RITA CIRRINCIONE |  «Avevo pensato che ogni libro parlasse delle cose, umane o divine, che stanno fuori dai libri. Ora mi avvedo che non di rado i libri parlano di libri, è come se si parlassero tra loro».

Questa riflessione di Umberto Eco – riferendola non solo ai libri ma anche ad altre produzioni della creatività umana – mi è tornata in mente inoltrandomi nell’universo mitologico e poetico-musicale di Das Paradies und die PeriIl Paradiso e la Peri, il capolavoro di Robert Schumann in scena dal 24 al 29 ottobre al Teatro Massimo di Palermo nell’allestimento della Compagnia Anagoor: tra mito e letteratura, tra Oriente e Occidente, un dialogo ora visibile ora sotterraneo attraversa epoche e paesi, biografie individuali e leggende collettive, in un volo che dà le vertigini.

Ispirato a Lalla Rookh, racconto in prosa e versi del poeta irlandese Thomas Moore pubblicato nel 1817, l’opera narra la leggenda di una Peri, mitologica divinità persiana con le fattezze di una seducente creatura alata, che affronta un viaggio iniziatico in un mondo martoriato dalla guerra, dal dolore e dalla morte, alla ricerca di un dono che possa schiuderle di nuovo le porte del Paradiso dal quale è stata scacciata.

Quando, nella traduzione tedesca, Das Paradies und die Peri arriva a Schumann, egli ne viene subito attratto e vi scorge la materia per una composizione e, data la caratteristica epico-lirica del testo, concepisce un nuovo genere da concerto: né opera per la scena né oratorio destinato a un luogo di preghiera ma un «poema per voci soliste e coro per persone serene».
Siamo nel 1843. Il giovane Schumann si trova in una fase apparentemente felice della propria vita ma in lui già covano le prime avvisaglie dei disturbi psichici che lo condurranno a finire i suoi giorni in un manicomio. Nel travagliato percorso catartico di quella creatura fantastica che si nutre del profumo dei fiori, segnata da un’oscura colpa e pervasa da un insopprimibile e tenace aspirazione al divino, egli sente inconsapevolmente qualcosa che appartiene anche al suo destino di eletto condannato a precipitare nell’abisso, e quella serenità evocata nella definizione dell’opera ha più il sapore di un’invocazione che di una condizione d’animo goduta.

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Foto Rosellina Garbo

Il volto (spesso sfocato) del compositore – irrimediabilmente triste, gli occhi bassi, lo sguardo evitante, le guance rigate dalle lacrime – ritorna più volte come un leitmotiv nel video attraverso cui la Compagnia di Castelfranco Veneto ha realizzato la narrazione per immagini de Il Paradiso e la Peri: in quello che sembra un dagherrotipo d’epoca e che in realtà è una ripresa in un estenuante slow motion, Schumann è circondato dalla famiglia (la moglie Clara e i quattro figlioletti) ma nulla sembra stemperare quella mestizia paralizzante che, anzi, pare propagarsi anche su di loro.

Un enorme tappeto persiano steso dalla platea fino al fondo della scena – il muro di mattoni della parete di fondo suggestivamente illuminato come un antico monumento (le luci sono di Fabio Sajiz) – a ricoprire una larga gradinata in corrispondenza della buca interamente smontata; su di essa, disposti in semicerchio, con costumi di sobria foggia orientale, orchestrali, coro e solisti; un grande schermo quadrato che si staglia al centro della scena: questo l’impianto scenografico creato da Simone Derai, fondatore e leader della Compagnia Anagoor – Leone d’argento per il Teatro alla Biennale di Venezia 2018 – a cui il Teatro Massimo ha affidato l’allestimento del capolavoro di Schumann, con la direzione musicale di Gabriele Ferro.

Una scritta color rosa illuminata al neon campeggia sullo schermo a inizio e a conclusione dello spettacolo: sono i caratteri arabi del nome di Allah, principio e fine. Poi, a simboleggiare la cacciata della Peri dal Paradiso, il nome scompare lasciando lo sfondo nero su cui sarà proiettata la rappresentazione iconografica del viaggio alla ricerca del dono che le permetterà di esservi riammessa. Nel progetto artistico di Anagoor che ne ha curato regia, scene, costumi e video – con la consulenza di Klaus-Peter Kehr, drammaturgo tedesco studioso di teatro musicale – l’opera pensata da Schumann per le sale da concerto, pur attraverso la mediazione delle immagini-video, diventa un lavoro per la scena in cui la forza drammaturgica è affidata alle immagini proiettate più che ai movimenti scenici dei cinque solisti.

