MARTINA VULLO | «Il bellissimo ordine della scena […] con la forza de lumi parve più dell’ordinario e più tosto miracolosa che eccellente; come poi reuscissero le prospettive di dentro fatte dal Tamoscio, non occorre ch’io le dica, poiché ella sa benissimo che non illuminate non son niente, illuminate paiono ogni cosa».
Con queste parole, nel 1585, in una lettera indirizzata a Battista Guarini, viene descritta la scenografia dell’appena inaugurato Teatro Olimpico di Vicenza.

Edipo-re-1585-monocromo-nellodeo-del-teatroIl Tamoscio a cui si fa riferimento, altri non è che l’allievo di Palladio: Scamozzi, artefice delle scene prospettiche che rappresentano la città di Tebe. E non a caso: lo spettacolo inaugurale sarà infatti l’Edipo Tiranno, che avrà luogo nella serata del 3 Marzo, in occasione dei festeggiamenti del carnevale e per la cui occasione si sperimenterà un particolare tipo di illuminazione.

Da quella rappresentazione sono trascorsi più di quattro secoli, ma molti elementi all’Olimpico di Vicenza rimangono immutati: dalla sontuosa atmosfera alle scene prospettiche mai rimosse, dalla classicità delle incisioni che la circondano, agli spazi in cui prendeva posto l’antica nobiltà disposta per ordine gerarchico. E anche la grande tragedia sofoclea continua a essere messa in scena. Forse non sempre alla stessa maniera in cui la si rappresentava a fine ‘500. C’è, tuttavia qualcosa che accomuna il più lontano e il più recente degli allestimenti dell’Edipo che hanno calcato il palco del teatro vicentino; per quest’ultimo, come per il primo, è possibile adottare la medesima frase: «le prospettive, illuminate, paiono ogni cosa».

Se esiste un elemento con il quale, nell’immediato, è possibile riconoscere la cifra del regista americano Robert Wilson, questo è certamente il suo caratteristico uso delle luci e l’Oedipus, andato in scena dal 4 al 7 Ottobre, non fa certamente eccezione.
È un Edipo essenziale, stilizzato, che si esprime per scale cromatiche, atmosfere psichiche e gesti minimali.
Coprodotto da Conversazioni (il ciclo di spettacoli classici che dal ’34 ha ogni anno luogo all’Olimpico), Pompei Theatrum Mundi e dal Teatro stabile di Napoli, a seguito di quattro laboratori tenuti in America e in Italia negli ultimi due anni, lo spettacolo ha visto il suo esordio al Teatro Grande di Pompei prima di approdare sul palcoscenico dell’Olimpico, per il quale è nato come progetto site specific.
Questo spiega la ragione per cui le frasi dei personaggi, pronunciate in maniera frammentata, oltre che dalla traduzione di Ettore Romagnoli in versi italiani del 1926, attingono dalla versione di Orsatto Giustiniani per la prima del 1585. Si spiega inoltre così la linea di continuità creata fra le sculture presenti nell’edificio teatrale e le posizioni statuarie dei corpi di alcuni performer sulla scena.

Oedipus di Robert Wilson al Teatro Olimpico di Vicenza_light_001Ma andiamo per ordine. La messinscena rispetta l’ordine cronologico del mito: abbiamo un prologo e cinque scene.
Ai personaggi diegetici se ne uniscono degli altri: il sassofonista Dickie Landry, compositore di una melodia che torna nel corso della performance quasi come un leitmotiv, una signora in tailleur e cappello neri, una giovane donna le cui linee corporee saranno continuamente evidenziate e modellate dalle luci, un gruppo di figuranti che vestiranno in nero e i ballerini

La storia prende le mosse da un racconto in terza persona operato da due differenti voci, arricchito dai gesti dei personaggi sulla scena. Sin dalla prima comparsa risulta evidente il loro carattere plastico, quasi marionettistico.
A farla da protagonista è il corpo in quanto fisico ma anche in quanto voce nelle sue più svariate qualità fonetiche: una stessa frase può essere pronunciata più volte, in differenti modi e in differenti lingue – ne ricorrono ben cinque – e si crea uno strano contrasto fra parti declamate e registrate. Di queste voci possono colpire differenti aspetti: il timbro particolare, il suo provenire da fonti disparate e difficilmente identificabili o l’inflessione caratteristica di chi parla una lingua che non gli appartiene.

