MARTINA VULLO | È il Giugno del ’66 e siamo a Francoforte, al Theater am Turm, quando per la prima volta arriva in scena Insulti al pubblico: la pièce che consacrerà lo scrittore, drammaturgo, poeta e sceneggiatore Peter Handke – allora giovane ventiquattrenne – alla fama teatrale.
Come suggerisce il titolo, il testo prende di mira il pubblico accusandolo e letteralmente insultandolo per la propria complicità con un sistema teatrale che lo vuole silenzioso e passivo.

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Peter Handke – 1966

A fronte delle provocazioni, in platea si manifestano le reazioni più svariate: qualcuno applaude, altri fischiano e commentano e altri ancora abbandonano il teatro indignati. Ma la situazione più interessante si verifica durante la seconda replica, quando – come racconta Erika Fischer Lichte nel suo Estetica del performativo – diversi spettatori, prendendo alla lettera i contenuti del testo dell’autore, irrompono nello spazio scenico e interferiscono con l’azione dei performer, provocando così la furia del regista Claus Peymann che, interpretando la rinegoziazione dei rapporti tra pubblico e performer come una violazione al proprio ruolo, fa interrompere lo spettacolo.

In quegli anni ha già preso piede la svolta performativa delle arti e la partecipazione del pubblico è una pratica sempre più comune. Lo dimostrano i lavori del Living Theater e del Performance Group di Schechner in America, che prevedono un fortissimo grado di partecipazione attiva del pubblico, ma anche l’oramai consolidata pratica dell’happening così come gli Events che John Cage porta avanti dal decennio precedente.
Ha luogo insomma una rivoluzione nel modo di intendere l’arte che, a dispetto delle antiche convenzioni, non è più pensata come un’opera chiusa, ma piuttosto come un evento in divenire a cui tutti, pubblico compreso, devono contribuire. E la pièce di Handke, nella quale la parola assume oltretutto un ruolo centrale, potrebbe essere il perfetto manifesto della cornice storica e culturale da cui si origina.

Ma oggi, fuori da quel contesto, Insulti al pubblico può risultare attuale? In che modo arriva al nuovo pubblico?
Da questa domanda parte Chiara Caselli che, come regista e come performer, insieme a Lydia Giordano, sceglie di recuperare quel lavoro arrivando, con la produzione del Teatro delle Donne, il 28 Dicembre davanti al pubblico del Teatri di Vita di Bologna.

Quando il bambino era bambino /  Non aveva opinioni su nulla, / Non aveva abitudini,  / Sedeva spesso con le gambe incrociate / E di colpo si metteva a correre, / Aveva un vortice tra i capelli / E non faceva facce da fotografo.

46898653_10215719462653000_2227947386389397504_nProbabilmente un primo segno sostanziale del tempo sta nell’autorialità che oggi viene riconosciuta allo spettacolo. La prima volta in cui veniva portato in scena, di certo Handke non poteva essere riconosciuto quale il famoso sceneggiatore de Il cielo sopra Berlino di 21 anni successivo agli Insulti.
Ma l’autore che per il film dell’87 ha scritto il poetico Elogio dell’infanzia – ironizzano le attrici ai Teatri di Vita,  dopo averne recitato i versi – ha per loro in serbo ben altre parole.

Le due si rivolgono continuamente alla platea e, se questo segnale non fosse sufficiente per il riconoscimento dello squarciamento della quarta parete, intervengono a rafforzare il concetto anche l’illuminazione totale della sala grazie alla quale attrici e pubblico possono guardarsi in faccia – «siamo nella stessa barca» scherza Lydia Giordano – e la successiva scelta delle performer di trovarsi temporaneamente un posto comodo fra le poltrone della platea.
Il clima che si instaura porta con sé una bella leggerezza. La chiave è quella dell’ironia e dell’autoironia. Ci saranno certamente anche gli insulti, ma il pubblico non si sentirà mai veramente colpito, con sorpresa di chi, a fronte del titolo, avrà potuto immaginare operazioni sulla scia di certe proposte futuriste o delle azioni provocatorie che altri artisti, in un passato non troppo remoto, hanno rivolto al proprio pubblico (si pensi, rimanendo sul territorio bolognese, ai concerti degli Skiantos in cui verdura e vermi da pesca venivano gettati addosso alla gente).
Le performer sembrano lanciarsi in una sorta di disquisizione rispetto a ciò che il pubblico deve o non deve aspettarsi da loro. Fra i primi chiarimenti, il fatto che non verrà messo in scena nulla, non sarà raccontato nulla e che ciò che accadrà non rimanderà ad altro che a se stesso.
Siamo al di fuori da ogni principio semiotico: non ci sono suoni, oggetti scenici, luci particolari o virtuosismi recitativi. Solo loro due, Chiara e Lydia, coi propri abiti quotidiani e le parole scelte dall’autore: sussurrate, nei momenti di dialogo fra le attrici, o gridate alla platea a cui si rivolgono senza l’uso di amplificatori.

I contenuti del testo del ’66 sembrano anticipare le concettualizzazioni teoriche di Lehmann sul teatro post-drammatico che di fatto si basa su esperienze come quella di Handke e dei suoi contemporanei.
Se con la scelta del testo in quanto elemento centrale siamo di fronte al quasi paradosso di un significante che celebra il significato, le incastonature di azione – frutto  dell’intervento registico di Chiara Caselli – consentono di misurarsi in modo più concreto con il senso delle parole espresse dall’autore: l’effettivo momento di silenzio che, ad esempio, segue la riflessione delle performer in merito all’autoreferenzialità di una pausa nella rappresentazione, è in grado di rendere conto di tutta la forza e l’energia che si raccogliere nel qui e ora del teatro.
Allo stesso modo però un passaggio pensato come una sorta di gioco/meditazione rivolto al pubblico, provocatoriamente spinto a prendere coscienza del proprio corpo, fa emergere dei momenti di sconnessione fra quest’ultimo e le pur bravissime performer.
Tutto ciò che resta degli Insulti al pubblico di Chiara Caselli e Lydia Giordano è una riflessione ironica, leggera e intelligente sui reali confini del teatro.
46803673_10156799457889618_5558083513799933952_oMa di fronte alle reazioni temperate della platea di cui ho fatto parte ai Teatri di Vita – un teatro la cui programmazione prevede fra l’altro spesso e volentieri spettacoli che giocano sullo scardinamento di luoghi comuni – e ripensando invece al grado di partecipazione del pubblico del ’66 a Francoforte, sorgono delle domande: quanto un determinato contesto può influire sulla percezione del pubblico? Quali sono oggi le condizioni  affinché possa avvenire realmente l’incontro a teatro? Quali sono le formule felici di un teatro partecipativo  e quelle, invece, fallimentari?


INSULTI AL PUBBLICO – Atto unico a due personaggi che non sono
di Peter Handke
con Chiara Caselli e Lydia Giordano
regia Chiara Caselli
produzioneTeatro delle Donne

Teatri di Vita, Bologna
28 Dicembre 2018