LAURA NOVELLI |

Voi che vivete sicuri / nelle vostre tiepide case, / voi che trovate tornando a sera / il cibo caldo e visi amici: / Considerate se questo è un uomo / che lavora nel fango/che non conosce pace / che lotta per mezzo pane/che muore per un si o per un no./ Considerate se questa è una donna, / senza capelli e senza nome / senza più forza di ricordare / vuoti gli occhi e freddo il grembo / come una rana d’inverno. / Meditate che questo è stato: / vi comando queste parole. / Scolpitele nel vostro cuore / stando in casa andando per via, / coricandovi, alzandovi. / Ripetetele ai vostri figli. / O vi si sfaccia la casa, / la malattia vi impedisca, / i vostri nati torcano il viso da voi.

Questi celebri versi di Primo Levi, nella complessa maratona teatrale che Fanny & Alexander dedica allo scrittore piemontese, non ci sono. Non ci sono nella forma declamata o recitata o detta cui si presterebbe una loro restituzione al pubblico. Eppure, queste parole risuonano annidate dentro il significato più profondo della complessa trilogia di monologhi attraverso cui si ripercorre la vicenda umana e storica di Levi.

Una trilogia itinerante il cui titolo contenitore, Se questo è Levi, echeggia la declinazione interrogativa e processuale del celebre libro/testimonianza pubblicato nel ’47 (fu la piccola casa editrice Francesco De Silva a mandare in stampa la prima edizione dell’opera, successivamente edita da Einaudi), lavorando su materiali esclusivamente originari e d’archivio. Da anni, infatti, la compagnia ravennate sperimenta con successo la tecnica del remote acting e dell’etero-direzione (basti ricordare importanti lavori quali Him, West, Discorso grigio), mettendo in campo intuizioni espressive capaci, tanto più in quest’ultimo allestimento, di ribaltare la memoria in atto evenemenziale, la Storia in attualità, l’evocazione in un super-realismo quasi ossessivo.

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Basandosi su documenti audio quali interviste radiofoniche e televisive e su video recuperati dalle teche Rai o da youtube, Chiara Lagani (drammaturga) e Luigi De Angelis (regista) costruiscono qui un corpo di parole e testimonianze autentiche che, trasferite in cuffia all’interprete, diventano la voce che sta dentro e dietro la sua voce: una tessitura del dire che asseconda l’udito ma, a sua volta, attraversa il corpo performativo, vibrando di quelle piccole sfumature intime e personali che appartengono da sempre al mistero dell’Attore e alla riproducibilità della sua stessa Arte.

Da una parte c’è dunque un attore, lo straordinario Andrea Argentieri, che si incarica di essere Levi, e di esserlo nella misura in cui emerge dai documenti di partenza. Dall’altra, c’è il valore universalmente umano e imprescindibile di un racconto-simbolo che parrebbe e vorrebbe andare oltre l’interfaccia tra interprete e personaggio.
Lo spettacolo si articola in tre momenti diversi ma complementari, Se questo è un uomo, Il sistema periodico e I sommersi e i salvati, previsti in tre spazi architettonici e scenici distinti. Le repliche romane della pièce hanno visto il primo movimento svolgersi nel foyer del teatro Valle, il secondo a Palazzo Mattei e il terzo nell’ampio salone d’ingresso della Biblioteca Angelica. Un pellegrinaggio assorto nel cuore della Roma rinascimentale ha connotato i trasferimenti del pubblico da un luogo all’altro, consegnandogli la sensazione di essere dentro un disegno tratteggiato per dare ulteriore sostanza simbolica al tutto: il cammino non interrompe lo spettacolo interiore di ciascun partecipante, bensì lo anima, lo agita, lo sostiene. E il gruppo è realmente ‘gruppo’: testimone e allo stesso tempo materia viva del lavoro.

