LAURA BEVIONE | Tre differenti spettacoli hanno inaugurato, martedì 2 luglio, il festival torinese Moving Bodies, dedicato alla danza Butoh e alla performance.

Ad aprire la serata la torinese Francesca Arri che, affiancata da quattro performer, come lei in nero totale, hanno dato vita a Il passo dell’oca, lavoro che trae ispirazione e motivo di riflessione, autonomi e originali, dall’omonimo passo cadenzato che caratterizzava le truppe naziste in parata.
A sottolineare la marziale e rigida artificiosità di quel tipo di camminata e, allo stesso tempo, suggerire la perniciosità di stereotipi comportamentali storicamente e generalmente assegnati al femminile, Arri utilizza innumerevoli paia di scarpe, di misure diverse rispetto alle proprie ovvero con tacchi decisamente scomodi.

Le quattro giovani performer attingono a un mucchio – letteralmente – di scarpe sul fondo della sala, ai lati della quale è seduto il pubblico, in un allestimento che mima la passerella di una sfilata di moda. E, come mannequin – sguardo un po’ truce, falcata ampia e sicura – si muovono nello spazio scenico, attraversandolo a turno e, poi, insieme.

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Arri, invece, è prima al fondo della passerella, impegnata a provarsi calzature irrimediabilmente troppo piccole e dunque destinate a essere lanciate via con stizza. La performer, poi, raggiunge il centro della scena strisciando a terra – nelle mani sono infilate due scarpe, così da rappresentare un ulteriore tipo di passo. Da lì inizia a battere il ritmo dell’irrituale sfilata utilizzando le medesime calzature con cui si era poco prima aiutata a spostarsi.
Un ritmo cadenzato e rigido, severo e incalzante, che affatica le quattro performer/modelle che, fra l’altro, indossano ora calzature di misura evidentemente diversa dalla propria: ecco allora che la falcata si fa meno decisa, il portamento un po’ meno elegante e risoluto…
La performance, ideata e guidata in scena da Francesca Arri, si rivela così una riflessione, austera e indignata, su quelle imposizioni sociali che si concretano in ideali di bellezza e di attitudine rigidi e stereotipati, alieni agli imprevisti e agli ostacoli della vita quotidiana e, soprattutto, indifferenti a peculiarità e bisogni affatto individuali.

E la (ri)scoperta del proprio io interiore più genuino è pure al centro del secondo appuntamento della serata, Luna rossa, una “performance rituale di Butoh” realizzata in scena dalla lombarda Maruska Ronchi.

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In scena un’entità ambigua e proteiforme, completamente avvolta in un mantello nero, da cui fuoriescono mani e avambracci dipinti di rosso. Una creatura che si muove lentamente, ripiegandosi su se stessa e poi distendendosi, fino a rivelare un essere umano che, ognora con movimenti minimi compiuti seguendo un ritmo ipnotico, si libera, prima del mantello, poi di un abito – anch’esso nero – per restare con una lunga sottana rosso acceso, lo stesso colore del volto, delle caviglie e dei piedi della performer che, lentamente, si spoglia fino a rimanere in candidi slip.
Una sorta di rinascita dunque: una creatura che ritorna al mondo e, con occhi spalancati e meravigliati, lo osserva e sceglie di entrarvi a farne parte, avviandosi con lo sguardo fisso verso il fondo della sala.

Maruska Ronchi realizza una performance caratterizzata da concentrazione ed espressività, cura e raffinatezza nei movimenti minimi e precisissimi. Il viso della danzatrice, truccato e stupito, è tramutato in quello di un essere non mortale, quasi un piccolo demone che rinuncia alla propria mortalità per farsi umano. Il suo sguardo di scoperta e stupore ridisegna e reinventa il mondo.
Uno spettacolo concettuale e concentrato eppure emotivamente coinvolgente, che ipnotizza e invita a ricercare varchi a dimensioni altre ma non meno reali del nostro mondo.

Un tentativo di evasione, in questo caso dalla propria soffocante condizione esistenziale, è quello ritratto con felice ironia da Adam Koan nella sua performance Butoh intitolata Domesticated Hoope.

Il danzatore compare in scena con un abitino arancione a pois bianchi e cinturina abbinata: una sorta di casalinga disperata che si muove convulsamente mentre udiamo in sottofondo pubblicità di prodotti per bambini e annunci della metro di Londra e di supermercati.

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Disorientamento e alienazione sono i sentimenti trasmessi dal performer per mezzo di gesti spesso scomposti e febbrili, a suggerire un desiderio di uscire dal proprio corpo che si avverte letteralmente intrappolato in una dimensione convenzionale e, appunto,  “addomesticata”.
Al termine della performance, Adam Koan si toglie l’abitino per rivelare una sottoveste tutta merletti: un tentativo di evasione, probabilmente vano e, allora, l’ironia diviene quasi disperazione.
Come nei lavori che l’avevano preceduto nella serata, una volontà di infrangere coercitivi modelli di comportamento e di esplorare nuove possibilità di essere.

 

IL PASSO DELL’OCA
di e con Francesca Arri

LUNA ROSSA
di e con Maruska Ronchi

DOMESTICATED HOOPE
di e con Adam Koan

Teatro Espace, Torino
2 luglio 2019