direzioni evocate e condensate.

 

Prometeoedio

di Emanuele Conte
da Eschilo
regia Emanuele Conte
costumi Daniela De Blasio
luci Tiziano Scali e Matteo Selis
assistente alla regia Alessio Aronne
con
Gianmaria Martini Prometeo

Alessia Pellegrino Bia (Violenza) e Io

Enrico Campanati Ermes

Roberto Serpi Efesto e Coro delle Oceanine

Pietro Fabbri Cratos (Potere) e Oceano

capo macchinista Marco Lubrano

macchinisti Carlo Garrone Fabrizio Camba

attrezzista Renza Tarantino

realizzazione costumi Umberta Burroni e Paola Ratto

direzione tecnica Roberto d’Aversa

acting coach di Gianmaria Martini Paolo Antonio Simioni

 

produzione Fondazione LuzzatiTeatro della Tosse