Immagine principaleMONICA VARRESE | “R-esistenze imperfette” è il titolo scelto per aprire la IV edizione de I teatri della Cupa, Festival del Teatro e delle Arti nella valle della Cupa, ideato da Factory Compagnia Transadriatica e Principio Attivo Teatro, che insieme hanno animato la parte settentrionale della provincia di Lecce (in Puglia), con una programmazione di otto giorni, fatta di incontri, laboratori e spettacoli.
Ai comuni “di rito” del Festival – Novoli, Campi Salentina e Trepuzzi – si è aggiunta quest’anno l’antica Abbazia di Santa Maria di Cerrate, fulgido esempio di architettura romanica pugliese, restaurata e riaperta al pubblico. Una iniziativa che prende sempre più spazio, continuando a coinvolgere le comunità e mettendole in relazione con la propria terra, facendogliela rivedere con nuovi occhi.

Il Festival rientra nel progetto “Passi comuni”, finanziato dalla Regione Puglia nell’ambito dell’Avviso Pubblico per presentare iniziative progettuali per lo Spettacolo dal vivo e le Residenze artistiche – FSC 2014/2020 – Patto per la Puglia. A proposito di finanziamenti, mai titolo fu più puntuale e coerente con l’attuale situazione in Puglia sulla distribuzione del contributo FUS (Fondo Unico per lo Spettacolo), purtroppo non intercettato da Factory, come da altre due compagnie teatrali pugliesi molto attive sul territorio (Bottega degli Apocrifi e Compagnia del Sole), per il secondo triennio consecutivo nonostante il grandissimo impegno sociale oltre che culturale messo in campo.

Esistere, dunque, e resistere in luoghi “imperfetti”, che nonostante la loro indiscussa bellezza e produttività, continuano ad essere messi al bando dai piani più alti, in una distribuzione dei finanziamenti non equa, rispetto ad altre regioni più a Nord dello stivale.

Assemblee della Parola
Assemblea della parola foto di Eliana Manca

Abbiamo partecipato a quattro giornate della Cupa, che hanno visto nell’intera programmazione la partecipazione di compagnie italiane e pugliesi, in dialogo continuo con la comunità, attraverso momenti dedicati all’incontro, in quelle che vengono chiamate Assemblee della parola, nelle quali pubblico, operatori, artisti e critici si interrogano sulle grandi tematiche che ruotano attorno al mondo delle arti performative, analizzandone le problematiche, punti di forza e di debolezza.

Proponiamo qui di seguito una prima parte di osservazioni sugli spettacoli, lì dove l’occhio di PAC non si è già posato (come su Un quaderno per l’inverno con la regia di Massimiliano Civica, o poche ore fa su MAMMA di Annibale Ruccello riletto da Danilo Giuva). Torneremo poi a breve con una seconda parte di riflessioni.

Iniziamo con l’analisi della performance A CORPO LIBERO, di e con Silvia Gribaudi. Un lavoro che nasce nel 2009 durante il concorso GD’A Veneto (risulterà anche vincitore del premio pubblico e giuria), e che continua dopo nove anni a riscuotere grande successo in Italia e all’estero. Le strade di Novoli e Campi Salentina diventano teatro naturale di questo gesto artistico, con i passanti, gli anziani in bicicletta, le donne/matrone pugliesi che, incuriosite, si avvicinano e restano a guardare. La città, con le sue piazze e le sue strade, diventa spazio scenico allargato, nel quale la performer si immerge, in un’ottica di ascolto continuo con il pubblico. È un lavoro che ruota attorno al concetto di bellezza e che scardina i canoni di stampo occidentale, secondo i quali determinate forme e movimenti rispondono ad una eleganza che si fa presenza. Con la Gribaudi il corpo si libera, ogni parte conquista il suo esistere, vibra e si riempie di senso. Ognuno può vederci qualcosa, una storia, un modo di essere osservati e talvolta, anche giudicati. Nonostante questo, il corpo non si ferma e continua a vibrare, accompagnato dagli arrangiamenti musicali di Mauro Fiorin e dalle luci di David Casagrande Napolin, che illumina porzioni di strada con tagli di luce in continuo movimento. Il lavoro non manca di una tagliente autoironia, di quelle che fanno sorridere e riflettere sulla percezione dei corpi “imperfetti” nella società contemporanea. È una parentesi ideologica che si risolve nella parte finale, in cui il corpo, libero e vibrante, diventa con le sue imperfezioni umane, grande opera d’arte.