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Foto Rosellina Garbo

Il sangue di un giovane eroe che cade sfidando il tiranno e l’ultimo respiro di una vergine che muore di peste contagiata dal suo amato in fin di vita sono i primi due doni della Peri – entrambi connessi con la morte – che però non vengono accettati dall’Angelo del Cielo. A dischiuderle le porte del Paradiso saranno le lacrime di commozione e di rimorso di un criminale che, alla vista di un bambino in preghiera che stava per aggredire, si pente.

Le immagini di un Oriente leggendario e senza tempo delle tre tappe dell’itinerario di redenzione che nella storia originaria di Moore sono situate in India, Egitto e Siria, nel progetto registico e nella narrazione per immagini di Derai – frutto di una lunga fase di shooting in loco – sono attualizzate e collocate tra l’Iran e il confine turco-siriano martoriato dalla guerra.

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Foto di Franco Lannino

Quasi una graphic novel con effetto cartoon, l’interminabile sequenza di ritratti dei caduti della rivoluzione khomeinista posti ai bordi di trafficatissime strade, che vediamo scorrere incorniciati in cartelli a forma di tulipano tra lo sfrecciare dei mezzi: questa la prima tappa del viaggio della Peri in un mix straniante tra dinamismo delle riprese e fissità dei volti dei martiri.

Un cambio di passo e una trasposizione spazio-temporale nel secondo episodio: originariamente ambientato alle foci del Nilo, nel progetto artistico di Anagoor si sposta al Museo Egizio di Torino. I due amanti della storia nel video sono due ragazzi del nostro tempo – lei maghrebina, lui dell’Africa subsahariana – che si aggirano, forse in fuga da un mondo ostile, rincorrendosi tra i monumenti funebri e le antiche statue egizie in un gioco di specchi in cui i volti di oggi si riflettono sui volti mummificati custoditi nelle teche, in un continuo rimando tra passato e presente, tra vita e morte.

Nell’ultima tappa del viaggio, la sequela di facce sorridenti di siriani in fuga da una guerra devastante rappresenta un’umanità che aspira alla pace, che vuole redimersi come quel criminale le cui lacrime di pentimento riapriranno le porte del paradiso alla Peri.

Nel viaggio dell’anima di Il Paradiso e la Peri ad avere la meglio è dunque il sentimento di umanità che si compie solo nel riconoscimento dell’altro. E se il percorso di redenzione attraverso il pentimento, la preghiera e le lacrime – di ispirazione orientale e filtrato da simbologie e linguaggi europei della prima metà dell’Ottocento – può sembrare anacronistico per la sensibilità contemporanea, il senso di spiritualità universale della musica di Schumann (alla cui soglia ci fermiamo in un ascolto mistico da estasiato fruitore) e, soprattutto, il teatro di immagini ideato da Simone Derai, adesso più che mai parlano all’uomo del nostro tempo.

Come i tanti i viaggi di formazione e di iniziazione presenti nella letteratura e nella mitologia di tutti i tempi fatti di paradisi perduti, cacciate dall’eden, discese agli inferi, odissee e rette vie smarrite e di relative prove, peripezie e tappe da attraversare e superare per riconquistare la salvezza, il viaggio della Peri, con il suo insopprimibile bisogno di ricerca interiore, risuona nell’animo di ogni essere umano, ieri come oggi, perché, come il mito, «parla di ciò che non è mai accaduto ma che tuttavia è sempre».

 

DAS PARADIES UND DIE PERI (Il Paradiso e la Peri)
Oratorio profano in forma scenica

musica Robert Schumann
direttore Gabriele Ferro
progetto artistico Anagoor
regia, scene, costumi, video Simone Derai
consulenza drammaturgica Klaus-Peter Kehr
luci Fabio Sajiz
assistente alla regia Marco Menegoni
orchestra del Teatro Massimo diretta da Gabriele Ferro
coro del Teatro massimo diretto da Ciro Visco
Peri Sarah Jane Brandon
soprano Valentina Mastrangelo
mezzosoprano Atala Schöck
tenore Maximilian Schmitt
baritono Albert Dohmen
nuovo allestimento del Teatro Massimo
in collaborazione con Museo Egizio di Torino

 

Teatro Massimo, Palermo
27 ottobre 2019

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