ANGELA FORTI e LEONARDO DELFANTI | Si è chiusa la sesta edizione de I Teatri del Sacro, tenutasi per la seconda volta nella splendida cornice di Ascoli Piceno. Il tema dell’anno, Le Opere di Misericordia, è stato solo uno dei possibili fili rossi da seguire per l’interpretazione degli spettacoli: il teatro, se fatto bene, non smette mai di farci riflettere.

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LD: Devo dire che Ascoli Piceno, nel mezzo delle Marche, è una splendida cornice per un festival che aspira a raccontare i grandi temi della religiosità attraverso gli occhi di artisti laici e impegnati.
Ascoli è una città che trasuda storia, il suo centro storico è un vero e proprio gioiello medievale, specialmente al crepuscolo quando il marmo travertino si tinge del colore del sole che tramonta dietro le montagne.
Ho trovato che fosse davvero – citando la direzione del festival – “un’avventura dello spirito, una città come palcoscenico”, un luogo particolarmente funzionale non solo per la sua importanza storico-culturale, legata anche agli eventi del recente terremoto, ma anche una città in cui il sacro possa manifestarsi, grazie alle chiese così ben preservate e una comunità religiosa attiva e impegnata.

AF: Sì, Ascoli Piceno è stata una vera sorpresa. Non è una città di cui si parli spesso, ma il bianco del suo marmo non può che lasciare ammirati i suoi visitatori. L’unione tra antico e dimensione naturale suggerisce subito una forte atmosfera spirituale. Anche l’idea di portare gli spettacoli fuori dal teatro e in ambienti come chiese sconsacrate ha reso tutto più vivido, come nella cornice di San Pietro in Castello.

LD: Non di rado ci siamo imbattuti in una processione religiosa, tra un fritto misto all’ascolana e l’altro, così come non abbiamo potuto non ammirare la statua del Cristo Redentore che si erge a guida della popolazione.

AF: E non si poteva non pensare a una processione ogni volta che ci spostavamo tutti assieme, attori, operatori e spettatori, religiosamente appunto, verso il teatro e lo spettacolo successivo, verso il successivo fritto misto. In questo senso mi sento di sottolineare l’importanza spirituale, dal punto di vista della connessione al sé e della tranquillità necessaria per affrontare un proprio discorso sul sacro, delle olive ascolane e del cremino fritto. Ruolo assolutamente fondamentale, il loro!

LD: Passiamo al profano, ora. Molti sono stati gli appuntamenti che hanno creato nel corso dei cinque giorni del festival una dimensione comunitaria autentica: i pranzi, le cene, gli incontri della Casa dello Spettatore, così come Voci Fuori Scena, fondamentale spazio dedicato al dibattito tra pubblico e compagnie. Una fratellanza tra artisti, operatori e pubblico ascolano, presente in ogni momento del festival.
Per la città una boccata di aria fresca, per gli operatori una perla da ammirare.

AF: Il programma, denso con i suoi due o tre spettacoli a sera, ha saputo dare vita a dibattiti complessi su numerose questioni, dalla mafia come nel caso di Aquasantissima (URA Teatro), al tema del perdono analizzato negli spettacoli Settanta Volte Sette (Controcanto Collettivo) e U figghiu (Nastro di Möbius), questo anche grazie alla presenza di esperti di ogni settore che hanno saputo condurre la discussione e dar loro basi solide. Abbiamo visto signore accaldate difendere le loro opinioni e lanciarsi nel confronto, abbiamo visto “negri” (parola impronunciabile secondo molti e inclusa nel titolo di uno degli spettacoli) parlare italiano corretto (signori è tutto vero!); abbiamo visto cattolici dire che i musulmani sono buoni. Ci hanno convinti? Forse no.

LD: Salam aleikum, o che la pace sia con te, come dicono Simone e Samir.

AF: Scherzi a parte, penso sia importante poter discutere con ironia anche di temi delicati, come la morte e la diversità. In fondo è un un’arma contro la paura e contro il pregiudizio.

LD: volendo infatti percorrere il filo rosso delle opere di Misericordia, si potrebbe intravedere nello spettacolo Sporco Negro di Kronoteatro un tentativo di aprire davvero il dialogo all’Altro, con la A maiuscola: quello diverso da me. Solo un approccio destabilizzante e amaro come l’ironia mordace può mettere in luce i difetti di una collettività che le opere di Misericordia sembra averle dimenticate, come denunciato da 82 pietre (Nutrimenti terrestri).

AF: Sì, trovo che sia il tema della memoria a connettere davvero gli spettacoli che abbiamo visto. Ricordarsi cosa siamo e da dove veniamo è fondamentale per costruire un discorso sulle direzioni future della nostra comunità.
Ma che poi… secondo te Caino era morto o vivo?

I TEATRI DEL SACRO
Ascoli Piceno 19-23 giugno 2019