RENZO FRANCABANDERA | Una donna legata in uno spettacolo dal sapore sadomaso. Quattro attori che corteggiano la platea come se fossero in amore. E un gruppo di tardo adolescenti che parlano di relazioni interpersonali ai tempi della società liquida.
Uno strano filo ha annodato alcuni degli spettacoli del Festival Opera Prima di Rovigo, nell’edizione 2019.

Alcune domande se le pone esplicitamente la compagnia stessa, come nel caso del Collettivo Treppenwitz, formazione italo svizzera nata nel 2018 dall’unione di tre giovani realtà artistiche indipendenti: Atré Teatro, Azimut e Collettivo Ingwer.
Hanno presentato al Festival 
L’amore ist nicht une chose for everybody (Loving Kills). I giovani membri di questa formazione, nata dalla fusione sincretica di estetiche e intenzioni diverse, si chiedono in questo lavoro: “Cosa vuol dire oggi avere trent’anni, vivere in una società occidentale e confrontarsi con l’amore? L’amore è una priorità nella nostra vita?”. Ne è nato uno spettacolo costruito prendendo spunto da  una serie di video-interviste a trentenni di diverse nazionalità, cui è stato chiesto di rispondere con sincerità a domande sulla loro vita sentimentale.

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Foto Martina Tritten

I loro trent’anni: vissuti come se fossero in un’aeroporto, in un via vai di relazioni aperte e intermittenti, alcune reali, altre virtuali. La paura di vivere, la paura di viversi, i sogni, gli obiettivi.
In questa fase intermedia tra la giovinezza e l’età adulta le domande che si pongono sono svolte in uno spazio aperto, che si allarga ben presto all’intera platea, visto che il pubblico viene accolto dalla hostess in aeroporto, e lo spettacolo a più riprese rompe la quarta parete, introducendo la relazione con il pubblico persino nel tessuto drammaturgico.

Un allestimento di physical theatre curato nel dettaglio e nel riferirsi all’arte contemporanea, come i video che ritraggono i giovani e i loro racconti, ispirati ai primi piani al ralenti di Bill Viola. Fresche e interessanti alcune idee drammaturgiche (di Simon Waldvogel, Thomas Couppey, il primo anche regista), anche se a tratti il testo insiste e indulge senza trovare uno vero sbocco capace di far passare il narrato in una dimensione simbolica della rappresentazione. Bene il lavoro di squadra degli interpreti Thomas Couppey, Aurelio Di Virgilio, Camilla Parini, Anahì Traversi, Carla Valente, Simon Waldvogel e il loro movimento scenico. Si nota una certa (invero contemporanea e un po’ diffusa) indulgenza nella relazione empatica con il pubblico, su cui va trovata misura e affilatezza, per rimanere pop ma lasciare spazio alla necessaria sofisticazione del linguaggio scenico; ma è una creazione promettente, specie se il gruppo saprà trovare in futuro le ragioni profonde dell’amalgama e delle intenzioni del lavoro collettivo.

Ora, immaginate che i misurati ed equilibrati interpreti di questo spettacolo si lancino invece in una spiccata dimensione seduttiva, e che l’oggetto della seduzione siate voi, in platea. E che loro non smettano, e anzi, la provocazione diventi smaccata, erotica, quasi pornografica. Immaginate che non esista scenografia, ma il palcoscenico, un quadrato, sia un ring, con quattro attori al centro e il pubblico disposto attorno. E loro a giocare a sedurre, a godere, a eccitare.
Ovviamente per ridere, eh. Ma con intelligenza. Così inizia Romeo, Romeo, Romeo, la coreografia di Joshua Monten affidata alla faticosa e viva interpretazione danzata e recitata di David Pallant, Max Makowski, Jasmin Sisti e Jack Wignall. 

Questa produzione per quattro “Romei” (uno dei quali interpretato da una donna) esplora l’idea della danza come forma di corteggiamento. Descrivere il rapporto seduttivo e giocoso messo in atto dai performer è difficoltoso, ma qualche scampolo di video qui di seguito renderà perfettamente l’idea, anche se in lingua. Il linguaggio del corpo è più che sufficiente a trasmettere l’idea della gamma di dinamiche emotive indagate.

