LEONARDO DELFANTI | Francesca Gallo entra in scena come se entrasse a casa tua, chiedendoti il permesso, sapendo che il tempo che passerete insieme sarà un’occasione mondana, d’incontro, d’amicizia, un’occasione per cogliere un invito, magari in sospeso da qualche giorno a causa dei numerosi impegni della vita.
Francesca, appena entra in questa grande stanza che chiamiamo teatro, si presenta: «Sono trevigiana, sono una cantastorie e questa qui è la mia fisarmonica, l’ho costruita con mio padre dal legno di un pero di un amico di famiglia».

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Dal 2011 la Galliano & Ploner, marchio nato dalla fusione del marchio Ploner e della bottega di Luciano Gallo, costruisce fisarmoniche, organetti e armoniche a mantice partendo dalla scelta dell’albero, che Francesca descrive come la scelta più difficile, e arrivando a occuparsi di quasi tutta la trafila artigianale.
Della rinascita di questo mestiere, altrimenti perduto, si è occupato anche il programma Uno Mattina qualche anno fa.

Dopo aver presentato la sua storica compagna di avventure, Francesca parla della genesi dello spettacolo La Verità in Valigia, presentato al Festival Non C’è Differenza, presso il Teatro Laboratorio di Verona. «Si dice sempre che conoscere la storia sia un modo per non ripeterla» e allora parliamo di immigrazione, poiché davvero tra gli immigrati di ieri e quelli di oggi di differenza non ce n’è.

Tutto lo spettacolo è un intreccio apparentemente complesso tra esperienze di vita dell’artista, approfonditi studi sull’emigrazione veneta dall’Unità d’Italia a oggi, brani della tradizione popolare, amori e cinismo politico: vite vissute, schiacciate, dimenticate e poi registrate e che adesso live Francesca ci restituisce.
Il Veneto è sempre stato tra le prime tre regioni per numero di abitanti emigrati nel corso degli anni, dai tempi del Regno ai giorni nostri poco è cambiato: c’è chi emigra in maniera temporanea per andare in Austria, Svizzera, Germania o Ungheria e chi emigra per sempre dirigendosi in Sud America o negli Stati Uniti. Tra il 1876 e il 1903, anno in cui l’emigrazione si è ridotta considerevolmente, più di 360mila persone tra possidenti e braccianti sono partiti definitivamente, spinti anche da una politica di immigrazione tra i governi. Oggi si parla di “fuga di cervelli” ma non si tiene conto che ad emigrare sono anche coloro che, a metà o più della loro vita, hanno perso il lavoro o desiderano spendere i pochi risparmi in un paese dove le opportunità siano maggiori.
La verità è che, a eccezione dei periodi di guerra, in Italia l’emigrazione è sempre esistita.

Negli anni settanta sono stati individuati due fattori caratterizzanti l’immigrazione: la spinta e la trazione. Cosa spinge a muoversi e cosa porta a tornare indietro? Malattie, ingiustizie sociali, sovrappopolazione ma anche desiderio di rivalsa, opportunità economica, famiglia e senso di appartenenza.
Lasciare casa non è mai facile, né per chi parte né per chi resta.

A testimoniare i viaggi e le avventure di un intero popolo è rimasta una letteratura cantata vastissima in cui l’artista è cresciuta e della quale si è perdutamente innamorata; oggi diventata uno spettacolo dove racconto e canto popolare si alternano con maestria.
Così nel 2004 Francesca parte con lo scopo di ascoltare e salvare dall’oblio del tempo storie e canzoni di quanti hanno abbandonato definitivamente la “Porca Italia” invocata da Berto Barbarani, la stessa che ha sottoscritto protocolli, oggi ancora protetti dal segreto di Stato, allo scopo di inviare manodopera specializzata in cambio di materie prime ora all’America, ora al Belgio, ora al Brasile e molte altre nazioni in cui la comunità italiana è crescita ed è riconosciuta.
In Belgio visita le baracche dei minatori, quelli del disastro di Marcinelle del 1956, i pozzi a più di un chilometro di profondità, nei quali discende guidata dagli stessi italiani da cui è ospitata, con i quali canta, suona e documenta di famiglie che sono partite con un sogno e sono rimaste bloccate in una società razzista e discriminatoria. Poi è la volta del Canada, di tutti coloro che sono cresciuti convinti che in patria non sarebbero mai più tornati e che ogni giorno facevano l’alzabandiera cantando solo la terza strofa di Me compare Giacometo, non conoscendo l’Inno di Mameli, appena introdotto.

Il riso amaro o sincero che gli aneddoti delle avventure dell’artista evocano, supportato dalle numerose e dettagliate informazioni su più di un secolo di emigrazione veneta, lascia lo spettatore sazio di piacere, per la maestria tecnica con cui la cantastorie affronta la scena, e appagato per aver compreso qualcosa della propria terra che sempre ha creduto di conoscere, ma che altrimenti sarebbe rimasto un argomento confuso.

La passione per il tema dell’immigrazione Francesca Gallo la coltiva sin da bambina, quando sua nonna le parlava del Canada «de là del mar grando», dove molti veneti, e non solo, sono emigrati; perché la storia di coloro che lasciano la propria terra con una valigia, sia di cartone o un trolley, lei la voleva conoscere e per questo, appena ha potuto, è partita per registrare storie e cantare canzoni.

La Verità in Valigia è una riflessione sincera, spontanea e disarmante di una vita passata ad ascoltare quelli che sono stati dimenticati ma che non si sono mai scordati di casa loro, delle montagne, dei morti in mare o in miniera, della lingua natia.

 

LA VERITÀ IN VALIGIA

di e con Francesca Gallo

Teatro Laboratorio di Verona
29 novembre 2019