ANGELA FORTI | Soltanto quattro blocchi di gradini bianchi abitano la scena di Best Friend, lo spettacolo firmato Giuseppe Tantillo in scena al Teatro Argot Studio fino al 27 di gennaio. Dietro di essi si staglia la proiezione di un grande fondale colorato – rappresentazione in acrilico di un paesaggio autunnale – sul quale, nel buio che segna il cambio di scena, restano proiettate le ombre degli attori. Un parco giochi, una pista da skate, il muretto davanti al cancello della scuola, quelli che presto riescono, grazie all’iconicità della minimale scenografia, a farsi i luoghi ricorrenti della nostra infanzia.

Chris (Giuseppe Tantillo) e Davi (Francesco Bardi) sono migliori amici e sembrano incontrarsi ogni giorno. Il fulcro drammaturgico sono proprio le amicizie, quelle che si creano nel giro di un pomeriggio ma che possono durare per sempre; quelle che vanno a riempire un’ideale graduatoria dei migliori amici ma che poggiano sulla fedeltà incondizionata, sull’impossibilità di venire meno alla promessa.
Molto presto risultano chiare le due personalità: Chris è più sicuro di sé, una forte cultura televisiva gli permette di conoscere già le cose dei grandi; Davi, al contrario, è più timido e insicuro. Parla educatamente, è vestito elegantemente dalla madre premurosa, e solo grazie alle argomentazioni e alla sicurezza di Chris riesce ad affrontare i propri timori.

Le stagioni si avvicendano sul palcoscenico accompagnate ognuna da un fondale diverso e da diverse versioni di That Boy dei Beatles. I due bambini continuano a confrontarsi sugli avvenimenti che popolano le loro giornate e ad affrontare insieme le problematiche comuni – per esempio come condividere e dividersi fraternamente il fidanzamento con la ragazzina di cui entrambi si dicono innamorati.

Ma gli attori, in abiti infantili, sempre pienamente illuminati, raramente si incontrano: il più delle volte si trovano agli estremi del palco e, salendo e scendendo i gradini, gestiscono verticalmente lo spazio in un dialogo di battute brevi, di domande e risposte, di lunghi silenzi: nell’inconscio della loro età, a costruire il loro rapporto sono gli sguardi, la comunicazione non verbale. La vicinanza del pubblico, garantita dalla piccola sala dell’Argot, permette che a scandire il ritmo sia una mimica contenuta ma espressiva, una traduzione prossemica puntuale dello stato d’animo dei personaggi.

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Dopo aver comicamente sventato una presunta malattia terminale di cui avevano inequivocabilmente riconosciuto i sintomi in una serie TV, i due scoprono che Davi dovrà presto trasferirsi. Decidono, così, di mettere in pratica tutte le avventure che li avrebbero attesi negli anni se non avessero dovuto dividersi: la prima canna (riempita di thè in mancanza dell’ingrediente principale), un fantomatico viaggio in autostop con cappello, sciarpa e scarpe da tennis, tutte quelle scoperte e piccole follie tipiche della crescita, delle quali tutti serbiamo gelosamente il ricordo e proviamo tenera vergogna.

Fa sorridere la logica aerea con cui i due cercano di affrontare le tematiche ormai adulte. Con essa si muovono in una visione del mondo che non conosce scandali, in cui della morte si può parlare con semplicità, in cui il proprio corpo e la sessualità sono mondi da scoprire con naturalezza, non da dover reprimere con spaventato. Beata fanciullezza! Non si può non pensarlo, con nostalgia, mentre i due, scambiandosi sangue e saliva, finalmente seduti vicini sul gradino più alto, possono davvero diventare fratelli, possono promettersi di essere amici per sempre.

Nel mondo dei bambini non esistono differenze affettive, amicizia e amore possono ancora confondersi: il bacio che i due si scambiano al momento della partenza non ha nulla a che fare con con la malizia, tanto meno con i presunti “sintomi” di un rapporto omosessuale. Fantasia e istinto guidano le loro azioni: è il bacio che è di per sé maleducato, non certo il fatto che a scambiarlo siano due amici maschi. “Da grandi si può essere maleducati?”, “Certo”, risponde Chris.

Il testo di Tantillo, scevro di ogni accondiscendenza, coinvolge lo spettatore con la sua sincerità, con una comicità plausibilmente propria del vedere bambino: appella alla necessità di costruire rapporti che siano limpidi e puri, parla a quel Chris e a quel Davi che ancora giacciono dentro ognuno di noi e che troppo spesso non possiamo (o forse non vogliamo) lasciare liberi di esprimersi e di portare nelle nostre vite la tenerezza di un affetto, la calda speranza del per sempre.

 

BEST FRIENDS

Testo e regia Giuseppe Tantillo
con Francesco Brandi e Giuseppe Tantillo
scene Antonio Panzuto
costumi Alessandro Lai
regista assistente Valentina Carli e Riccardo Sinibaldi