Il limite della creazione resta fondamentalmente nel fatto che questo linguaggio e l’ingaggio creativo non evolvano in altro, ma che la relazione, la dinamica sottostante fra finti finali, riprese, interruzioni ecc, fondamentalmente resti in una gamma esperienziale un po’ bloccata. Anche in questo caso il tema più vivo e non risolto della creazione pare proprio quello dell’evolvere dall’idea originaria verso una proiezione simbolica di complessità ulteriore. In questa creazione, giocata su un codice di ironia e divertimento, manca il profondo contraltare drammatico, che non ha la forza di strutturarsi nell’evolvere della rappresentazione. Un piatto dal gusto deciso e dichiarato, la cui porzione abbondante dopo un po’ sazia.

Deciso e non poco è il terzo spettacolo di cui parliamo, Bonds, un assolo per corpo e corda di Marlena Niestrój, che mescola teatro, danza e performance assieme all’estetica dell’arte del bondage. Parliamo qui di Teatr A Part, una compagnia polacca fondata nel 2004 le cui opere indagano, attraverso un linguaggio non verbale, l’istinto umano e il suo rapporto con l’inconscio. Una compagnia a vocazione internazionale, le cui creazioni sono state rappresentate in 28 paesi differenti.

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Marcin Herich e Marlena Niestrój (marito e moglie nella vita) studiano i movimenti di questa creazione, diretta dal primo. La bellissima attrice, alta, bionda, scultorea, ci porta dentro una sorta di sfilata su una passerella oscura, arrivata al fondo della quale, passato un limite delineato da un fermo in stile cantiere, la donna entra in una sorta di viaggio fra mente e corpo, legami, vincoli e ossessioni, che prendono la forma dell’esperienza bondage, cui l’interprete dà vita sotto gli occhi sempre più esterrefatti del pubblico, che vuole capire fino a che punto si spingerà la svestizione (completa), l’annodarsi (completo e giocato attorno ai tacchi), e poi quasi il soffocamento.
Un’esperienza senza dubbio faticosa anche dal punto di vista interpretativo, con la donna che non si risparmia nell’offrire il suo corpo performativo ma anche soggettivo: il pubblico, ravvicinato e a ridosso del tappeto oscuro, finisce quasi animalescamente per sentirne l’odore. Una sensazione forte, coerente nel suo declinarsi nel tempo dello spettacolo; asciutto, cattivo a suo modo, fatto di gesti seduttivi ma anche violenti, autoinflitti, che ha diviso il pubblico.
Lo spettatore ha potuto anche interrogarsi sul profilo morale della creazione (coerente e in fondo non erotica o piacevole, sensazione interessante da raccogliere come esito). L’archetipica situazione della sottomissione, del donarsi fino al sacrificio, facendosi via via avvinghiare in dinamiche masochistiche, viene raccontata fino al limite del pornografico ma senza mai superarlo, impedendo che diventi piacere, eros per lo sguardo. Uno stimolo in fondo non banale.
Eppure uno sforzo verso l’oltre rispetto a quanto rappresentato, al rappresentarsi, probabilmente gioverebbe alla creazione, che si ferma poi troppo attorno alla tecnica e al simbolo. Invero non nuovissimo.
Il classico: si va bene, e allora?

 


L’AMORE IST NICHT UNE CHOSE FOR EVERYBODY (loving kills)
Collettivo Treppenwitz (IT/CH)

testo Simon Waldvogel, Thomas Couppey
con Thomas Couppey, Aurelio Di Virgilio, Camilla Parini, Anahì Traversi, Carla Valente, Simon Waldvogel
supervisione artistica Carmelo Rifici
regia Simon Waldvogel
Foto Martina Tritten

 

ROMEO, ROMEO, ROMEO
Joshua Monten (USA/CH)

coreografia Joshua Monten
danza
David Pallant, Max Makowski, Jasmin Sisti, Jack Wignall
drammaturgia
Guy Cools
prodotto
da Verein Tough Love
coprodotto da
Dampfzentrale Bern, Kunsten op Straat/Werkplaats Diepenheim
Foto
Jonas Kambli

 

BONDS
Teatr a Part (PL)

con Marlena Niestrój
movimenti scenici e coreografia
Marcin Herich e Marlena Niestrój
drammaturgia e regia
Marcin Herich

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