AndreaArgentieri_SeQuestoÈLevi_ph-EnricoFedrigoli_HighQ (6)Una scrivania di legno ben ordinata. Una lampada. Un portabiti. Levi/Argentieri entra con passo elegante. Si siede. Sistema con garbo pacato i suoi oggetti. Accende una “videoscrivente” e risponde alle domande che un giornalista gli pone via ‘skype’: il quadro d’apertura restituisce alla lettera il contenuto di un’intervista del 1985 che Levi rilasciò ad Alberto Gozzi per la Rai. Le voci dell’intervistatore e dell’intervistato si rincorrono con ritmo pensoso, mai enfatico, mai sovraesposto. Il rapporto con la memoria, con l’orrore del lager, con la chimica, con la scrittura, con la funzione dell’intellettuale è al centro di una conversazione lucida, arguta, tagliente che ragiona sul mostro Hitler, sul campo come luogo ideato scientificamente per la morte. Il tono del bravissimo interprete è distaccato, a tratti persino ironico, sospinto su un torinese delicato e musicale. C’è una ricerca di concretezza in queste straordinarie parole. Una ricerca di equilibrio e sincerità. La relazione con la Storia passa al setaccio di una dolorosa consapevolezza che si è fatta pensiero. E no: non c’è odio nelle risposte di Levi. Come non c’è odio nel suo libro-testimonianza, perché l’istinto di sopravvivenza, nell’inferno di Monowitz, «era più forte persino dell’odio».

Il movimento successivo attinge invece ad alcune pagine de Il sistema periodico (silloge di racconti pubblicata nel 1975). Argentieri indossa ora un camice bianco e tiene una conferenza su concetti scientifico-filosofici. Si parla di sublimazione, di distillazione, di cobalto, potassio, composizione della materia. Ma anche di anima, humanitas e – per contrasto – di mostruosità. Il filo tra passato e presente è sempre più teso: la chimica lo ha salvato dalla morte nel lager («Il lavoro rende liberi», scrive alla lavagna in tedesco) e sempre la chimica gli svela adesso, con razionale pragmatismo, che non può dirsi più un uomo chi è deprivato della propria anima; chi è ridotto allo stato di bestia; chi è costretto a perseguire solo bisogni primari quali mangiare, coprirsi, dormire. Tutto qua. Ineluttabilmente.

AndreaArgentieri_SeQuestoÈLevi_ph-EnricoFedrigoli_HighQ (2)Ma è la terza e ultima tappa quella che dà coesione e un vero e proprio sovratono di senso e di emozione alla maratona. Seduti intorno ad un lungo tavolo di legno massiccio della storica biblioteca romana, circondati da migliaia di volumi antichi, gli spettatori si ritrovano ora ad interrogare l’imputato, il testimone, partendo da alcune domande consegnate su un foglio dattiloscritto. Per alzata di mano, ci si incarica di chiedere. Di scavare. Di riaccendere dolori personali e collettivi. Di sollevare, in definitiva, la domanda centrale dell’intero spettacolo: quanto questa testimonianza sia, cioè, ancora oggi urticante; capace di parlarci attraverso la sensibilità di un attore – peraltro giovane – che si lascia attraversare dalla voce di Levi per dare a Levi la propria voce.

In quest’ultimo quadro, la drammaturgia attinge a I sommersi e i salvati (titolo del nono capitolo di Se questo è un uomo che verrà ripreso nell’86 come titolo di un emblematico saggio) ed è davvero difficile dire quale domanda o quale risposta sia la più cocente. Emerge forte l’idea che per sopravvivere a quell’inferno ci volessero fortuna, curiosità, conoscenze linguistiche, prestanza fisica. Che la memoria sia un dovere. Che la scrittura sia stata per l’autore un vero e proprio atto di sopravvivenza. Che sì. «l’annullamento dell’umanità dell’uomo si può ottenere».

L’interrogatorio dura poco, meno di un’ora. Argentieri passeggia lungo la sala avvicinandosi spesso ai suoi interlocutori. Mostra una contegno che parrebbe confliggere, o per lo meno entrare in dialettica, con lo sdegno per il dramma evocato. Ma è un contegno vincente, pietoso. Al termine del lavoro, – non a caso una trilogia: eco moderna della tragicità classica, ammesso che una catarsi oggi sia mai possibile – l’Attore si libera delle sue cuffie e legge la lettera che Levi scrisse al traduttore tedesco della sua opera più celebre. La testimonianza di verità passa ora attraverso la lingua e attraverso la ricerca di un linguaggio quanto più vicino a quello realmente usato nel campo. L’ossessione per il super-realismo, appunto. Anche qui il contegno vince sulla rabbia. La pacatezza sul viscerale. E l’effetto è ancora più acre. Indimenticabile. Encomiabile.

 

SE QUESTO È LEVI
(Se questo è un uomo – Il sistema periodico – I sommersi e i salvati)

regia Luigi De Angelis
drammaturgia Chiara Lagani
con Andrea Argentieri
produzione E/Fanny & Alexander

 

Foyer Teatro Valle,  Palazzo Mattei, Biblioteca Angelica – Roma
22 – 24 novembre 2019

 

 

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