hqdefault.jpgRENZO FRANCABANDERA | Per quale ragione l’opera, i testi di Pirandello incontrano una certa difficoltà ad essere riproposti tal quali nel teatro del tempo presente?
I motivi sono diversissimi: vanno da questioni lessicali e di strutturazione della sintassi, a quel mélange fra ispirazione delle vicende da fine vaudeville e impasto psicanalitico da interno di inizio Novecento che, dopo le varie rivoluzioni culturali di genere (anche se mai acquisite una volta per tutte) e l’avvento della cultura digitale, sembrano mostrare il tempo. Così molte sue opere paiono invecchiate e iniziano a faticare a ritrovare spazio nella programmazione dei circuiti maggiori. Eppure, come altri autori della tradizione del teatro ad ampia diffusione popolare come Eduardo, Scarpetta ecc, la sua presenza negli allestimenti delle compagnie non professionistiche continua a essere vigorosa, perché Pirandello è autore comunque centrale dell’immaginario teatrale nazionale, pur a quasi un secolo dalla sua scomparsa.
Tale centralità è dovuta alle questioni, le relazioni umane archetipiche, sottese al suo teatro, i temi profondi della rappresentazione, che restano attuali.
Per questa ragione, gli ultimi anni stanno invece conoscendo un ritorno all’autore, ma nella forma sempre più frequente della riscrittura. A un secolo di distanza dalla sua definitiva maturità stilistica, Pirandello resta vivo nell’immaginario nazionale, ma il teatro sente il bisogno di tornare sui suoi testi e di riferirli ad un presente di relazioni coerente con l’oggi.

1 SOLI_pic di Federica Patti
Questo riguarda, per esempio, anche lo spettacolo SOLI di Ateliersi, collettivo di produzione artistica bolognese che opera nell’ambito delle arti performative e teatrali (spettacoli, performance, scritture, progetti editoriali, formazione) e cura la programmazione culturale dell’Atelier Sì; la compagnia è attiva da quasi un decennio ed è nata su impulso di Fiorenza Menni (direzione artistica, attrice e autrice, precedentemente attiva fino al 2009 in Teatrino Clandestino) e Andrea Mochi Sismondi (direzione artistica, attore e autore). A loro si sono uniti Giovanni Brunetto (direzione tecnica e arti sonore), Elisa Marchese (amministrazione e organizzazione), Tihana Maravic (progettualità e comunicazione), Diego Segatto (arti web e grafiche) oltre a numerosi altri collaboratori artistici e consulenti che vengono coinvolti di volta in volta sui singoli progetti.

Lo spettacolo, presentato di recente presso la loro sede di Bologna, è la seconda tappa del percorso di approfondimento e riscrittura dell’opera di Luigi Pirandello iniziato nel 2017 con In Your Face. La ragione di questo è proprio nelle dinamiche di relazione che le opere di Pirandello portano in evidenza così compiutamente, ovvero la necessità di «portare alle estreme conseguenze le contraddizioni che emergono nelle relazioni tra umani, proiettando le inquietudini, la ferocia e la determinazione pirandelliana nell’ambito relazionale contemporaneo» come specificato nella dichiarazione di intenti sul lavoro.

Il metodo di riscrittura adottato dagli artisti per SOLI è quello di rielaborare l’intuizione alla base di Pensaci, Giacomino! ponendola in relazione con i materiali raccolti durante un percorso di interviste, assemblee e incontri pubblici sul tema del lavoro, innestando nella vicenda pirandelliana, l’esperienza diretta di un incontro reale che ha cambiato per sempre lo sguardo degli autori.

