ESTER FORMATO –  Se dovessimo pensare ad un discorso unico sui cinque  spettacoli visti a Castrovillari negli ultimi due giorni di festival, ci vengono in mente le possibilità drammaturgiche che essi hanno presentato, ricche di tensioni, spinte propulsive di linguaggi che s’inseriscono in esse e che testimoniano l’arduo tentativo di stabilire altre prospettive e frontiere espressive il cui sforzo, anche se con risultati contrari o non esaustivi, non è mai scontato.

Se da un lato La Crepanza di Maniaci d’Amore, Lingua di Cane di Cutino/Petyx e la Cerimonia di Oscar De Summa sono drammaturgie originali che però una volta sul palco presentano delle criticità in termini di coesione narrativa o di scelta relativa ai linguaggi propriamente scenici, d’altro canto il Cantico dei Cantici di Roberto Latini e di Io non sono un gabbiano della Compagnia Oyes  partono da un testo preciso, agendovi fortemente dall’interno, (ri)creando spunti o permeando simultanei linguaggi differenti.

A metà strada di questo ragionamento sta La Cerimonia di Oscar De Summa, prodotto – non è scontato in una vetrina come quella di Primavera dei Teatri – dal Metastasio di Prato. Di un’articolazione assolutamente differente dagli spettacoli precedenti, la Cerimonia ha stavolta un plot drammaturgico che ricalca una sorta di dark comedy degli anni duemila, con tanto di intreccio e personaggi. Madre, padre, zio e figlia adolescente vivono attanagliati da individuali frustrazioni ed angosce che esacerbano la comunicazione in famiglia. Se all’apparenza sembrano esserci dei criteri di drammaturgia tradizionale,  invece la frontalità (al pubblico) con la quale si affrontano i dialoghi – per darci il senso di una frantumazione affettiva, è chiaro – la presenza, forse superflua, di testi sullo schermo al fondo d’assito, la meccanicità degli affronti fra i personaggi (avanzano sul proscenio e rientrano verso il fondo schematicamente) che molto a fatica portano allo scioglimento dell’azione che diviene chiara solo alla fine, dilatano la forma drammaturgica dell’operazione sfibrandone tutto l’assetto e se ne perdono spesso le fila. Anche qui una maggior coesione della drammaturgia in sé sarebbe stata auspicabile e meglio relazionata al personaggio della figlia, quale motore dell’azione. Inoltre, talvolta il linguaggio sembra ammiccare a certi stilemi di telefilm d’oltreoceano ed a un ritmo urlato facendoci sfiorare la cattività e l’incapacità di amare da parte dei membri di questa famiglia ma che, purtroppo, paiono fermarsi sul limite della quarta parete.

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La Cerimonia di Oscar De Summa

 

Ne La Crepanza di Maniaci d’Amore vi si rivengono delle peculiarità del lavoro artistico di Francesco D’Amore e Luciana Maniaci; l’attitudine, specialmente, ad una certa estrosità espressiva (gesti, parole, costumi, caratterizzazione personaggi) che designi la fragilità affettiva in cui tutti noi siamo immersi oggi, con ironici riferimenti alla psicologia che esorcizzano la tendenza a prenderci troppo sul serio. Ancora suggestionati da Tropicana di Frigoproduzioni, accediamo ad un’altra immaginaria terra apocalittica, forse solo suggestione dei due personaggi reduci da un inquietante rave party. Il temporaneo isolamento di questi due giovani nevrotici che si sobbarcano il compito di educarsi affettivamente l’un con l’altro al fine di formare un nucleo affettivo nell’evenienza di un esilio ad oltranza, dà adito ai due artisti di porre in evidenza i caratteri del loro teatro, sospeso fra patina brillante, ritmi surreali e pop. Ma se inizialmente il lavoro parte da un’idea di fondo chiara – quale quella di trasfigurare in un non luogo le deliranti incertezze di due giovani – man mano questa rischia di diventare evanescente. I due forse approderanno ad una salvezza, ma lo spettacolo risulta alla fine scompaginato in un procedere di un linguaggio accattivante si, ma che doveva forse essere ancorato ad uno sviluppo narrativo più coeso e preciso.

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La Crepanza di Maniaci d’Amore

Di Lingua di cane invece, ci ricorderemo della composizione scenica dei personaggi che incarnano con  passaggi, a dire il vero confusi, immigrati e siciliani insieme sospesi in una sorta di limen fra terra d’approdo e onde del mare. L’idea di fondo assomiglia ad un’intonazione corale che si sbriciola nelle voci individuali e che intende forse rifuggire da una narrazione più delineata per non cadere negli stilemi retorici del tema. Tuttavia, nella prassi scenica, negli elementi visivi si ricreano suggestioni che non vanno oltre quelle già da tempo sdoganate, nonostante alcuni quadri potrebbero promettere una restituzione poetica e introspettiva di una tragedia collettiva che qui si disperde in plurime voci, confondendo chi sta da questa o dall’altra parte. La partitura dei corpi ed alcuni simboli visivi (le sartie, la sagoma di una nave sul finale che ha per vela gli indumenti di chi giace sul fondo del mare, come il pesce chiamato lingua di cane) non riescono ancora ad affrancarsi da stilemi espressivi e linguaggi scenici semplicistici che finiscono per prendere in ostaggio le parole e le intenzioni di questa “drammaturgia scenica” che confina migranti e non in uno spazio sospeso fra mare e terra, di tutti e di nessuno.

La nostra narrazione su Primavera dei Teatri 2017 continua ancora con un ultimo racconto…

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Lingua di Cane

 

LA CERIMONIA

di Oscar De Summa
regia Oscar De Summa
con Oscar De Summa, Vanessa Korn, Marco Manfredi, Marina Occhionero
Produzione Teatro Metastasio di Prato/Oscar De Summa

LA CREPANZA – OVVERO COME DANZARE SOTTO IL DILUVIO

di e con Francesco D’amore e Luciana Maniaci
regia Andrea Tomaselli
Maniaci D’Amore Teatro/ Fondazione Luzzati – Teatro della Tosse / Nidodiragno
in collaborazione col Teatro di Messina

LINGUA DI CANE

con Franz Cantalupo, Sara D’Angelo, Elisa Di Dio, Noa Di Venti, Mauro Lamantia, Rocco Rizzo
drammaturgia Sabrina Petyx
regia Giuseppe Cutino