RENZO FRANCABANDERA | Sono bastati 3-4 giorni a Bassano del Grappa (Vi) per B.motion (all’interno di OperaEstate Festival) nel periodo fra il 22 – 26 agosto per avere molto chiara l’idea di quale sia la differenza fra un festival con uno sguardo internazionale vero, di qualità, non ruffiano e i molti in Italia inutilmente farciti di grandi nomi roboanti, estranei però ad una progettualità che è invece in questo caso territorio, comunità cittadina, nazionale ed internazionale.

Parliamo in particolare della sezione danza, Un festival B.Motion inserito in un altro, Operaestate Festival, vetrina delle più originali esperienze artistiche in ambito performativo, oltre che sintesi dell’intenso lavoro che impegna il CSC/Centro per la Scena Contemporanea durante tutto l’anno; è la punta di diamante di un evento culturale che sta ribadendo una sua centralità nazionale ed internazionale anche grazie alla cura di Roberto Casarotto, probabilmente in questo momento fra i curatori danza più interessanti in Europa. Un progetto che apre ai nuovi linguaggi, che sostiene artisti emergenti, che lega il nome della città di Bassano all’impegno costante per lo sviluppo, la ricerca, l’innovazione nelle arti performative all’interno di una cornice continentale che il referente artistico della sezione danza di B.Motion cura con grandissima attenzione. L’edizione di quest’anno ha ospitato anche una serie di convegni di respiro europeo proprio su come facilitare l’accessibilità del linguaggio della danza. Incontri molto partecipati da decine e decine di operatori internazionali arrivati per l’occasione a Bassano.

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Non meno interessante la selezione di spettacoli. La scorriamo in due articoli.

Lo spettacolo And my heart almost stood still di Ari Taperberg interpretato da Avshalom Ariel e Tomer Damsky che manovra anche il suono, nasce da uno stimolo sensoriale, una lettera di Helen Keller in cui la celebre intellettuale sordocieca ringraziava la New York Symphony Orchestra per un’esecuzione della Nona di Beethoven di cui lei potè fruire attraverso il tatto, ponendo la mano sulla membrana vibrante della cassa audio. La performance, la cui durata è di circa un’ora, inizia con il performer Avshalom Ariel che muovendosi in una dimensione di cecità, assorbe il sonoro dall’ambiente circostante cercando di riprodurlo fra ironia e distorsione sonora. Di qui in avanti, passando per un iniziale leggerezza emotiva, la creazione si avvita progressivamente in uno spazio di intimo scandaglio su ciò che percepiamo, su come siamo percepiti e sul penoso realizzare quanto spesso le separazioni emotive e gli isolamenti che abbiamo rispetto al  mondo circostante (voluti o subiti) superino le deprivazioni sensorie e coinvolgano tutti.

L’azione si muove fra citazioni del film dedicato alla donna, momenti in cui l’azione performativa si allarga anche a Tomer Damsky che entra in scena cercando un dialogo con l’interprete principale, in una sequenza di suoni gutturali che ripetono suoni di cui si perde il significato originario: indagini sul silenzio, sul messaggio corrotto.
Il pubblico, inizialmente attratto in uno spazio di amichevole giocosità, si ritrova poi a seguire il protagonista in un percorso di iniziazione al senso, di ricerca dell’esperienza intellegibile, anche di dolore per quello che non si riesce a dire, a comunicare. And my heart attraversa momenti di pathos altissimi, come quello dell’esperienza di annegamento nel bicchier d’acqua in cui l’interprete proferisce parole incomprensibili rischiando il soffocamento, delimitazioni concettuali della sensazione di isolamento. Il finale, che coinvolge e porta il pubblico a vivere la stessa esperienza della sordocieca, completa un viaggio sentimentale che ci lascia con le lacrime agli occhi. Una creazione realizzata con mezzi ridicoli e tuttavia degna di passaggi logici e di significato degni delle creazioni di scena più complesse. Imperdibile.

Compass è una coreografia di Simone Aughterlony, Petra Hrašćanec e Saša Božić intepretata dalle prime due. Il duo in scena investiga la relazione tra due donne, ultimo lavoro di Simone Aughterlony artista neozelandese attiva tra Zurigo e Berlino, felicemente ospitata dall’attenta direzione artistica fra le pareti scrostate di Garage Nardini. E l’ambientazione non potrebbe essere più felice per quella che è forse la creazione più complessa ed enigmatica del festival nella sezione danza. Un’opera ardita, coraggiosa, che si distingue per la capacità non facile di creare un ambiente di solitudine siderale fra due esseri umani, due donne, la cui ricerca di una relazione interpersonale annoda e lega le protagoniste, quasi gemelle nel sembiante, in un vuoto in cui il mondo esterno appare lontanissimo. Una serie di onde disegnate col gesso a pavimento pare suggerire l’idea di un naufragio ed effettivamente le due protagoniste sembrano isolate in un altrove i cui perimetri sono incerti come quelli delle loro identità e del legame che le avvince.

