marcel-duchamp-lhooq.jpgRENZO FRANCABANDERA e MICHELA MASTROIANNI | RF: Mi chiedo, nell’iniziare questa riflessione, quanto intervenire su un’opera d’arte ne lasci l’attribuzione al primo creatore e quanto al secondo con riferimento all’esito finale dell’intervento. Penso ad operazioni come quella radicale, pur nei pochi tratti, di Marcel Duchamp su una cartolina della Gioconda di Leonardo, o alla riscrittura per pianoforte della 9a di Beethoven da parte di Liszt. Sono interventi che hanno modificato radicalmente il senso dell’opera originaria che li ha ispirati, a volte cambiando completamente la direzione semantica. Questa introduzione vale per specificare che secondo me parlare nel caso che ci occupa di un’opera di Ibsen è come parlare dell’opera L.H.O.O.Q., meglio nota come la Gioconda con i baffi, di Duchamp, come di un Leonardo.
L’adattamento e la riduzione che Federica Fracassi e Luca Micheletti stanno portando in scena in questa stagione nei teatri italiani dell’opera ibseniana Rosmersholm è in realtà un adattamento vigoroso, importantissimo di Massimo Castri, che espunge, ritaglia dal testo di Ibsen la vicenda dei due protagonisti. Ma è un’opera di Castri non meno di quanto sia opera di Ibsen. Non parliamo di un’operazione alla Isgrò, che ha coperto le righe di Ibsen per dargli un senso artificiale e distante, ma è innegabile che l’impianto luci e di relazione dell’opera di Ibsen sia radicalmente modificata.

MM: La questione che tu proponi in termini di autorialità o legittima attribuzione di un’opera ad un autore, è allo stesso tempo una riflessione antica e una conseguenza dell’ingresso del prodotto letterario nella sfera dei beni commerciabili. Ad Eschilo non chiesero mai quanto fosse sua o di Omero la vicenda di Agamennone, ma già a Terenzio fu necessario difendersi dall’accusa di plagio dal commediografo greco Menandro e di contaminatio, cioè di avere sporcato, corrotto ed inquinato testi originali greci attraverso la loro mescolanza per ottenere i suoi testi latini. Così nel prologo dell’Andria e dell’Heautontimoroumens Terenzio è costretto ad argomentare sulla legittimità della libera rielaborazione dei modelli, ma non arriva a spiegarne la necessità. Su questo punto invece è molto più esplicito Castri, che spiega il suo procedimento di lettura e rilettura dei testi come “un sano rapporto erotico, fatto di fedeltà e tradimento” perché possa funzionare. (Massimo Castri, Responsabilità del regista, «Dioniso. Rivista di studi sul teatro antico», LXIII, 1993, fasc. II, p. 155.)
In effetti l’operazione di Castri sul testo di Ibsen non è una riscrittura né una riduzione, ma una rilettura, un esercizio di libertà esegetica ed ermeneutica, oltre che di lento e paziente artigianato testuale. La mano e la mente di Castri entrano in relazione con la materia narrativa e con il pensiero di Ibsen con una profondità di cui è testimonianza evidente il volume Ibsen postborghese, (Ubulibri, 1984) che riordina i materiali di studio dei suoi taccuini ibseniani.
Micheletti-Fracassi-Rosmersholm-ph.-Distefano-IMG_2126.jpgIl testo di Rosmersholm nella rilettura di Castri può essere dunque considerato una manifestazione della dialettica composizione/esecuzione implicita in ogni messa in scena. Come la musica esiste sia in forma compatta nello spazio (la composizione) sia in sequenza di istantanei frammenti nella dimensione del tempo (l’esecuzione), anche questo teatro (di Castri, ma anche di Micheletti e Fracassi) vive della dialettica tra vincolo testuale e libertà di illuminare un senso oltre o dentro il testo, oltre o dentro la parola.

RF: Quello che resta di una vicenda complessa e sociale, come era il testo di Ibsen, è quindi l’osso del rapporto fra due individui nel chiuso della loro ossessione sentimentale. Una ballata dell’amore cieco, che cerca nella logica la sua declinazione. Due individui che proveranno anche ad indossare i panni l’un dell’altro, senza mai riuscire, finendo per questa impossibilità con il darsi la massima prova di devozione possibile.
Lo spazio scenico è il giardino fiorito di Ibsen al quale sono stati recisi i fiori. Gli spettatori si dispongono attorno alla scena su quattro lati, mentre al centro dello spazio, su questa aiuola violentata, un lungo tavolo accoglie le due salme. La sala con balconata del Franco Parenti dove abbiamo visto la replica è stata poi utilizzata in senso ampio, consentendo di rompere progressivamente il gioco della scatola scenica pur preservandone una integrità fruitiva, e non di rado questa rottura del nucleo di fruizione arriva dal suono. Ma vorrei tornare sulla drammaturgia, perchè quando il pubblico entra nello spazio della rappresentazione, su due tavoli lunghi, sono sdraiati i corpi senza vita dei due personaggi, illuminati da lampade ad olio. Insomma Castri inizia dove Ibsen finisce. Quindi mentre per Ibsen il processo che porta alla morte dei due è deduttivo, per Castri è uno strano percorso. Che potremmo definire abduttivo? Induttivo?