La trama di Pensaci, Giacomino! è quella del professor Toti, docente liceale di scienze, dal profilo morale ineccepibile e forse proprio per questo isolato dal contesto. Quasi per vendetta rispetto a una società dalle regole crudeli, prende in sposa Lillina, una giovane del paese che aspetta un figlio da Giacomino, un giovane di paese, in una relazione extra coniugale (al tempo circostanza assai scandalosa).
L’intenzione è quella di permettere un futuro economico ai due. Ma pian piano le dicerie, il paese, le figure archetipiche del benpensare – quelle che De Andrè metteva in processione in Bocca di Rosa – iniziano a mettere sotto processo l’anziano e a pressare il giovane perché esca da questa condizione di subalternità relazionale.
Menni e Mochi Sismondi trasportano la vicenda nel nostro tempo, il docente diventa un universitario bolognese, Serti, e il duo, un po’ borderline, è composto da Cristian e Cristina, un po’ immigrati, un po’ emarginati, un po’ in cerca di collocazione in una città che accoglie, sì, ma fino a un certo punto.
Serti fa ai due la stessa proposta “indecente” del Toti di Pirandello, per salvare le apparenze, ma anche qui fra la copertura e il suo riuscire nell’intento benefico ci saranno degli inciampi.
La resa scenica è quindi non a caso triangolare.
Vertice del triangolo e prossimo al pubblico il tavolino dove i due racconteranno, fra dialogo diretto e narrazione in terza persona, la vicenda di cui nella finzione scenica, a tratti sono o sembrano anche protagonisti. Una narrazione epica che riferisce ciò che è avvenuto, ma sembra restate volutamente sul bordo dell’ambiguo con un reale possibile dei personaggi stessi.
Sul fondo della scena gli altri due vertici del triangolo.
A sinistra la postazione occupata da Vincenzo Scorza, cui si deve l’esecuzione live di una vera e propria controdrammaturgia techno-ambient ad alta intensità emotiva. Non di rado il processo creativo sulla scrittura di scena parte proprio dagli stimoli sonori nella pratica di Alteliersi.
A destra un grande tavolo illuminato, come d’altronde quello di Scorza, da tre (immaginiamo scelta numerologica non casuale) luci che rivelano intermittenza frequente – tanto da rendere necessario l’alert all’ingresso per chi soffre per questo tipo di stimolazione visiva.
Al tavolo si affannano tre ricercatrici Margherita Kay Budillon, Eugenia Delbue ed Ester Silverio che, a mo’ di detective, cercano fra le scartoffie della burocrazia la verità, in questa relazione tra identità e dimensione lavorativa nelle strutture sociali contemporanee. Le tre sono di tanto in tanto impegnate in qualche intervento vocale off rispetto alla vicenda principale e in talune dinamiche di costruzione di scena iniziali, dalla necessità invero non del tutto salda e comunque troppo prolungate.
Il fuoco concettuale della creazione mira ad indagare la capacità di compiere scelte divergenti che permettano di migliorare le condizioni di vita di altri esseri umani. Insomma le tre al tavolo sul fondo dovrebbero incarnare in controluce il pretesto creativo, dare il senso delle indagini che hanno condotto a ciò che viene rappresentato.

Ma SOLI gioca anche con i piani di realtà, espandendo in più casi la relazione agli spettatori. Pur non essendo personalmente un fan di questo genere di aperture – la cui necessità dovrebbe avere una sua portata essenziale nelle creazioni spettacolari – in questo caso la questione diventa pretesto per capire quanto il pubblico sappia delle dinamiche liquide del mercato del lavoro nelle sue forme estreme: quanto guadagna e che tutele assicurative ha l’omino che porta i pasti a domicilio al servizio delle piattaforme online dello sfruttamento su due ruote? Glovo, Deliveroo fanno così figo e hanno sostituito la miserabile schiscetta portata da casa, segno di ineguagliabile degrado sociale, insieme ai contenitori finto-sottovuoto anni ’80. Queste sono solo piattaforme di disintermediazione del lavoro dal rapporto contrattuale da dipendente. Trasformano tutti in lavoratori a cottimo senza tutele.
Nella replica cui ho assistito, dopo tre quattro balbettii e intuizioni di buona volontà ma di sostanziale ignoranza, interviene una persona giovane (forse organico alla creazione? È il Lorenzo Righi di cui si fa menzione nei crediti? Forse un semplice rider spettatore, o comunque uno inserito credibilmente nel pubblico, come a sembrare partecipante ma senza esserlo) che spiega invece a tutti come va la faccenda: le mancate tutele, la vita miserabile e a prestazione dei nuovi sfruttati.
Nella costruzione del testo si afferma in ultima analisi la costrizione implicita nelle forme del lavoro attuali: da come si deve approcciare un colloquio, alle finzioni miserevoli per presentarsi, come mostrarsi, cosa mostrare; un monologo in cui, pur essendo assente la parola lavoro, la questione incombe perché di lavoro si parla ma a conti fatti manca, in un’accumulazione iperbolica di sintagmi in cui è assente quello poi essenziale.
Dopo un paio di palleggi con il pubblico, mentre la vicenda fra il professore, Cristian e Cristina subisce i manrovesci della Fortuna, si arriva ad un finale aperto ma non troppo, inno “antigoneo” alla ribellione alle regole sociali per affermare la morale. In sala chi ha trasgredito alla legge pur di arrivare a difendere diritti altrui, viene invitato ad alzare la mano, invero con un quesito ambiguo, che mi lascia un po’ spiazzato sull’alzare o meno.