La creazione ha il pregio di definire progressivamente la sospensione, il vuoto emotivo, il disincanto del niente da fare, del nulla che reca sollievo. Elementi di scena una tinozza di metallo di quelle antiche, un grande panno di stoffa ruvida di quelli usati nei campi, di cui una delle due cercherà senza esito un capo, e ossa scarnificate di qualche creatura animale, il cui teschio incomberà come un memento mori degno di riferimenti pittorici Cinque-Secenteschi.

 

La regia coreografica si sofferma con maniacale attenzione su una nitidezza compositiva delle immagini e dei movimenti, in cui non sfuggono mai i rimandi alle arti figurative, plastiche. Il lavoro termina con una pietà pagana, composta da una Madonna degli stracci e da una femminilità dal tratto un po’ luciferino, che indossa corna di montone, che si fa lucidare con un impasto di sangue e sale. Un rito ancestrale e violento nella sua animalesca dolcezza e che ricorda davvero squarci mitici di millenni fa. Emotivamente una “botta allo stomaco”, in cui piomba tutta la sala prima dello scrosciante e meritato applauso finale. Riuscire a costruire spettacoli su atmosfere così delicate, rarefatte, prossime al vuoto, è difficilissimo ed invece qui l’operazione riesce completamente. Faticosamente. Dolorosamente. Preziosissimo.

Staccate i neuroni specchio o voi ch’entrate, potreste fare una fatica assurda: curioso ed ingaggiante è Homo Furens  del coreografo francese Filipe Lourenco, che fa parte della selezione Aerowaves 2018. La descrizione di ciò a cui si assiste è agevole: cinque uomini in jeans e maglietta  eseguono incessanti esercizi in stile allenamento militare fino allo sfinimento finale. Divertente come lo spettatore alla fine implori la quiete e il riposo esattamente come i cinque interpreti spinti

L’esercizio parte da flessioni, incastri, movimenti coordinati e ripetuti in cui gli interpreti come militari, pancia a terra, si scivolano uno sull’altro, uno dentro l’altro, uno dopo l’altro, in modo ordinato, militare, ripetuto nella variazione degli esercizi. Dopo poco la sensazione è di essere noi in quel groviglio, che i nostri neuroni specchio siano a far fatica, a sudare come loro, metà sala dopo i 45 minuti di esbizione, al finale, tira un sospirone, manco avesse finito un durissimo allenamento in palestra. E’ veramente cruciale capire dunque come la coreografia sia costruita proprio su una progressiva bizarria nell’esercizio del movimento tale da non renderlo uno sterile esercizio fisico ma un vero e proprio tessuto di intenzioni creative, di piccoli labirinti dell’esperienza che si incastrano nel corpo dell’essere umano. Lo spettacolo riesce e si ferma proprio al momento giusto, quello in cui dinamica ginnica e coreografica trovano perfetto equilibrio. Tonificante.

 

AND MY HEART ALMOST STOOD STILL
Ari Teperberg – Israele

Prima nazionale

coreografia Ari Teperberg
interpreti Avshalom Ariel e Tomer Damsky
suono Tomer Damsky
editing Yoav Bril
photo by Efrat Mazor
produzione e coproduzione Teatro Westfluegel a Leipzig, Germania and the Independent Theatre Makers’ Association in Israele

COMPASS
Simone Aughterlony / Sasa Bozic / Petra Hrascanec – Svizzera / Croazia
coreografia Simone Aughterlony, Petra Hrašćanec e Saša Božić. Interpreti Simone Aughterlony, Petra Hrašćanec.
Musica Hahn Rowe.
Scene e costumi Ana Savić-Gecan.
Disegno luci Bruno Pocheron, Miljenko Bengez.
Poster visuals Tina Gverović.
Video Josip Visković.

 

HOMO FURENS
Filipe Lourenco – Francia

Riportando all’immaginario di Full Metal Jacket, Homo Furens interroga il modo in cui guardiamo al movimento, che sia per farne coreografia che per farne combattimento.

Prima nazionale

coreografia Filipe Lourenço
interpreti Tom Grand Mourcel, Stéphane Couturas, Rémi Philippe, Yves Leblanc, Julien Raso, José Teles Meireles
foto e video François Stemmer
produzione PLAN-K coproduzione Théâtre de Bourges e CCN de Roubaix con il supporto di France – The Region Prefect of Centre-Val de Loire The Régional Direction of Cultural Affairs, residenze artistiche CCN of Roubaix, Micadanses, CND of Pantin, Theater of Bourges