MM: John Cage raccontava spesso che la sua esplorazione del silenzio si definì in una camera anecoica dell’università di Harvard. Nell’isolamento perfetto da ogni rumore esterno Cage sentì due suoni, uno alto e uno basso. Chiese al tecnico di servizio cosa fossero e glieli descrisse. Quello rispose che il suono alto era il suo sistema nervoso in funzione, quello basso il suo sangue in circolazione. Cage così arrivò alla conclusione che non esiste una cosa chiamata silenzio, perché accade sempre qualcosa che produce suono. E sentì il suo e percepì la sua vita come puro accadere. Nello stesso modo Castri si mette in relazione con i testi (o meglio con gli autori che indaga) cercando sempre il suono e la voce dei suoi sogni, delle sue ossessioni, delle sue pulsioni, delle sue passioni. Per questo attiva sempre metodi epistemici sia di tipo abduttivo, cioè di ricerca delle infinite e probabili cause di effetti già in atto, sia di tipo induttivo, cioè di analisi dei fenomeni con lo scopo predittivo di effetti futuri (sterile sarebbe ai suoi fini il tentativo di applicare procedimenti deduttivi alla letteratura, cioè di elaborare i testi attraverso regole fisse per ottenere risultati certi, a meno che non si tratti di giochi retorici o linguistici).
Rosmersholm-scena1.jpgL’indagine di Castri qui è concentrata su alcune antinomie: il dominio del passato sul presente, l’opposizione fra istinto e principio di realtà, il rapporto uomo-donna, dove “la donna è letta come oggetto sessuale e proiezione inquietante della destabilizzazione del maschio, sempre più in crisi di identità e impaurito da un femminile che… fatica a trovare la sua, ad uscire dai cattivi miti culturali dell’invidia del pene o del rimpianto di non essere uomo” (M. Castri, Ibsen postborghese, Ubulibri 1984, pg. 104). Inoltre indagare la nuova problematica relazione tra maschile e femminile “nei momenti terminali più importanti della commedia borghese, cioè in Ibsen e in Strindberg”, quando questo rapporto diventa espressione della tensione e della crisi di un modello di società, significa “scoprire anche la crisi della famiglia, della cellula primordiale sulla quale questa società è strutturata” (M. Castri, Pirandello Ottanta, a cura di E. Capriolo, Ubulibri, Milano 1981, pg. 23) . E infine, orrenda e sublime tra tutte le antitesi, riemerge attraverso Ibsen l’irriducibile, conflittuale coesistenza di Eros e Thanatos.

RF: Amore e Morte che fondamentalmente sono incarnati dagli interpreti in scena. La recitazione è un tessuto dalla trama molto particolare, intrecciato da due attori di calibro unico. Federica Fracassi è una delle maggiori interpreti italiane oggi: il suo stare è pienezza del ruolo ad ogni passo, in ogni gesto. La sua donna e le sue movenze racchiudono in sé il paradossale dubbio nella certezza, resa da un buio capace però di graduarsi, con l’interessante disegno luci di Ballini.
Micheletti di suo è un talento dotato oltre che di una presenza scenica non marginale, fra le poche in grado di equilibrare la Fracassi, anche di un timbro vocale di amplissima profondità. Proprio sui suoi toni bassi gioca frequentemente in questo allestimento per creare atmosfere legate ad una sorta di disumanità quasi spiritica, che rischia di percepirsi più goticheggiante, costruita, regalando momenti singolari ma anche un po’ artefatti.

MM: Artefatti eppure necessari, perché il suono più della parola articolata ha la capacità di comunicare l’indicibile e di muovere emozioni. La forza psicagogica del suono è stata oggetto delle riflessioni, fra gli altri, dei filosofi presocratici, dei Pitagorici e soprattutto di Platone, per il quale l’esperienza musicale precede e prepara la comprensione razionale. Micheletti e Fracassi utilizzano con intelligenza la potenza del linguaggio musicale e compongono, accanto al testo e sul testo, una partitura fonica di grande efficacia, in cui il suono si fa memoria e meraviglia, attesa ed ineluttabile caduta, con il rumore di un tonfo nell’acqua che chiude prima del silenzio e del buio la messa in scena.

ROSMERSHOLM
Il gioco della confessione
monodramma a due voci
di Henrik Ibsen
riduzione Massimo Castri
da un’idea di e con Federica Fracassi e Luca Micheletti
regia Luca Micheletti
musiche Henry Cow, Jeff Greike, Emmerich Kálmán
luci Fabrizio Ballini
suono Nicola Ragni
produzione Teatro Franco Parenti
in collaborazione con Compagnia Teatrale I GUITTI
sotto l’Alto Patrocinio della Reale Ambasciata di Norvegia
e con il sostegno di Innovation Norway