EMILIO NIGRO | È lo spettacolo Fil rouge del collettivo L’Amalgama di Milano, decretato vincitore (da una giuria di critici e operatori) del concorso under 35 Intransito, giunto alla terza edizione, organizzato dal Comune di Genova in collaborazione con Teatro Akropolis (Genova), Associazione La Chascona, Officine Papage e sostenuto dalla Siae.
Una riflessione sull’identità femminile, inscenata dando voce e azione a cinque giovani donne d’estrazione e personalità diverse a volere svelare, tra il personale e l’immaginario, l’universo policromatico dell’essere donna.
Una caratteristica immediatamente evidente accomuna le proposte sceniche della rassegna: il coraggio. La capacità, e la meravigliosa incoscienza anche, di osare strumentalizzando nell’arte scenica l’indagine dello sguardo e della ricerca rivolta al reale, all’attorno, all’intimo. Il coraggio di mutare il pensiero in materia plastica, vivida, teatrale, con linguaggio trasgressivo, originale, serbando riferimento a codici assimilati – di cui se ne mostra sapienza, meno dimestichezza – e smarcarsene.
Di conseguenza, non è la relazione con la visione ad avere la meglio, nemmeno il resoconto di significazione nella comprensione collettiva scaturita dallo sguardo. In altre parole, l’empatia tra palco e platea risulta emarginata, scalzata dall’esibizione, dagli entusiasmi della scoperta, del suscitare a tutti i costi thauma, stupore (ritenendo sia possibile con acrobazie dialettiche o figurative). Atteggiamento non biasimabile, incidente però sulla tenuta dei lavori, sulla godibilità, sulla mancanza di abbandono, di correlazione di fiducia tra spettatori e attori che disattiva lo sguardo sovrastrutturale.
Lo spazio scenico è sì un luogo di libertà ma anche di oggettivazione significativa. Niente accade, si guarda, ha vita, immagine, suono per caso o per tentativo. E i tentativi di extra-ordinario, nella costruzione scenica e drammatica, potrebbero risultare talvolta fuori luogo.
Due gli spettacoli in scena nella serata conclusiva della rassegna. Attorno, una Genova autunnale, tiepida e odorosa di mare, anche dove è lontano.

Eoika

Eoika di e con Sabrina Vicari e Federica Aloisio, palermitane, apre la serata. L’archetipo del sé e dell’altro da sé in figure corporee e silenti, immagine fisica e partitura (bio)meccanica. Il pensiero materializzato che si origina per scena (cit. De Chirico). Un giocare con la coscienza della propria presenza attoriale e interpellare lo spettatore nell’atto creativo. Far vedere del processo, con l’intenzione di non mostrare. Di intorpidire, piuttosto, lo svelamento.
Scene non conseguenti. Non determinate da indirizzi testuali né dialettici. Visionarie. Sembrare qualcosa (il significato della parola greca ‘Eoika’) e suggerire così la chiave di lettura e comprensione dello spettacolo. Far riflettere sull’apparenza e sul vero, su ciò che si immagina e ciò che è reale, ciò che si vede e ciò che è. E di come questo determina le relazioni fra umani.
Al centro del lavoro attoriale e registico il concetto di corpo duplicato: la figura sproporzionata e diversificata formalmente, attraverso l’utilizzo del corpo e delle potenzialità anatomiche di trasmutare, drammatizzata da un impianto drammaturgico/narrativo. Culturale, volendo significare con il termine la trasposizione di tradizioni di pensiero e atteggiamenti artistici di un’area geografica caratterizzata da eredità grecaniche: per esempio l’ossessione per l’aspetto fisico e atletico, la deformità, il mito, il costume di figurarsi in rappresentazioni d’animali e di esseri chimerici nei riti di riconoscimento e iniziazione sociale e misterica. Il teatro che pone l’uomo dinnanzi alla memoria di sé.
Lo spettacolo, pregevole, tuttavia non restituisce pienezza di fruizione, risultando leggermene d’esibizione.

Di altra fattura lo spettacolo L’imbroglietto – variazioni sul tema della compagnia Habitas di Roma, un dichiarato omaggio a Karl Valentine, Liesl Karlstad e Raymond Queneau. Nato nella versione di corto teatrale, e premiato in precedenti rassegne, ai venti minuti di proposizione oggettiva d’una situazione in divertissement si aggiungono numerose variazioni stilistiche e poetiche a completamento dell’opera.
La dialettica in questo caso è ossatura e fulcro creativo. Un linguaggio fitto e d’invenzione, un lavoro drammaturgico, quindi, notevole, a emancipare la prova attoriale, più o meno credibile. Storpiare vocaboli e vocalità a rinnovare l’utilizzo prosaico e determinare una comprensione altra. Spostare la consuetudine d’ascolto.
Poca scenografia, l’oggetto immediatamente simbolo d’un insieme concettuale e di rimando sociale, la riflessione scaturita (e indotta direttamente dalle scene e dal dinamismo degli elementi di scena) su dinamiche relazionali, consumistiche, culturali. Dire, senza troppo dichiarare, della situazione attuale del teatro.

L’imbroglietto

Ma sta tutto nel duello/duetto attoriale, nella potenza scenica della coppia: la chiarificazione dell’indagine per la rappresentazione del rapporto più comune e plurale. Alla maniera dei succitati geni, a cui si rende omaggio, tra lo slapstick e la gag, il circense e l’acrobatico (dialettico in questo caso). Buone le intenzioni, meno il tentativo.
La proposta risulta d’eccesso, per esagerazione formale e smarrimento di caratterizzazioni. Perché al pragmatismo dell’efficacia si preferisce l’eccitazione, il procurare visibilio con sovrabbondanza di elementi che poco rispettano la purezza del gesto, della parola drammatizzata, dell’azione determinata, dei meccanismi netti.
Un compiacimento poco utile a creare empatia. Questo non adombra l’intelligenza della creazione e le brillanti tracce drammaturgiche e attoriali. C’è tempo per rifarsi.

Eoika
Di e con Sabrina Vicari e Federica Aloisio
Musiche dal vivo di Angelo Sicurella
Luci Gabriele Guagliara
Costumi Sabrina Vicari
Palermo


L’imbroglietto variazioni sul tema
Testo e regia: Niccolò Matcovich
Con Livia Antonelli, Valerio Puppo e un Macbook
Musiche Adriano Matcovich
Compagnia Habitas
Roma

Visti alla rassegna under 35 Intransito, il 18.11.17 – Teatro Akropolis, Genova.