ESTER FORMATO | Di Notturno di donna con ospiti esistono in realtà due versioni – la prima si chiama Una tranquilla notte d’estate – che Annibale Ruccello scrisse facendo rientrare il dramma in una sorta di trilogia con Le cinque rose di Jennifer e Week-end. Storie, queste, legate dall’esplorazione dell’inconscio femminile in chiave non soltanto intimistica, ma dichiaratamente antropologica. Al giovane drammaturgo stabiese interessava particolarmente il mutamento sociale delle periferie, l’incontro fra sottocultura proletaria e consumismo, il sorgere dei primi centri commerciali, il kitsch degli elettrodomestici che “abbellivano” le recenti casette ai margini delle città. In questo contesto si situa la protagonista del dramma, Adriana; una venticinquenne banale assai, di quelle donnette che si sposano presto, fanno i figli, preparano il pasto al marito che fa i turni di notte. Una di quelle che si sono scelte un uomo piuttosto insignificante, di «quelli che si potrebbero incontrare seduti tranquillamente al bar« (nda). In una parola, la mediocrità che nel teatro ruccelliano appare sempre nuda e cruda, e non fa mai sconti sulla sua banalità. Ma è da questa visione “iperrealistica” del suburbano che Ruccello seppe trarre la profondità del rimosso e della follia.

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Guardando la scena allestita per la regia di Mario Scandale in cui prende corpo lo studio sulla versione del 1982,  progetto dell’Accademia Silvio D’Amico, si ha come l’impressione che la piccolezza della provincia campana si sia fatta coagulare entro un concetto più ampio di marginalità geografica; lampeggia sui tessuti che perimetrano l’interno della casa la scritta “Motel”, portando naturalmente lo spettatore a distogliere l’attenzione dal focus antropologico di partenza. È una felice intuizione perché l’interesse e il radicamento al tessuto sociale e linguistico del territorio da parte del giovane drammaturgo non ne ha mai inficiato una profondità universale. Ruccello porta in scena i suoi fantasmi culturali e non, alla stregua di un Tennessee Williams d’oltreoceano: entrambi attaccati, inchiodati al pulsante e virulento serbatoio del loro Sud, entrambi in grado di scandagliarne attraverso l’esplorazione le più inquietanti vette della cieca marginalità e dolenza.

Ma Ruccello, come Williams, pone generalmente dinanzi a noi degli stereotipi specifici di personaggi femminili che difficilmente si possono immaginare, anche solo visivamente, intercambiabili con entità maschili; anche perché nel loro teatro, pensiamo alla mitica Jennifer ruccelliana, vi è un momento preciso ed una struttura drammaturgica ad hoc per poter accogliere il continuum di generi. Cosicché quando agisce Arturo Cirillo – grande frequentatore di entrambi i drammaturghi – nei panni di Adriana, immaginando uno sdoppiamento fra un uomo che compie in solitudine i suoi anni e il delirio della protagonista, si è un po’ spiazzati.

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Lo spettacolo del resto, osserva la drammaturgia originale sfrondando ove possibile  le indicazioni scenografiche dell’autore, ovvero stilizzando leggermente l’interno della casa, ma lasciando che elettrodomestici inizio anni ’80 determinino comunque la cifra del contesto.
D’altra parte è un’esplosione di colori: le luci antinaturalistiche concretano questa dimensione drammaturgica dello stabiese fra realtà e allucinazioni, risaltano gli inquietanti personaggi di Arturo, Giovanna e Rosanna con il loro abbigliamento fra il kitsch e il trasgressivo, chiaramente frutto della degenerativa allucinazione di Adriana. Se la mente di lei  è suggestionata dai promoter del centro “Lafeconda”, destinati ad invadere il  suo inconscio e quindi il suo unico spazio vitale, ogni personaggio è quindi suo alter ego e del marito Michele. La sua scialba e opaca femminilità si sdoppia  in quella arrogante delle due donne, in particolar modo Rosanna, sua compagna di scuola e sprezzante di quella dimensione domestica, mentre l’indifferente e mediocre marito è riflesso nella compassata gentilezza di Arturo e nella gagliardia di Sandro, il primo amore  di Adrianella. Tutti a costituire una giostra sgargiante quanto luciferina alla quale si consegna quasi passivamente.
Nella pagine del dramma è chiarissima l’incapacità di Adriana di comprendere lucidamente la propria infelicità; ella ha solo il suo status di moglie e madre confinata in ampie villette cafone di nuova costruzione chissà quanto lontane da un autentico centro cittadino, con solo il telefono per contattare il  mondo esterno – sua madre –, oggetto prediletto dell’estraniamento ruccelliano.

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Quando questa opaca donnetta, banalissimo personaggio, si trasforma in un’autentica Medea? Nell’edizione di Scandale non è dato saperlo, il finale tende a sbriciolarsi nella soppressione del finto feto, sfumando tutto l’epilogo. Ritroviamo invece  Cirillo e la sua solitudine squallida nel motel. Il compleanno di Adriana, citato nel diabolico carosello finale dei personaggi e nel delirante dialogo col padre morto,  diviene il punto centrale nell’analisi del regista e gli suggerisce questo “doppio” maschile di Adriana. L’impressione che permane, tuttavia, è che la ragione della scelta sia da ricercare in un fattore squisitamente esterno all’opera teatrale: pare sia l’identità attoriale di Arturo Cirillo, già storico interprete ruccelliano e in più stabiese di nascita, ad autorizzare tale sovrapposizione di genere, quasi come a sintetizzare il proprio legame col teatro di Ruccello. La sua complessiva sfumatura metateatrale non sembra aggiungere nulla al dramma. È infatti il resto degli attori ad aggiungere un brio ulteriore ad uno spettacolo che continuavamo a ricordare solo per l’edizione ormai ventennale con Giuliana De Sio e storici attori nella regia di Enrico Lamanna.
Anche Ferdinando, testo ancor più complesso, è stato ripreso recentemente con un ulteriore allestimento. È questa, a prescindere dai risultati, una nota positiva che ci aiuta a collocare Ruccello in un discorso più ampio, come qualsiasi altro contemporaneo.  

NOTTURNO DI DONNA CON OSPITI

studio sulla versione del 1982 di Annibale Ruccello
regia Mario Scandale
con Arturo Cirillo, Simone Borrelli, Luca Carbone, Giulia Gallone, Luca Tanganelli, Giulia Trippetta
Voce Padre Giovanni Ludeno, Voce Madre Antonella Romano
scene Dario Gessati, costumi Gianluca Falaschi, luci Pasquale Mari
produzione Accademia Nazionale d´Arte Drammatica ‘Silvio d´Amico´

foto di scena Tommaso La Pera

Teatro Studio Melato – Piccolo Teatro
Milano, 28 ottobre 2018