La pluralità delle voci rende il senso di un’universalità che trova conferma all’interno delle scene collettive. Queste ultime rievocano tableau vivant dove più personaggi, mostrati simultaneamente, sono esaltati nelle differenti fisicità e nel movimento: compiono gesti molto semplici che, decontestualizzati, risulterebbero banali ma, reiterati, acquistano senso e forza, grazie anche all’intervento delle luci. Non è un caso se spesso, facendo riferimento alle sperimentazioni di Wilson, si parla di “corpi riguadagnati alla realtà”.
Generalmente a dare piattezza maggiore ai corpi scolpiti dalla luce contribuisce una tela collocata sullo sfondo, ma a questo riguardo Oedipus costituisce un’eccezione, innestandosi sullo sfondo tridimensionale dell’Olimpico che, tuttavia, nulla toglie alla forza della presenza corporea e, anzi, impreziosisce la scena.
Lo spettacolo non è di fronte agli occhi dello spettatore, non sta solo nei gesti dei performer, nell’essenzialità dei visi truccati in bianco, quasi fossero maschere veneziane. Non si limita alle azioni minimaliste che divengono simbolo grazie all’ausilio di pochi oggetti: rami spogli e cespugli – evocatori di una natura duplice? –, rumori di lastre su cui il battere dei piedi produce un’eco che ha la forza di un tuono o un uovo pronto a schiudersi a coprire una testa simbolicamente cieca. Né si limita alle ridondanti parole della tragedia greca.

Oedipus di Robert Wilson al Teatro Olimpico di Vicenza_light_002Oedipus è immersivo e avvolge lo spettatore attraverso un intenso dispiegarsi cromatico che conferisce tono emotivo al tutto, attraverso le voci che si diffondono da ogni differente angolo, attraverso quelle poche note di sax che arricchiscono e impreziosiscono il clima generale.
E nel mezzo di queste luci, di questi gesti, di queste voci, si isolano e si imprimono scene che diventano piani visivi: mani che si aprono in un gioco di controluce, gridi silenziosi che ricordano quello di certe statue di vergini dolenti o il silenzioso grido della madre Courage brechtiana.
Questo è l’Oedipus di Bob Wilson: una performance nella quale l’immensa e culturalmente pregnantissima tragedia di un figlio, che compiendo la profezia, uccide il padre e giace con la madre, viene svuotata dell’antica funzione catartica per divenire climax, manifestazione emotiva, simbolo di un’universale oscurità che accomuna l’umanità tutta, in un teatro dove la letteratura arretra per lasciare spazio alla luce, al corpo, al suono e all’immagine.

 

OEDIPUS
di Robert Wilson
allestimento site specific per il Teatro Olimpico

ideazione, scene, light design e regia Robert Wilson
co-regista Ann Christin Rommen
musiche originali di Dickie Landry e Kinan Azmeh
costumi Carlos Soto
collaborazione alla scenografia Annick Lavallee-Benny
collaborazione alle luci Solomon Weisbard
drammaturgia Konrad Kuhn
interpreti:
Angela Winkler e Mariano Rigillo
Dickie Landry (sax)
Michalis Theophanous, Meg Harper, Casilda Madrazo, Kayije Kagame, Alexis Fousekis
con la partecipazione di Marta Allegra, Pietro Angelini, Alessandro Anglani, Marcello di Giacomo, Francesca Gabucci, Laila Gozzi, Alice Pagotto, Edoardo Rivoira, Federico Rubino

Spettacolo in Italiano, Inglese, Greco, Tedesco e Latino
Traduzioni originali in Italiano di Ettore Romagnoli (1926) e Orsatto Giustiniani (1585)

Teatro Olimpico di Vicenza
7 ottobre 2018