FRANCESCA GIULIANI | “Patrimonio” è la traccia che segna questa edizione 2017 del festival Ipercorpo. Se da una parte la parola sintetizza quel complesso di “beni” di valore variabile a seconda del momento storico-politico in cui viene calcolato dall’altra, travalicando le varie sfaccettature del termine, come innescare l’idea di patrimonio culturale all’interno di un nuovo indice di valori? Come uscire da quell’orizzonte descritto da Zygmunt Bauman della modernità liquida dove la cultura non ha più un ‘volgo’ da illuminare ed elevare ma clienti da sedurre, dove la funzione della cultura non è di soddisfare bisogni esistenti, ma di crearne di nuovi? Come cambiare prospettiva tentando di immaginare i luoghi d’arte come “palestre di partecipazione alla vita democratica? E nello spettacolo dal vivo? Cosa rimane? Cosa è patrimonializzabile e perché?”

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ph. Lucia Baldini

Queste sono alcune delle questioni mosse dal festival forlivese che ha ospitato sabato 27 maggio il travolgente spettacolo di Silvia Gribaudi, R.Osa. Esercizi di danza per nuovi virtuosismi. In scena c’è la dirompente Claudia Marsicano, costumino intero azzurro stile Jane Fonda, che si dissolve poco dopo in un bikini nero mozzafiato. Lo spazio è vuoto. In mezzo alla scena una bottiglia d’acqua necessaria non solo a dissetarsi durante i dieci esercizi ma soprattutto al finale dove una super sirenetta sguazzerà audacemente per salutare gli spettatori. Entra e immobile intona con una voce incantevole una canzone country. Il ritmo accelera e da qui in poi lo spazio è lasciato al corpo. Un corpo “stravagante” a dare lezione di forma ed eleganza. Un corpo “pesante” a dare l’idea di infinita leggerezza ed evanescenza. Oltrepassando i limiti della propria fisicità la performer sta in scena con il suo solo corpo che grida: gesti esatti e sguardi perfetti a segnare la necessarietà di essere li sconfessando quell’aspetto che i più celebrano come perfetto. Dentro la cornice di presentazione dei differenti virtuosismi l’ironia spiazza e travolge il medium stesso che la ospita. Gli esercizi, esplicati prima a parole, evocano abilità che sono poi esplicitate dalla potenza di una mano che si libra in aria, da una struttura che da meccanicamente mobile si fa vaporosa, dalle infinite smorfie che animano una canzone pop danzata nel nostro immaginario da esili teenager seminude. E il pubblico segue entusiasta i movimenti della sua “personal trainer”.

Come tentare di costruire una comunità piuttosto che cercare continue strategie per ingaggiarla si chiede il festival e il suo ideatore e direttore artistico, Claudio Angelini. Qui qualcosa si è innescato. Un gioco di ammiccamenti ironici, risate, sguardi e attenzione alla “one woman show” che con la sua energica vitalità ha trascinato un’intera platea a rincorrere i suoi gesti. Una comunità molto temporanea, fatta di quei minuti di spettacolo, ma cosa resta? Qualcosa. Un’azione assunta dal corpo. Un’immagine di rottura. Un’idea di “rivolta”. Una parola sicuramente: osare.

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ph. Gianluca Naphtalina Camporesi

