RENZO FRANCABANDERA | La storia straordinaria del Teatro delle Albe è sotto molti aspetti paragonabile per portata e impegno sociale a quella del mitico maestro José Antonio Abreu Anselmi, il grandissimo musicista, attivista politico, educatore e accademico venezuelano, fondatore di El Sistema, fondazione per la promozione sociale dell’infanzia e della gioventù attraverso la musica. Quello che Abreu è stato in Venezuela a Latinoamerica con la musica, Ermanna Montanari e Marco Martinelli sono stati con la Non scuola (con i diversi nomi che il progetto ha poi preso negli anni, da Arrevuoto a Eresia della Felicità, ecc) in Italia e in diversi luoghi in Europa e nel mondo, tra i quali Chicago (USA), Dakar (Senegal), Caen e Limoges (Francia), Rio de Janeiro (Brasile), Mons (Belgio).
Parliamo quindi di una funzione di divulgazione del linguaggio dell’arte dal vivo che è stata luogo di formazione e confronto per quasi tutto il teatro italiano indipendente.

Nevio Spadoni, “Luş”, Faenza, Mobydick, 1995

In questo capillare cercare e cercarsi nella periferia delle identità sociali, ci sono spettacoli paradigmatici che hanno segnato l’esperienza scenica delle Albe. Forse sono spettacoli meno strutturati ma che si collegano fra loro in un filo che li tiene legati e che nel tempo ha creato una dinamica di senso, un verso della ricerca artistica e delle intenzioni.
Uno di questi è Luş, drammaturgia di Nevio Spadoni, poeta di Romagna e che in romagnolo ha scritto sia poesie che testi teatrali, come appunto questo Luş che oltre vent’anni fa, nel 1995, Martinelli fece portare in scena alla Montanari insieme a Stefano Cortesi (poi sostituito da Luigi Dadina).
Si tratta di un lavoro significativamente diverso da quello che vent’anni dopo il regista ha voluto proporre, in una ripresa che in realtà attraversa un percorso di ricerca di Martinelli e Montanari sia nel rapporto con il suono e la potenza della dialettalità, che in quello con l’archetipo stregonesco. Di quel primo allestimento del 95 è disponibile in rete un prezioso estratto video.

Musiche di quell’allora furono alcune arie del Macbeth di Verdi, ed in particolare l’aria  “Vegliammo invan due notti (Medico/Dama)” di Carlo del Bosco/Maria Borgato/New Philharmonia Orchestra/Riccardo Muti

La ricerca sulla figura della strega si era approfondita con L’isola di Alcina, concerto per corno e voce romagnola, sempre su testo di Nevio Spadoni, in un’ideazione di Marco Martinelli ed Ermanna Montanari, con musica e regia del suono di Luigi Ceccarelli. In scena in quell’occasione erano Ermanna Montanari, Giusi Zanini (poi Laura Redaelli) e Francesco Antonelli, Fagio (Luca Fagioli), Roberto Magnani, Danilo Maniscalco, Alessandro Renda. Lo spettacolo debuttò nel giugno del 2000 al Teatro Goldoni. Erano passati cinque anni dal primo Luş.
Come ricorda Laura Mariani nel libro Ermanna Montanari fare-disfare-rifare nel Teatro delle Albe, L’isola di Alcina è registrata alla SIAE come “melologo”. Quasi una velleità poetica in questa registrazione, un’ibridazione che abbina la musicalità del canto lirico all’idea teatrale del monologo.
Di quel percorso è gemmazione poi nel 2009 Ouverture Alcina, una performance vocale intorno alla figura della maga ariostesca, un combattimento tra la potenza della voce e quella della musica attorno alla figura della “maga” ferita d’amore, sempre in dialetto romagnolo.

Purtroppo in Italia poco si è avvezzi all’ibridazione di genere specie fra i melomani, il cui approccio conservatore ha consentito assai raramente di aprire il cartellone lirico a proposte radicali, specie nella commistione con il teatro.
Perchè, se così fosse stato, tanto l’Alcina che la ripresa nel 2015 di Luş avrebbero potuto avere un riscontro assai più importante di quello che nei fatti è stato, perchè parliamo di una creazione teatral-musicale di grande raffinatezza.
Non è un caso che nel sito della compagnia la performance della Montanari, che pure è teatralissima e a tratti violenta, viene quasi ostinatamente ricondotta alla vocalità: “voce Ermanna Montanari”, recita infatti la locandina, che menziona poi i “live electronics” di Luigi Ceccarelli che qui dopo vent’anni campiona e rielabora dal vivo sia la voce della Montanari che il contrabbasso quasi informale di Daniele Roccato, nella regia di Marco Martinelli. Le Albe propongono prima ancora del video dell’opera sul loro sito, la registrazione integrale dell’audio, che riportiamo a questo link.

