GILDA TENTORIO |  “Teatro Invito” è una consolidata realtà del nord Lombardo, attiva nel lecchese da più di trent’anni. Un nome che racchiude un programma: la volontà di avvicinare il pubblico al teatro, che si apre e “invita” lo spettatore con proposte sempre nuove e attrattive. Direttore Artistico di questa fucina creativa è l’instancabile Luca Radaelli, autore, attore e regista affermato anche a livello nazionale, promotore di Cultura nel senso più pieno del termine. Nel 2016 il suo impegno finalmente ha trovato a Lecco una sede adatta (Spazio Teatro Invito), che è diventata un importante punto di riferimento culturale per la città. Lo abbiamo intervistato, nella sua qualità di Direttore Artistico del Festival Ultima Luna d’Estate, che sta per iniziare (XXI edizione, dal 30 agosto al 9 settembre) e coinvolgerà le ville i parchi del lecchese.ULE2018_banner_HP.jpeg

L’anno scorso avete celebrato il ventesimo compleanno del Festival, che si è imposto come una “tradizione” del territorio.

Sì, il 2017 è stato il nostro giro di boa e abbiamo imboccato ora il secondo decennio. In effetti, abbiamo un pubblico di aficionados, e anche gli abitanti dei paesi che attraversiamo attendono con ansia questi giorni, perché sanno che il teatro arriverà da loro. E anche noi ci siamo affezionati ai luoghi. Nel tempo le cose sono cambiate: la prima edizione durava un solo giorno e si svolgeva in tre luoghi, quest’anno invece il festival dura tredici giorni e si sviluppa in ventidue locations diverse! Quindi il festival si caratterizza per una buona dose di tradizione e di novità.

In quest’epoca che si pone all’insegna dei fenomeni globali, la vostra attenzione al locale sembra in aperta contraddizione ma, vista la risposta entusiasta del pubblico, si tratta di un’alternativa vincente. Come lo spieghi?

La vocazione contemporanea al globale può trovare grosse remore da parte della gente (o del “popolo” che dir si voglia). Dal punto di vista delle scelte politiche ciò appare evidente nella polarizzazione fra metropoli e provincia: infatti, come si è visto, chi si sente escluso dalla metropoli come centro nevralgico e direzionale, ma anche dittatoriale rispetto ai servizi, alle scelte e alle mode, trova poi il campo per “vendicarsi” mettendo nelle urne un voto di protesta. La provincia è sempre stata considerata la parte più retriva della società: basti pensare alla Rivoluzione Francese, dove i realisti erano in campagna mentre i giacobini in città. Quello che invece cerco di intravedere e di valorizzare io è la possibilità della provincia di esprimere le giuste rivendicazioni al proprio essere, e la consapevolezza di essere la linfa per la città. Pensando al teatro, i fermenti più interessanti del panorama nazionale e il ribollire di energie creative si sviluppano in provincia, per approdare poi in città. Questo perché la provincia, per la sua posizione discreta e appartata, è fuori dai dettami della metropoli e ha la capacità di elaborare progetti più indipendenti. Il nostro Festival vorrebbe essere un modello per mostrare che investire energie e creatività in provincia può dare buoni frutti.

Quale termine preferisci per definire il vostro polo di attenzione: periferia, provincia o campagna?

Si tratta di tre limiti diversi, con vari gradi di contaminazione. È una questione di pesi e di capacità attrattiva. Dire “periferia” porta con sé l’idea riduttiva di trovarsi ai margini della città. “Provincia” invece è già qualcosa fuori dalla sfera di attrazione della città, che ha quindi una propria autonomia e nel tempo stesso ha una maggiore prossimità con la campagna. Oggi i cittadini hanno perso il contatto con la natura, i cicli naturali e gli aspetti ecologicamente più vitali. Il Festival Ultima Luna d’Estate ha questa triplice componente: è un festival di teatro popolare, tra provincia e campagna, ma molto vicino alla città. Si svolge in un raggio di chilometri abbastanza limitato e presenta questa stratificazione, per noi molto interessante e stimolante. Il nostro Festival attrae anche gli abitanti di città, per condurli “fuori dalle mura”, e li fa dialogare con il pubblico di provincia, in situazioni che hanno una valenza anche naturale, perché il tutto si svolge in collina, fra campi e vigneti.

hp-gen

Hai usato la parola “teatro popolare”, un termine pregnante nella vostra proposta.

Recentemente la situazione economica e politica ha generato i populismi, ma il concetto di “popolo” è molto vasto e ambiguo. Ritengo che, come artisti di teatro, siamo costretti a investigarlo, anche per la sua attualità. Noi però con il Festival L’ultima Luna d’Estate lo facciamo già da ventun anni! Abbiamo coltivato il rapporto con il pubblico di provincia: ciò significa anzitutto proporre spettacoli popolari, cioè fruibili a tutti. Ma anche scegliere forme familiari e attrattive: in provincia e in campagna ci sono ancora  tradizioni a cui appigliarsi e irrinunciabili – penso alla narrazione, l’affabulazione, la Commedia dell’Arte e Dario Fo. Tutto questo è da sempre l’ossatura della nostra proposta artistica. A questo si unisce la voglia di coniugare anche altre forme, come dice il nostro sottotitolo “teatro popolare di ricerca”. Sembra un ossimoro ma sintetizza bene il nostro approccio: far sì che la ricerca non sia uno strumento di esclusione per un pubblico etichettato, magari ingiustamente, come meno colto o meno smaliziato.

IMG_4758-212x320
Luca Radaelli [© Teatro Invito]

Vuoi darci qualche anticipazione sulle due produzioni in cui sei protagonista?

Gin&Comic (La Valletta Brianza, giovedì 6 settembre) è un divertissement letterario su questa bevanda che è stata molto in voga dagli anni Venti fino ai Sessanta e oggi ha un ritorno di fiamma. Spiegheremo la storia del gin, come nasce e il suo uso letterario presso scrittori soprattutto anglosassoni (ad esempio Scott Fitzgerald, Fleming, ma c’è anche Buñuel, di cui leggeremo una ricetta molto divertente). Quale migliore location del parco di Montevecchia, dove si produce un gin autoctono?

Dal capolavoro di Melville, per la regia di Renato Sarti, Bartleby sarà un’anteprima (domenica 9 settembre): il debutto ufficiale sarà poi a Milano, Teatro della Cooperativa, in novembre. Il racconto è tutto concentrato in un ambiente chiuso, ma nel finale, quando il protagonista viene incarcerato, c’è l’irrompere dell’elemento naturale: il cortile della prigione è ricoperto di erba. Lo spettacolo si svolgerà a Casatenovo, nella corte della Cascina Rancate, dove si vedono mura ed erba, ecco dunque l’aggancio tra letteratura e spazio. Il giovanissimo Gabriele Vollaro ha la parte di Bartleby e pronuncia la sua battuta mitica; io invece interpreto diverse voci: prima di tutto l’avvocato, colui che racconta l’intera vicenda, poi  i tre impiegati del suo ufficio e alcune comparse. Alcuni elementi sono ancora da definire, ma mi piace molto che l’anteprima sia rivolta al pubblico del nostro Festival.