DOMENICO COLOSI | Salomè è un burattino senza testa. A condurre le manovre Erodiade, amante tradita per una folgorazione mistica: cagna infernale, puttana santa. Rivolta ad un fallo di gomma custodito in una teca, la perfida sobillatrice prorompe nel suo canto luttuoso: vendetta di una libertina abbandonata per un amore più grande delle terra e delle umane miserie, e dunque inviperita con l’intero genere umano. Nel letto del tetrarca Erode, tra gli orgasmi della figlia, si prepara la vendetta di Erodiade: la testa di Giovanni Battista. Uno sfizio.

Federica-Fracassi-Erodias_Dramma mediano dei Tre lai testoriani, Erodiàs del 1984 (dopo un primo monologo datato 1967) è riscrittura lombarda da Oscar Wilde, vertigine lussuriosa di una donna farneticante per il fuoco di un sentimento e per una vita plagiata dalla perversione del possesso. Nell’impasto linguistico dell’autore milanese – un grammelot lascivo che nulla esclude nel suo morboso incedere – Erodiade è la prima vittima della messinscena, dilaniata dai sensi di colpa a lungo soffocati e castrata di un pene bramato e idealizzato. Dalla piena immedesimazione iniziale, con una Federica Fracassi barbuta che fuoriesce dal busto di una elegante damina, si dipana il tormento della protagonista, dai passaggi blasfemi di ispirazione mariana al pentimento finale, con relativo tentativo di suicidio (sulle orme di un’altra eroina testoriana, la Gilda del Mac Mahon distratta dal pensiero della madre nell’imminenza del passaggio di un treno).

Renzo Martinelli separa palco e platea con barriere trasparenti di plexiglass, rinchiudendo Erodiade in un solipsismo frenetico, a tratti gioioso nella sua dolente lacerazione: una prova eccellente come quella di Fracassi smussa le asperità, elimina eventuali derive cerebrali e restituisce al dramma sangue, carnalità e rigore ideologico. Nel suggestivo disegno luci di Mattia Di Pace una delle chiavi della messinscena, tra ombre rosse e vibrazioni ritmiche, mentre i virtuosismi registici (e i disturbanti effetti sonori) traducono pena e violenza con furente accanimento. Per paradosso manca solo la stasi, l’attesa declamata dalla protagonista nell’opprimente finale; la tensione non si rimargina: resta lontano lo “specciare”. Invano.

 

Erodiàs

di Giovanni Testori

regia Renzo Martinelli

con Federica Fracassi

dramaturg Francesca Garolla

assistente alla regia Irene Petra Zani

suono Fabio Cincola

luci Mattia Di Pace

consulenza artistica Sandro Lombardi

creazione costume d’epoca Cesare Moriggi

consulenza e realizzazione oggetti di scena Laura Cres

con il sostegno di Next\Regione Lombardia

Milano, Teatro i, 1 giugno 2018