A CORPO LIBERO - Silvia Gribaudi
Foto di Eliana Manca

Ura Teatro presenta in prima regionale IL PAESE CHE NON C’È. Viaggio nel popolo delle montagne, progetto di e con Gianluigi Gherzi e Fabrizio Saccomanno, che si muovono in uno spazio scenico in cui regna il caos – ideato da Denise Carnini e realizzato da Cosimo Scorrano – con un grande tavolo sulla destra pieno di appunti sparsi e libri. Nel fondo della scena una enorme lavagna, mappa concettuale di tutta la storia, che progressivamente si riempirà di fotografie, numeri, rimandi e parole tematiche. Questi ultimi, osservati nel loro complesso, restituiscono un quadro confuso della storia contemporanea, che «si sbriciola tra le mani», per dirla con le parole degli attori.
Effettivamente è proprio così. Come riuscire a raccontare la storia di un popolo, quello curdo, diviso tra cinque stati? I due attori cercano di farlo, avvalendosi della consulenza storica e culturale di Giovanni Giacopuzzi e collaborando con le ONLUS – UIKI Onlus e GUS Gruppo Umana Solidarietà – attraverso le quali è stato possibile raccogliere storie di singole persone, con il tentativo di tracciare la storia collettiva di un popolo, di recuperare una identità che non ha mai avuto modo di poter mettere radici. Il disegno luci essenziale di Angelo Piccinni, sposta i vari focus e guida gli occhi del pubblico tra il fondo della scena – in cui ritroviamo la lavagna, spazio del caos – e il proscenio, dove i due attori, intervallandosi nelle diverse parti di composizione, giocano i monologhi, costruiti partendo dagli sbarchi in Puglia, sulle coste del Salento e tracciando, attraverso le storie raccolte, i volti di quei migranti in continua fuga. Il linguaggio drammaturgico lascia spazio anche a inflessioni del dialetto salentino – soprattutto da parte di Saccomanno – che con la sua cadenza, intonazione e lavoro sulle ripetizioni, costruisce progressivamente immagini: i silenzi diventano dita sui musi dei bambini e la morte, una madre che urla il nome di sua figlia dispersa nel deserto. È come se nel delineare questa storia ingarbugliata, fosse necessario rimettere tutto in ordine, partendo dalle parole. Come si spiega la paura? Come si possono raccontare sedicimila persone che piangono, le teste dei curdi mozzate dalle milizie dell’Isis?
C’è da dire che l’operazione, pur essendo coraggiosa e complessa, risulta a tratti difficoltosa da seguire nella sua totalità (che è anche ricchezza), di aneddoti e riferimenti. Lavorare su una calibratura del materiale drammaturgico potrebbe sicuramente amplificarne l’efficacia, rendendo questo viaggio percorribile, se pur insidioso, in un paese che, in realtà, esiste davvero.

Il paese che non c'è
Foto di Eliana Manca

Teatri di Bari porta in scena PARLA CON MIA MADRE, la cui scrittura, allestimento e regia è di Roberto Corradino, affiancato in scena da Teresa Ludovico. La storia ruota attorno alla relazione madre-figlio e si sviluppa in uno spazio scenico scarno ma essenziale: unici elementi una sedia e una trave poggiata su due cavalletti, che si trasformerà progressivamente in letto, asse da stiro, tavolo, balcone, tomba. Un figlio, quello interpretato da Corradino, arrabbiato “nel cuore” e disincantato, stanco dei ritmi convulsi del quotidiano, che non lasciano spazio a scambi autentici. Le uniche figure ad entrare in questa dimensione claustrofobica sono la madre e la nonna, giocate entrambe da una efficace Teresa Ludovico, che ben costruisce i tratti delle tipiche donne del sud, forti e caparbie ma che nascondono, dietro l’armatura, fragilità e insicurezze. La scrittura drammaturgica, costruita da battute incastrate in ritmi serrati, alimentati dall’uso di inflessioni dialettali meridionali, lascia spazio anche ad attimi sospesi, in cui i ruoli vengono fuori nella loro tridimensionalità.
In questo turbine di emozioni, che si concentrano nel monologo conclusivo del figlio, la recita cui abbiamo assistito ha messo in evidenza proprio nel finale una tenuta più debole rispetto al resto del lavoro, che risulterebbe comunque più efficace se filtrato attraverso un respiro ritmico complessivo più strutturato, essendo il materiale drammaturgico di grande impatto emotivo. Nel complesso, un lavoro intenso.

Parla con mia madre
Foto di Eliana Manca

 

A CORPO LIBERO

Di e con SILVIA GRIBAUDI

Elaborazioni musicali MAURO FIORIN

Disegno luci DAVID CASAGRANDE NAPOLIN, SILVIA GRIBAUDI

Produzione Zebra/Silvia Gribaudi – Venezia

Vincitore Premio Giovane Danza D’Autore Veneto, 2009
Vincitore Premio del pubblico Giovane Danza D’Autore Veneto, 2009

Durata ’17 minuti

Piazza Regina Margherita, Novoli
Piazza Unità D’Italia e Piazza Libertà, Campi Salentina

27 e 28 LUGLIO 2018

IL PAESE CHE NON C’È
Viaggio nel popolo delle montagne

Un progetto di e con GIANLUIGI GHERZI e FABRIZIO SACCOMANNO

In collaborazione con UIKI onlus rete – Ufficio d’informazione del Kurdistan in Italia e GUS – Gruppo Umana Solidarietà “G. Puletti” onlus

Ideazione scene DENISE CARNINI

Realizzazione scene COSIMO SCORRANO

Disegno luci e tecnica ANGELO PICCINNI

Consulenza storica e culturale GIOVANNI GIACOPUZZI

Organizzazione e cura del progetto GIOVANNA SASSO

Produzione Ura Teatro

Con il sostegno di Festival Collinarea, Associazione Olinda Onlus, Residenza artistica Teatro comunale di Novoli – Factory Compagnia Transadriatica e Principio Attivo Teatro

Atrio Palazzo Baronale, Novoli
27 LUGLIO 2018

PARLA CON MIA MADRE

Scrittura, allestimento e regia ROBERTO CORRADINO

Con ROBERTO CORRADINO e TERESA LUDOVICO

Assistenza luci e spazio PIETRO MATARRESE

Produzione Reggimento Carri

Col sostegno di Teatro Kismet O.per.A/Teatri di Bari

Teatro Comunale, Novoli
29 LUGLIO 2018