Cosa si ricava da questa rilettura letteralmente di sangue dell’operazione del 1995? L’approccio radicale è quello senz’altro di un’operazione volta ad esaltare l’iconica statuarietà della strega di paese, di trovarne ragione archetipica anche grazie all’intervento di Margherita Manzelli, che firma letteralmente col sangue sia le ricche composizioni video che fanno da sfondo al monologo della Montanari, sia la veste, visto che fanno da motivo decorativo del vestito bianco a gonna larga alcune macchie quasi di floreali ma che sono in realtà realizzate col sangue e che rendono quel vestito di fatto un’esperienza non lavabile, un unicum che vive con lo spettacolo, che costringe la Montanari ad indossarlo intridendolo con l’andare, della carnalità della sua persona e che si traspone nel suo personaggio. Nulla di direttamente percepibile all’esterno, ma che compone i simboli di un adattamento in cui gli stridori delle corde si intrecciano alle vocalità dell’interprete: un’operazione teatralmente ardita in cui il magnetismo iconico della Montanari, aumentato dal ricorso ad alcuni simboli, riporta ad un’immagine stregonesca che non rimanda ad un costume di stracci da strega medioevale, ma propone una seduttiva forza femminile, che già nel primo allestimento veniva posto in luce.
LUS 1995.pngQui quella forza prescinde da quell’altra presenza scenica maschile, a conti fatti superflua nella nuova interpretazione di quell’atto artistico: dalla teatrale e dialogica seppur visivamente inferiore presenza maschile baciapiedi, si giunge nel 2015 ad un’essenzialità effettivamente lirica, che fa a meno della dualità e concentra tutto sulla centrale figura della strega.
Una strega ieratica, leggera, sospesa nell’aria che Franco Quadri nel 95 incontrandola in scena a Benevento città spettacolo definì “straordinaria strega…tutta incredibili salti tonali”. Lo scorrere dell’arte e del linguaggio che ha attraversato il Teatro delle Albe si è senz’altro costruito anche attorno alla figura iconica di Ermanna Montanari e per molti versi ad una sorta di sua magica capacità di resistere nel suo sembiante al tempo. Nei mille modi in cui il suo corpo si è evoluto, in scena e non, la memoria della sua figura nel pensiero assume caratteristiche quasi immutabili. Una forza magica, davvero stregonesca, e in cui si sublima probabilmente anche la ricerca attraverso di lei da parte di Martinelli di una mitica forza vincente e avvincente, come il personaggio di questa storia di paese, qualcosa che lega e stringe a sè, ma capace anche di stridere e recidere, come quello ieratico falcetto che con tanta sacerdotale delicatezza brandisce ora come allora. Non sarà un caso se questo segno scenico è fra i pochi se non l’unico rimasto di quell’allestimento di vent’anni fa, mentre al buio del fondale di allora si passa ad un sistema di luci di tonalità fredda opera di Francesco Catacchio.
La scansione della composizione è ora operistica, con un’ouverture e una dimensione tragica quasi ottocentesca per molti versi, che il dialetto romagnolo rende arcana.
E’ un’altra operazione, un’altra lettura, un “vent’anni dopo” capace di riprendere e vivificare un materiale che evidentemente nell’immaginario del duo delle Albe resta vivo, e tale appare anche a noi oggi.

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Attraversare questo ventennio è stato a suo modo un lungo viaggio, nel tempo e nello spazio, fra i libri in cui il Teatro delle Albe ha condensato la sua esperienza, e poi in Svizzera al LAC da Lugano in Scena, a vedere lo spettacolo di fianco al direttore artistico, Carmelo Rifici, che l’ha voluta in stagione, e poi ancora in rete, fra YouTube e il ben fatto archivio  online sul sito della compagnia, con le recensioni archiviate ordinatamente e senza sciatteria, l’amorevole sensazione di un tempo non trascorso invano. Il loro almeno.
Del mio, dedicato alla riflessione, mi piace pensare che stia al teatro con la stessa intenzione di quel fare-disfare-rifare, che tanto spesso mi chiedo a cosa o a chi possa essere utile, ma che è diventato parte del mio vivere, un po’ come quel vestito di sangue. E’ forse una metafora della forza del teatro, mi dico: una volta che te lo metti addosso è difficile riuscire a toglierlo.
Quello sì che non si lava via: più potente del sangue.

Luş

concerto spettacolo di Ermanna Montanari, Luigi Ceccarelli, Daniele Roccato
testo Nevio Spadoni
musica Luigi Ceccarelli, Daniele Roccato
voce Ermanna Montanari
live electronics Luigi Ceccarelli
contrabbasso Daniele Roccato
regia Marco Martinelli
spazio scenico e costumi Margherita Manzelli, Ermanna Montanari
disegno abito di Bêlda Margherita Manzelli
animazione dello sfondo con opere originali di Margherita Manzelli
a cura di Margherita Manzelli, Alessandro e Francesco Tedde
regia del suono Marco Olivieri
disegno luci Francesco Catacchio
tecnico luci Luca Pagliano
direzione tecnica Fagio
elaborazione e tecnica video Alessandro e Francesco Tedde – Antropotopia
elementi di scena realizzati dalla squadra tecnica del Teatro delle Albe Alessandro Bonoli, Fabio Ceroni, Enrico Isola, Dennis Masotti, Francesca Pambianco sartoria Laura Graziani Alta Moda
ufficio stampa Debora Pietrobono, Rosalba Ruggeri
promozione e organizzazione Silvia Cassanelli, Silvia Pagliano
coproduzione Emilia Romagna Teatro Fondazione e Teatro delle Albe/Ravenna Teatro

Il testo Lus è contenuto nel volume. The Light, Ermanna Montanari performs Nevio Spadoni, a cura di Teresa Picarazzi e Wiley Feinstein, Bordighera Press, West Lafayette, 1999 e nel volume Teatro in dialetto romagnolo, di Nevio Spadoni, Edizioni del Girasole, Ravenna, 2003