FILIPPA ILARDO | Lo scirocco che confonde le voci e le mischia a quelle del mare, il vento caldo che proviene da Sud-Est e prende il nome dalla Siria, il vento che si infiltra tra le parole, le narrazioni, le note, le proiezioni, gli incontri, gli ascolti: si è preso la parte che gli spettava il vento, quella di protagonista del Levanzo Community Festival dal titolo Vento io ti racconto, dal 14 al 23 luglio. Collage_Fotor.jpg

Il posto è un’isola, la più piccola delle Egadi, montagna inospitale che respinge ad un’avara lingua di terra il porticciolo, spiagge rocciose e terrazze che si aprono molteplici verso il mare: il mare è sempre lo stesso, è la visione che cambia. A Levanzo ci sono tutti, musicisti, artisti visivi, scrittori, drammaturghi, attori, sceneggiatori, danzatori, giornalisti, architetti, editori, critici, sono lì a respirare la stessa aria mista a vento. A volte serve proprio un posto così, lontano, periferico, per avvicinarsi a quel qualcosa che sembra sfuggire. L’isola non è solo un luogo fisico ma una condizione mentale privilegiata, un punto di vista insolito, necessario.

Lo sa bene Giuseppe Marsala che del Festival è il direttore artistico, che per il secondo anno li raduna tutti qui, sullo scoglio sperduto sul mare, con progetti nuovi, site specific, così si dice, progetti pensati, nati, vissuti, chissà anche morti, nel giro di un festival, o forse no, non importa, perché qui si forma e si trasforma la materia, le idee si adattano ai luoghi e vi si adagiano, le parole sembrano partorite dalla battigia e i suoni hanno dentro il fragore indisciplinato del mare. Lo sanno bene anche Beatrice Monroy e la sua casa, chi entra e chi esce, lei tessitrice di storie, di incontri, di idee, ma anche di insegnamenti.

Lo spettacolo che vediamo infatti nasce nell’alveo della Scuola dei mestieri dello spettacolo del Teatro Biondo di Palermo, diretta da Emma Dante, in cui Beatrice insegna drammaturgia. E partiamo subito da un fatto: la scuola del Biondo, è tra le pochissime in Italia, l’unica in Sicilia, che preveda tra gli insegnamenti quello di drammaturgia, un monito per gli allievi, non siate dei semplici “scritturati”, ma osate con la scrittura, con l’autorialità, con la creazione drammaturgica. Non solo attori, quindi ma anche autori, come testimonia la raccolta di sei testi del corso di drammaturgia della Scuola che meritoriamente la Casa Editrice il Glifo, con il suo lavoro prezioso e la sua sensibilità verso la drammaturgia, ha già pubblicato. Aspettando Antigone e altri racconti, fa parte della collana “Ingranaggi”, dedicata alla macchina teatrale e al suo funzionamento, dove vengono pubblicati testi teatrali, saggi e approfondimenti sul teatro, con particolare attenzione ai processi creativi, alla pedagogia teatrale. Una fucina di artisti totali, dicevamo, che si mettono in gioco come autori, e accettano il rischio e la sfida della creazione. Non è un caso che una scelta tale avvenga a Palermo, dove, negli ultimi decenni, si sono concentrati assai drammaturghi, a partire da Scaldati in poi, accomunati forse da una stessa matrice, ma con direzioni diverse, talora opposte. Cosa renda poi Palermo così gravida di creazioni e sperimentazioni teatrali c’è ancora da chiederselo, pur sapendo che all’interrogativo non ci sarà mai una risposta esaustiva.

E proprio a Palermo nascerà, presso il Teatro Mediterraneo Occupato, Opificio incanto – scuola per le scritture, presentata in occasione del Festival, un percorso formativo, diretto da Rosario Palazzolo, aperto a chi si vuole avvicinare alla scrittura drammaturgica, scenica, narrativa, che vedrà tra i formatori Sabrina Petyx, Tino Caspanello, Beatrice Monroy e Davide Enia. Umberto Contarello, grande sceneggiatore che non perde l’occasione di prendere la parola durante la presentazione, si chiede se sia ancora possibile insegnare a scrivere, non senza la presunzione di chi lo ha fatto per troppo tempo. La domanda apre molte questioni, tra cui la dimensione artigianale della pratica di scrittura, il metodo del fare contro quello del descrivere, men che meno di prescrivere o dettare regole, la dialettica tra tecnica e superamento della stessa, la necessità di una riflessione sulle ragioni della propria poetica attraverso un confronto dinamico con un gruppo di allievi. Tutti ragionamenti che hanno al centro la parola, che sono fatti di parole, e che paradossalmente intendono negare la pretesa logocentrica di definire, incasellare il mondo e la realtà con le parole.

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E torniamo allo spettacolo di cui parleremo, Io sono il vento, mise en espace tratta da uno dei sei testi prodotti dalla scuola, quello di Sara Calvario, giovane romana, diplomata alla scuola del Biondo, di cui lei stessa, insieme a Clara De Rose cura la regia. Due sorelle, un padre, la badante del padre: quattro vite o frammenti di vite, attorno ad un miracolo organizzato e confezionato che vede al centro Adele, che però di fare la miracolata-miracolosa è stanca, come è stanca di salire sul carro conciata come una madonna, ogni anno. E tra scatole piene di buchi come la memoria, la memoria si fa strada e così l’analessi temporale riporta alla memoria una “grazia ricevuta” che ci ricorda la scena del film di Manfredi del bambino caduto e miracolosamente salvato. Non importa se il miracolo ci sia davvero, l’importante è quello che si crede o si vuole credere. Un interrogativo giocato sul filo del paradosso con il tema del sacro, tra madonne nere troppo brutte per essere sante e miracolose, che poi però i miracoli li fanno davvero, e madonne che nascondono crepe e buchi, ma se si stacca un occhio, sotto ne hanno un altro, brutto come quello di prima. Lo spettacolo ha la leggerezza e insieme la gravità di chi si interroga sull’orlo, da una parte il sacro dall’altra il profano, da una parte il mistero dall’altra la verità, da un lato la dissacrazione dall’altro la devozione.

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Lo scetticismo beffardo della sorella, Mariagiulia Colace, il mutismo misterioso del padre, Salvatore Galati, la solitudine petulante della badante polacca, Clara De Rose, tutte tensioni che gravitano attorno al dramma di Adele, Sara Calvario: la santità è una maschera che fissa la forma della vita vera, quella che ha buchi e ripensamenti, dubbi e palpitazioni. Quattro giovani talenti e quattro strade che si delineano… chissà dove li porterà il vento.

 

Io sono il vento

di Sara Calvario

Mise en espace teatrale degli allievi della Scuola dei mestieri dello spettacolo del Teatro Biondo di Palermo diretta da Emma Dante

Con Sara Calvario, Mariagiulia Colace, Clara De Rose, Salvatore Galati

Regia di Clara De Rose e Sara Calvario