VITTORIA LOMBARDI | Galin Popov, il manager culturale coordinatore del progetto Odyssée Karavana si sofferma sull’orizzontalità dei processi decisionali e sottolinea ciò che di più positivo trae da quest’esperienza come operatore; in contrasto con la verticalità della struttura gerarchica istituzionale, dice, che qui, anche nel settore culturale, è la prassi prevalente.

Ripensando alla sua testimonianza, nella struttura organizzativa della convivenza artistica delle compagnie del campo di Trakia riscontriamo l’orizzontalità di cui parla: la routine è scandita dalle riunioni mattutine, luogo di restituzione d’impressioni importanti per il buon funzionamento del festival: è il coordinamento interno a far fronte alla complessità organizzativa, uno scambio che dall’utilità pratica diventa elemento di coesione tra le compagnie, parte di un codice morale non scritto ma tacito, sull’essenzialità del mutuo aiuto e che in strutture di rete come CITI non può che portare buoni frutti.

La lingua è un punto nodale del rapporto con il pubblico, la traduzione una via fondamentale e necessaria per comprendersi reciprocamente. È grazie al coinvolgimento dei componenti del collettivo Theatre of Responsibility che la mediazione linguistica è resa possibile: Boris Zafirov, Tsveta Ermenkova, Nikolay Shopov, Anna Grotesque. Theater of Responsibility ha sede a Plovdiv ed è un progetto di fresca ideazione. Nato come piattaforma e realtà di produzione artistica indipendente con una particolare attenzione per l’arte socialmente impegnata, Theater of Responsibility risponde inoltre, ci racconta Nikolay Shopov, all’esigenza, soprattutto delle nuove generazioni, di farsi spazio all’interno di un contesto artistico dove le programmazioni dei teatri nazionali o a carattere commerciale sono ancora predominanti e saturano l’offerta.
Da poco hanno un piccolo spazio e l’idea di un festival che possa essere occasione di incontro per le formazioni emergenti. Si avvicinano all’Odyssée Karavana nel corso di alcuni workshop ed è nel legame creatosi con questo gruppo di giovani artisti che riscontriamo il più efficace degli incontri e degli scambi di questo progetto. Non è tuttavia stato l’unico.

Andreas Christou, regista della compagnia belga Arts Nomades ci racconta alcuni dei passaggi interni a CITI – Centre International pour les Théâtres Itinérants per la realizzazione del progetto Odyssée Karavana e come l’incontro con Theater of Responsibility e altri artisti locali sia stato fondamentale per l’intero processo.

Where is Joy, performance di Arts Nomades
Foto Vittoria Lombardi

Gli spettacoli in programma sono numerosi e così i workshop pomeridiani, l’accesso al pubblico è sempre gratuito, la proposta artistica eterogenea: Domino di Teatro Nucleo, Where is joy della compagnia Arts Nomades, Iliade Forever e Odissea di Les ArTpenteures, Village in scena a Trakia.
Un pretesto per raccontare con ironia e con gli espedienti del teatro di figura la storia coloniale dalle origini ai giorni nostri attraverso l’Iliade, oppure la messa in scena dell’Odissea della compagnia Les ArTpenteures giocando sulla metrica del testo e mescolando francese, bulgaro, greco.
Lo spettacolo Where is Joy di Arts Nomads, esperienza in cuffia che isola il singolo spettatore in uno spazio delimitato da “agenti dell’ordine” pronti a reprimere le istanza di gioia, sembra raccontare –  attraverso il linguaggio del teatro d’oggetti e con un’ironia che sul finale prende il sopravvento – ciò che in Domino, ultima produzione di Teatro Nucleo per la regia di Natasha Czertok, avviene attraverso il peso della parola e una precisa coreografia dello spazio.
Cuore di Domino è un gioco, un misterioso meccanismo di selezione al quale sono sottoposti i quattro protagonisti, sorvegliati e condotti da guardie dal sorriso metallico dentro e fuori un cubo metallico. “1984” di Orwell, i romanzi distopici di Huxley, il riferimento alle ideologie totalitarie su un piano metaforico che indaga la responsabilità individuale in rapporto a quella collettiva, sono i riferimenti più espliciti.
Alla durezza voluta dei corpi e delle voci in scena (i bravi Marco Luciano, Veronica Ragusa, Martina Pagliucoli, Riccardo Sergio, Giovanni Iaria, Francesca Tisano, Greta Marzano) si contrappone la struggente bellezza della poesia finale di Mario Benedetti, Hombre que mira al cielo, unica parte non tradotta nel corso delle repliche bulgare:

“Mentre passa la stella cadente
raccolgo in questo desiderio istantaneo
cumuli di desideri profondi e prioritari per esempio (…)
che i miei fratelli possano fare di nuovo l’amore e la rivoluzione (…)
e impugnino tutti i loro no
per insediare la grande affermazione
che la morte perda la sua schifosa puntualità
che quando il cuore uscirà dal petto
possa trovare la via del ritorno.”

