GILDA TENTORIO | In vista dello spettacolo Kanu al Festival dell’Ultima Luna d’Estate (Sirtori, domenica 2 settembre) abbiamo intervistato Filippo Ughi, direttore artistico e fondatore dell’associazione “Piccoli Idilli”, una fucina creativa con sede a Merate che lavora intorno ai temi della diversità culturale e all’intreccio di linguaggi (teatro e danza). Fra i numerosi lavori ricordiamo Radio Savana e Hic sunt Leones (sul tema dei bambini-soldato, 2009), Lasciateci perdere (2010 – EOLO Award), Senza Sankara (spettacolo di teatro, danza e musica africana vincitore del bando Migrarti MiBACT 2016).

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Da anni il suo impegno nel dialogo interculturale è di rilievo. Quali sono i nuclei di novità di questo spettacolo rispetto ai precedenti?

Filippo Ughi: Kanu nasce come spettacolo di teatro per ragazzi. Volevamo raccontare la ricchezza delle culture dell’Africa Occidentale con uno spettacolo teatrale che potesse essere vissuto dai ragazzi come un viaggio in una cultura diversa. Viaggiare in questo senso ha valore come momento di scoperta dell’altro, della sua diversità culturale in un rapporto di scambio e di reciproco arricchimento. Oggi infatti i ragazzi crescono con una visione stereotipata dell’Africa, un continente-serbatoio di miseria e povertà: stereotipi, che confermano e rinforzano una visione ottocentesca, per non dire razzista. Con Kanu proviamo a raccontare l’Africa magica dalle tradizioni antichissime ma ancora vive nell’immaginario culturale degli africani, e tutta da scoprire per noi.

Questo vostro spettacolo vuole farci sentire la voce dell’Africa attraverso tre canali: narrazione, suono, danza, tre grandi forze di fascinazione per un pubblico di tutte le età. Come si intrecciano questi elementi?

Certo! Occorre ricordare che la cultura malinkè in cui sono cresciuti i tre artisti in scena (Bintou Ouattara e i musicisti Daouda Diabate e Kadi Coulibaly) ha conosciuto la scrittura solo con la penetrazione islamica, che però non ha messo in discussione il patrimonio orale a cui continuano ad essere affidate le tradizioni storiche, sociali e religiose. La casta che ha il compito specifico di custodire le tradizioni orali è quella dei griot. Si dice infatti che quando un griot muore è come se fosse bruciata una biblioteca. Ecco: Kanu si avvicina alle modalità di narrazione dei cantastorie, in cui musica, proverbi e danza sono parte fondamentale del racconto e della sua trasmissione orale.

Quali sono state finora le reazioni del pubblico al vostro spettacolo, che sta girando l’Italia ma non solo? L’interesse è ai contenuti della fiaba, ma anche alle curiosità sugli strumenti musicali in scena e sulle danze?

Filippo Ughi: Kanu ha debuttato al Festival della fiaba di Cagiallo in Canton Ticino e poi è stato presentato ad Arzo al Festival Internazionale di Narrazione, proprio in virtù delle modalità di narrazione che richiamano stilisticamente la lezione dei griot, a cui questi festival già in passato avevano dedicato una particolare attenzione. Abbiamo subito visto che i ragazzi riuscivano ad avvicinarsi molto facilmente ai linguaggi teatrali che caratterizzano il nostro lavoro. Poi siamo stati invitati al Festival del Cimone a Reggionarra e al Festival Suq di Genova, con platee composite, solo in minima parte ragazzi. Qui hanno preso consistenza anche i contenuti sociali del racconto, cosa a cui paradossalmente abbiamo dedicato, nel processo di creazione, molta meno attenzione rispetto al precedente nostro spettacolo Senza Sankara, che era dichiaratamente d’impegno politico e che chiamava il pubblico a un’azione di contrasto ai razzismi che stanno sconvolgendo la “civilissima” Europa.

Anche se non è l’obiettivo principale, Kanu presenta anche un valore “politico” in senso lato? Pensate che la storia raccontata risulti ancor di più attuale oggi, nel clima di tensione (a livello italiano ed europeo) sui problemi scottanti della migrazione?

Filippo Ughi: Penso di si. Dare la parola agli artisti africani, porsi in ascolto di tutto quello che hanno da raccontarci è un atto dai risvolti politici molto più importante di quanto si possa pensare. Raramente parlando dell’Africa interpelliamo i suoi artisti, scrittori, registi, pittori, architetti: di solito ascoltiamo volontari o professionisti italiani della cooperazione internazionale che, senza nulla togliere ai loro enormi meriti, non fanno che confermare l’immagine di un continente in perenne bisogno del nostro aiuto e che quindi nulla ha da insegnarci e raccontarci.

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Ed è infatti in questa ottica di “dare voce all’Africa” che gli artisti in scena sono originari del Burkina Faso. Lo spettacolo è un modo per introdurci nel loro immaginario a noi sconosciuto, ma come lo vivono loro? È forse anche un modo per rafforzare le proprie radici?

Filippo Ughi: Credo di sì…Forse andare in scena oggi con uno spettacolo come Kanu è un modo di affermare il ruolo di custodi delle tradizioni in un mondo completamente diverso da quello di trent’anni fa. Il dibattito tra artisti africani sulla dialettica tra difesa e valorizzazione delle tradizioni e apertura alla modernità è particolarmente acceso e sentito dall’intera società.

Una domanda più personale. Il suo amore e interesse per l’Africa come è iniziato e come è poi diventato motivazione artistica?

Filippo Ughi: Tutto è cominciato con un viaggio, a cui ne sono seguiti molti altri. Ho passato la mia giovinezza a trovare un modo per coniugare la mie passioni per il teatro e per i viaggi in Africa. Intanto relazioni artistiche e di amicizia andavano saldandosi e rinforzandosi. Nel 2005 mi sono sposato con Bintou, attrice in Kanu e Senza Sankara. Da allora ho sempre desiderato riunire gli incredibili talenti che ho conosciuto in questi anni in progetti artistici che potessero trovare un pubblico anche in Italia.

Sicuramente, anche tramite i suoi artisti, avrà il polso della situazione del Paese, dal punto di vista non solo economico. Ad esempio, qual è il panorama culturale e artistico del Burkina Faso? A Ouagadougou si svolge l’importante festival del Cinema pan-africano, ma quali sono le principali realtà teatrali-musicali?

Filippo Ughi: La scena teatrale in Burkina Faso è di una vivacità sorprendente. Consiglio a tutti di farsi un viaggio e di entrare in contatto con i gruppi e le istituzioni teatrali di Ouagadougou o di Bobo Doiulasso! E in particolare a tutti i gruppi teatrali italiani consiglio di entrare in contatto e fare progetti con i gruppi africani: conoscere, ascoltare, creare legami su basi nuove! Per chi proprio non se la sente di passare tante ore in aereo, consiglio il lavoro che sta portando avanti Serge Aimè Coulibaly con la sua Faso Danse Théatre: Kalakuta Republik sta girando il mondo da ormai più di un anno ed è a parer mio un bellissimo spettacolo, mentre il nuovissimo Kirina sarà presentato al Teatro Argentina dal 19 al 22 settembre all’interno di Roma Europa Festival 2018. Anch’io non vedo l’ora di vederlo!