Corpo centrale – spettacolo che chiude la stagione contemporanea del Teatro Diego Fabbri – è il titolo del lavoro che Città di Ebla dedica alla ri-lettura che è nuovo sguardo sulla città di Forlì. Uno schermo dietro e sopra al quale vivranno tutte le scene abita il proscenio. Su di esso vengono proiettate citazioni, domande e immagini con le quali andranno ad interagire i performer. “La poesia è più duratura delle piramidi e del bronzo” è la citazione da Orazio che apre lo spettacolo e lancia lo scorrere sul velo delle immagini della città che si fa soggetto e oggetto stesso della messa in scena. Un viale imponente che collega il centro alla stazione ferroviaria, il Viale della Libertà, progettato alla fine degli anni ‘20 come luogo monumentale, pensato da Mussolini in previsione di parate che non ci sono mai state, ospita oggi studenti, treni, auto, autobus, viaggiatori e biciclette in un viavai rumoroso e a tratti caotico. Sfumato dallo schermo come arrivasse da un altro tempo, appare di spalle la figura di uomo vestito di bianco. Grida in dialetto romagnolo una richiesta: “Minghin voglio fare un bagno!” Due figure in nero lo spogliano mentre viene proiettata l’immagine di una piscina. Si tuffa, nuota e se ne va. Alle successive proiezioni delle immagini di Forlì alle quali fanno eco i rumori stessi della città intervallati da suoni più elettronici si sovrappongono due corpi di danzatori. I due eccellenti performer si alternano – in video uno e in scena l’altro – per dialogare con la geometrica rigidezza dei monumenti cittadini. All’ingresso dell’uno scompare l’altro. Il corpo ginnico di Alessandro Bedosti in scena al di la della sottile patina bianca si intreccia e si con-fonde con le proiezioni, in particolare con i primi piani del Monumento ai caduti; Andrea Costanzo Martini, in video, danza all’interno dei monumenti della città evidenziando un dialogo che a tratti appare senza risposta. Se da una parte il rapporto tra corpo in movimento e staticità del monumento sembra facilitato dal dialogo tra scena e fotografia, dall’altra la ricca fluidità del movimento sembra attivare un discorso che non trova risposte nel confronto con l’immobilità e l’ingombro delle architetture. È come se – utilizzando il pensiero di Jean-Cristophe Bailly – la fotografia dei monumenti rispetto all’esserci dentro realmente portasse un effetto di rottura e rendesse fatalmente contemporaneo quello che si vede.

Alla scena si alternano in nero brevi tracce di pensiero che fanno risuonare il denso magma che crea il cortocircuito tra immagini, suono e movimento in scena: “I monumenti non sono mai inclusivi.” “Lo spazio pubblico è ancora il luogo dove passano informazioni?” “Produciamo archivi. Cancelliamo tracce.” “Quale responsabilità hanno i media nel declino dell’esperienza?” “Spazi, presenza, azione non combaciano: ciò nega la presenza di una comunità.”

Poi entrano dei bambini, zaini in spalla. Si siedono posando una clessidra a terra a segnare lo scorrere del tempo e sull’immagine di una mappa che copre il palcoscenico iniziano a costruire con i lego una città ideale. A chiudere, rispecchiando l’apertura, un’altra citazione: “Se l’occhio guarda con amore esso vede”. Seppur non volendolo Carlo Levi non poteva descrivere meglio ciò che era appena accaduto in scena.

R.Osa

di Silvia Gribaudi

performer Claudia Marsicano – finalista premio UBU 2016 Nuova Attrice Under 35

coreografia e regia: Silvia Gribaudi

contributo creativo: Claudia Marsicano

disegno luci: Leonardo Benetollo

costumi: Erica Sessa

consulenza artistica: Antonio Rinaldi, Giulia Galvan, Francesca Albanese e Matteo Maffesanti

produzione: Silvia Gribaudi Performing art, La Corte Ospitale

coproduzione: Santarcangelo Festival

con il supporto di Qui e Ora Residenza Teatrale – Milano, Associazione Culturale Zebra – Venezia

in collaborazione con: Armunia Centro di residenze artistiche – Castiglioncello / Festival Inequilibrio, AMAT – Ass. Marchigiana attività teatrali, Teatro delle Moire / LachesiLAB – Milano, CSC Centro per la scena contemporanea – Bassano del Grappa

 

Corpo Centrale 

una produzione di: Città di Ebla / Ipercorpo 2017 :: Patrimonio

in collaborazione con: Teatro Diego Fabbri-Stagione Contemporaneo, ATRIUM-Rotta culturale Europea

con il contributo e il sostegno di: MIBACT, Regione Emilia Romagna, Comune di Forlì

ideazione e regia: Claudio Angelini

in collaborazione con: Alessandro Bedosti

con: Elisa Nicosanti, Andrea Costanzo Martini, Davide Fabbri, Daniele Romualdi, Manuel Pascalis, i bambini dell’Oratorio Salesiano San Luigi Forlì

suoni: Davide Fabbri

editing video: Gianluca Camporesi

operatori video: Achille Matassoni, Davide Adamo

coordinamento scene con i bambini: Ginevra Ferrito, Mara Zaino

si ringraziano: Carmine Capriolo, cesare Marchetti, Maria Teresa Indellicati, Barbara Bezzi, Elisa Gandini, Andrea Papi, Giancarlo Gatta

si ringraziano inoltre: Liceo Classico, Istituto Tecnico Industriale di Forlì, Ex-Gil, Istituto Salesiano Orselli