3 SOLI_pic di Federica Patti

Il palleggio drammaturgico con il pubblico comunque funziona, la creazione ha una sua dinamica avvincente.
Da sistemare il vertice del triangolo delle scartoffie burocratiche, che in questo momento ha più un’esigenza simbolico-pitagorica che una sua consistenza drammaturgica tale da renderlo vertice credibile di pari forza e intensità rispetto agli altri due, occupati rispettivamente dalla recita faccia a faccia di Menni e Mochi Sismondi  e da Scorza.
I primi, come detto, raccontano (e in parte agiscono) la vicenda, come fossero al tavolino della mensa (usando la modalità straniante della parola a microfono, cifra frequente del teatro della compagnia), il musicista pesta potentemente ritmi in 4/4 (mentre per In your face aveva scelto sfumature più drum’n’bass).
Quanto invece alla funzione del pubblico, lo spettacolo vorrebbe quasi finire con una foce a delta, trasformarsi in assemblea come avrebbe voluto Erwin Piscator (ma viene fatto riferimento dalla compagnia anche alla visione del Living Theatre su Pirandello e alle prime opere di arte relazionale di Maria Lai).
Qui a Bologna, nella replica ad Ateliersi, si finisce per dibattere con il prof. Guccini, che ha seguito con il suo corso l’evolversi della questione drammaturgica della riscrittura pirandelliana, e le suggestioni che emergono riguardano molteplici fronti, a testimonianza che un bisogno di parlare la società, almeno quella che frequenta le sale teatrali, pare averlo. Una signora che lavora per i servizi sociali qui in città ci conferma come nella comunità cittadina si stia facendo strada “la rivolta dei pensionati”, che spesso abbandonati da figli e parenti finiscono per lasciare eredi i badanti, che sono le persone che colmano il vuoto relazionale, altro versante doloroso della società a cottimo.
Si lavora fino allo sfinimento e salta la rete del tessuto familiare.
Certo di soli ce ne sono tantissimi, e la maggior parte resta fuori dalle sale teatrali. Magari mentre ci leggete, qualcuno di loro sta appunto spingendo i pedali in bici, dorme sotto i portici o in qualche caritas, anche senza per forza venire da chissà dove, e avrebbe bisogno di gesti dirompenti.
Qualcuno che li compia poi nella realtà occorre.
Pensaci, lettore!

 

SOLI!

di e con Fiorenza Menni e Andrea Mochi Sismondi
e con Margherita Kay Budillon, Eugenia Delbue, Lorenzo Righi, Ester Silverio
musiche composte ed eseguite da Vincenzo Scorza
direzione tecnica Giovanni Brunetto
comunicazione e promozione Federica Patti
organizzazione e amministrazione Elisa Marchese
produzione Ateliersi
con il sostegno di Comune di Bologna, Regione Emilia Romagna, MIBAC
is ringraziano Fratelli Broche, Friperie, Antica Bologna, Cerimoniale del Comune di Bologna
foto di scena Giovanni Brunetto e Luca Del Pia