Le guardie di _Domino_, spettacolo di Teatro Nucleo
Foto Vittoria Lombardi

È lo spettacolo più duro del festival, pertinente all’idea di un teatro negli spazi aperti non necessariamente legato all’intrattenimento e all’evasione, ma a un teatro che vuole trattenere a sé, lì, nello spazio dell’azione.
Sullo sfondo dei palazzi di Trakia, le tematiche di Domino sembrano ancor più attuali e lo spettacolo assume un valore meno “testimoniale” o di “ragguaglio” di quanto non possa essere di fronte a pubblici protetti da una separazione storica maggiore dagli autoritarismi del Novecento.
È quello che alcuni spettatori ci confermano e ne traiamo una riflessione, ovvero che proprio per la complessità del luogo che accoglie questa tappa dell’Odyssée, una direzione artistica collettiva più presente nella scelta delle tematiche e delle proposte avrebbe potuto essere più incisiva e trasmettere, come forse fu per Mir Caravan del 1989, una visione comune forte, oggi come allora necessaria, da portare nei luoghi che attraversa.

E tra i luoghi attraversati dalla Karavana vi è Stolipinovo, Città-Stato senza Stato e protagonista di sé stessa in questo racconto della nostra Odyssée, un capitolo a parte dell’intera narrazione.
È uno dei luoghi del festival, ma qui vi è una sola compagnia, i belgi Les Nouveaux Disparus. Per primi hanno proposto alla Fondazione Plovdiv 2019 questa location e per primi hanno combattuto affinchè la proposta venisse accettata. La scelta è in linea con il lavoro che la compagnia svolge nelle periferie di Bruxelles con le nuove generazioni (il progetto Banlieus Nomades).

Eppure Stolipinovo non assomiglia a nessun’altra periferia europea, di certo neppure a Trakia. Per una precisa scelta politica è un luogo dimenticato, oggi ghetto di emarginazione della comunità romanì, il più popolato degli interi Balcani.
La comunità è qui suddivisa in due gruppi prevalenti: la minoranza cristiana Dassikane Roma e la maggioranza musulmana di provenienza turca Xoraxane Roma, ma parte consistente della popolazione è oggi priva di documenti, cumuli di spazzatura abbandonata ricoprono gli angoli delle strade, si contano più di 50.000 abitanti in edifici sovraffollati.
Nel corso della processo di privatizzazione che ha seguìto la fine della Repubblica Popolare di Bulgaria, tra la fine degli ’80 e l’inizio dei ’90, la comunità Romanì precedentemente impiegata nelle industrie nazionali ha perso il lavoro. Attanagliata dai debiti, l’intera comunità è rimasta isolata dal resto della popolazione di origine bulgara, che nel frattempo era stata evacuata in luoghi più salubri e, per morosità, spesso privata della corrente elettrica e dell’acqua.
Non stupisce che l’esclusione sociale e il rapporto con la comunità Romanì sia argomento irrisolto ed estremamente conflittuale nella Bulgaria di oggi.

2Parata inaugurale a Stolipinovo
Foto Vittoria Lombardi

La presenza dell’Odyssée Karavana a Stolipinovo, in assenza quasi completa di supporto da parte della Fondazione e della realtà locale, è una progettualità non realmente voluta poiché capace di aprire un conflitto che è meglio sedare.
Il rapporto con il territorio è mediato dalla scuola di quartiere e dai workshop organizzati nei mesi precedenti con gli studenti, ma l’isolamento è reale, il contatto con il mondo esterno avviene solo con gli artisti di Les Nouveaux Disparus e con compagnie di altri campi coinvolte in una parata inaugurale a inizio festival. Teatro Nucleo partecipa con un workshop per i bambini.
Una frontiera tangibile divide il resto di Plovdiv da Stolipinovo. Eppure il tendone si riempie ogni giorno, bambini e bambine, ragazzini e ragazzine urlanti scavalcano le transenne, si arrampicano curiosi sugli alti muretti che delimitano il cortile all’interno del quale il tendone da circo è stato montato: spazio scenico al centro e gradinate brulicanti ai lati.
L’eccitazione è una costante, vogliono essere fotografati, me lo chiedono in tantissimi, lo chiedono a noi tutti con le macchine fotografiche al collo, i telefoni in mano. E nonostante i tassisti si rifiutino di accompagnarci in Ulitsa Batak – “Tziganin, ne!” ci dicono scuotendo la testa e alzando il finestrino –  una frontiera sembra di averla abolita.

Cosa resterà a loro di tutto questo? È il pensiero che ritorna a ogni rientro in città.

continua…