MARTINA VULLO | 24 Novembre, ore 21. Sul palcoscenico della sala Leo De Berardinis, all’Arena del Sole, ci sono 4 personaggi: due uomini e due donne. Vestono abiti di un grigio asettico, come la scena con quinte visibili, pannello scuro in fondo, asta con microfono e il termosifone, icona dello spettacolo: Il cielo non è un fondale di Daria Deflorian e Antonio Tagliarini, candidato a 5 premi Ubu, è un découpage di sogni, paure, immagini e contraddizioni che si alternano attraverso la voce dei protagonisti. 

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ph. Elizabeth Carecchio

Le luci fisse e deboli, che rischiarano la scena, sembrano preludere al carattere intimo degli interventi dei personaggi, che dagli attori traggono i nomi oltre che le esperienze. Performer e al contempo personaggi, nel doppio della scena come in quello della vita – goffmaniamente intesa quale continuo processo di rappresentazione del sé di fronte agli altri – sembrano fremere per esibirsi. Amici  fra loro ma incapaci o disinteressati ad ascoltarsi, faranno continuamente a gara per sovrastare le parole dell’altro, rendendo il loro presunto dialogo, un egocentrico alternarsi di monologhi pieni di aneddoti, pensieri e personali filosofie contraddittorie e, a volte, un po’ deliranti. A fare da sfondo a questa dinamica c’è il tema della grande città che si materializza coi suoi rumori attraverso le partiture vocali eseguite dalla performer Monica Demuru (unica presenza in scena estranea al gioco degli altri interpreti). È una grande città, fitta di non-luoghi (strade, giardini, grandi mercati) in cui l’individuo, pur nella folla, si perde nella sua solitudine e si scopre sempre più piccolo nella sua inettitudine della relazione con l’altro che, pur volendo al limite, non è in grado di aiutare.

élizabeth Carecchio
ph. Elizabeth Carecchio

La piccolezza dell’uomo a fronte della grande metropoli è sintetizzata visivamente da una fotografia ingiallita, scattata da Jack London nel 1902, che ritrae dei senzatetto londinesi accasciati come dei sacchi sul suolo di Green Park, mentre nella distanza fanno da contraltare gli enormi palazzi della città. Scattando la foto, che ci si materializza nella mente attraverso le parole e la mimica degli attori, lo scrittore voleva rendere testimonianza della condizione sociale delle classi più povere dell’East End londinese. Pare che per realizzarla si sia camuffato fra i gruppi  di senza tetto che, perseguitati dalla polizia locale, vagavano di  notte per la città, fino all’apertura del primo parco pubblico all’alba. È un’immagine che il 24 Novembre a Bologna, potenzia la messinscena con una forza del tutto estranea alla rappresentazione: quella dell’attualità della città universitaria, dove il 22 Novembre, un giorno dopo l’esordio dello spettacolo all’Arena del Sole, e ad oltre un secolo di distanza dal 1902, con l’applicazione della legge Minniti, è stato ordinato il daspo urbano a 10 clochard che dormivano sul suolo cittadino.

Malgrado la densità di alcune delle tematiche che il testo affronta, elemento chiave dello spettacolo è l’autoironia non solo dei protagonisti, ma propria anche del pensiero degli autori rispetto alla drammaturgia, che riflette sui propri dispositivi (ironizzando sul processo essenziale del far chiudere gli occhi allo spettatore durante i cambi di scena). Alla nota salace contribuiscono i personaggi, nelle buffe e macchiettistiche fragilità, che si esaltano quando descrivono i disagi personali e altrui: la frustrazione di un lavoro che non appaga, la solitudine di una trans e di una signora anziana che si abbracciano di notte dentro a un pub semivuoto, un uomo ubriaco che cammina vaneggiando o un ex generale dell’esercito che fuori patria vende le rose.
A intervallare e sintetizzare le diverse sequenze sceniche intervengono ispirati momenti musicali opera di una bravissima Demuru, che torna su classici del pop italiano d’autore (Mina, Dalla, Battisti) alleggerendo i passaggi ma anche regalando una sorta di atmosfera amarcord.

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ph. Elizabeth Carecchio

Ne vien fuori una creazione che nel suo comporsi, nel quasi sproloquio dei suoi personaggi, che porta ad accarezzare argomenti tanto numerosi quanto effimeri, sembra intonare una sinfonia della vuotezza delle parole; emblematica a questo riguardo la lunga e accurata disquisizione filosofica sull’importanza del termosifone.
“Tutto è vero e tutto non è vero”: lo ricorda la canzone di Giovanni Truppi con cui si conclude lo spettacolo, esaltando nel finale quella sensazione dicotomica che si legge in tutta la creazione fra densità e levità, amarezza e ironia.

 

IL CIELO NON E’ UN FONDALE

di Daria Deflorian, Antonio Tagliarini
con Francesco Alberici, Daria Deflorian, Monica Demuru, Antonio Tagliarini
testo su Jack London Attilio Scarpellini
musiche Lucio Dalla, Mina, Georg Friedrich Händel, Lucio Battisti
la canzone “La domenica” è di Giovanni Truppi
assistente alla regia Davide Grillo
disegno luci Gianni Staropoli
con la collaborazione di Giulia Pastore
costumi Metella Raboni
produzione Sadegna Teatro, Teatro Metastasio di Prato, Emilia Romagna Teatro Fondazione 
coproduzione A.D., Odéon – Théatre de L’europe, Festival d’Automne à Paris, Romaeuropa Festival, Théatre Vidy – Lausanne, Sao Luiz – Teatro municipal de Lisboa, Festival Terres de paroles, Théatre Garonne, scène européenne-Toulouse 
sostegno Teatro di Roma 
collaborazione Laboratori permanenti /Residenza Sansepolcro, Carrozzerie | N.O.T / Residenza produttiva Roma Fivizzano 27 / Nuova script ass. cult. Roma