LAURA NOVELLI |C’è un legame forte tra Io non ho mani che mi accarezzino il viso del 2017 e I POETI MALEDETTI _ n.1 Io e Baudelaire _ Who wants to live forever?, nuova pregevole produzione della compagnia Biancofango presentata nelle sere scorse al Teatro di Villa Torlonia di Roma e presto, ci auspichiamo, in programma in altre sale della Penisola. Un legame annodato, a ben vedere, con doppio nodo. Perché la coppia formata da Francesca Macrì (drammaturga e regista) e Andrea Trapani (interprete e coautore della drammaturgia) prosegue qui quell’indagine sull’innesto tra immedesimazione e straniamento, finzione e autobiografia, personaggio e interprete felicemente affrontata nel precedente lavoro e perché ciò che quel precedente lavoro, il cui titolo richiama uno splendido verso di David Maria Turoldo, lasciava solo intravedere (cercare un senso all’esistenza credendo forsennatamente nella propria poesia di individui e di artisti) diventa ora materia incandescente, imbastita su un quesito altrettanto incandescente: come può la poesia farsi realmente teatro? Come possono, cioè, i versi di Baudelaire tradursi in corpo scenico? In sudore, visione, scrittura attoriale, musica, parola recitata e non semplicemente detta?

Poeti Maledetti - foto di Olimpia Nigris Cosattini

Lo sguardo della compagnia si posa dunque dentro le parole ‘“oscure, taglienti e saettanti” del grande poeta francese e, traducendo, selezionando, componendo secondo traiettorie simboliche e analogiche il vasto materiale a disposizione, sembra spingerle in una zona di confine dove entra a gambe tese la necessità di sovrapporre la voce di Baudelaire a quella dell’interprete stesso, chiamato a un gioco pericoloso ma vitale: essere un attore, un pianista, un artista nel labirinto della propria partitura e al contempo solo Andrea, un uomo che si espone alla propria personale biografia ritrovando negli eccessi, nella rabbia, nelle inquietudini dei versi, qualcosa – o forse molto – di sé. E ritrovando, tanto più, in questo essere e non essere personaggio l’occasione di un attraversamento  della propria memoria che trasforma quello stare lì, sul palcoscenico, in un precipizio di umanità.
I grandi temi della paura, della fragilità, del fallimento, della morte diventano perciò un tappeto comune dove adagiare poesia, pianoforte (suonato dal vivo dallo stesso Trapani con estrema maestria), luci, riferimenti personali quali Nanni Moretti o Freddy Mercury. Icone giovanili usate qui come personaggi più volte citati e come elementi imprescindibili della drammaturgia.

In questo tappeto emotivo, straziante ma carico di energia, c’è spazio persino per il pubblico, visto che la regista, delicatamente incisiva nel sottolineare i diversi piani drammaturgici della pièce, sceglie di posizionarlo sul palcoscenico, vicinissimo all’area della rappresentazione. Un luogo che è esso stesso dentro e fuori. Da cui guardare, come in un cannocchiale rovesciato, la sala e la platea, e nel quale abbandonarsi ad un’esperienza di teatro totale. Se, infatti, l’impronta brechtiana ereditata dallo spettacolo del 2017 si fa maggiormente raffinata e “filosofica”, l’impressione più vivida che resta dopo aver assistito a Io e Baudelaire (cui seguiranno altre due performance dedicate sempre ai poeti maledetti) è quella di una vera e propria sinestesia poetica tradotta, trascinata, trasfigurata in intelligente linguaggio teatrale.
Bastano pochi appigli. Un pianoforte rivolto verso la sala. Un microfono. Una maschera d’asino (limpido omaggio a Marco Martinelli e al prologo “asinino” delle Albe). Bastano poi la poesia modernissima di Baudelaire, la musica classica. Quella pop e rock. Qualche caldo gioco di luce. Il corpo dell’attore. Un attore che suona e recita spesso di spalle. E che racconta molto di sé. Racconta, ad esempio, di quel concerto di Pollini alla Pergola che iniziò con ore di ritardo e alla fine del quale lui capì che il grande maestro «aveva PAURA». Racconta di quei film di Nanni Moretti in cui l’IO chiede udienza e voce e credibilità. Di quegli anni scolastici fallimentari. Di quella grande passione per la musica, per il cinema, per la poesia, appunto: «Ma se uno da piccolo legge di nascosto le poesie, da grande, cosa può diventare?» E soprattutto: chi è un POETA?  Forse è uno che sa pensare e sentire queste parole: «Se lo stupro, il veleno, il pugnale, l’incendio / non hanno ancora abbellito con piacevoli fronzoli / il banale copione dei nostri tristi giorni / è perché non siamo abbastanza coraggiosi». E queste altre: «Dio del Buonumore, cosa ne sai tu dell’angoscia, / della vergogna, dei rimorsi, dei singhiozzi, della noia / e di quel confuso terrore che in certe terribili notti / ci accartoccia il cuore?». Forse è uno come noi. Uno che scrive lettere disperate alla madre. Che si angoscia. Che si agita nelle gabbie della vita. Che trema.

Poeti Maledetti - foto di Olimpia Nigris Cosattini 02

Andrea-Baudelaire-Moretti-Mercury risponde a questa domanda come può e sa fare. Attraverso un continuo travaso di ricordi, citazioni, immagini, il bravo interprete ci regala una prova molto matura e, diremmo, quasi lirica: i lineamenti appaiono distesi, aperti al sorriso, la voce è spesso cauta, lieve. Poi si fa altisonante e furiosa. Ma mai ombrosa, cinica. Mentre recita e/o parla di sé, suona. Il repertorio spazia da Beethoven a Mozart, da Schubert a Benedetto Marcello e Bach, passando per De Gregori, Jannacci, Conte, Bohemian Rapsody dei Queen, brano che chiude la pièce. Complici una parrucca e un ultimo slittamento identitario, la poesia di Andrea chiede ora quasi urlante: «Who wants to live forever?». E solo in apparenza il suo accostamento di echi, citazioni, passaggi onirici e misteriosi può sembrare illogico. Perché – è vero –  illogiche possono suonare le risposte che cerchiamo di darci ogni giorno per sopravvivere. Mai le domande: «Dio della Fortuna, della Gioia e della Luce / persino Davide in punto di morte / ti avrebbe chiesto un miracolo, / ma io, Dio, io non ti chiedo altro che preghiere».

E allora, rileggiamo Baudelaire! La sua modernità può stupirci ancora. La sua teatralità ancora di più. «Di solito gli autori si avvicinano – scrive Giovanni Macchia nel folgorante incipit dell’introduzione all’edizione dei Meridiani – e si allontanano da noi, come le navi di carta che osserviamo immoti dalla riva. Per Baudelaire […] la visione è rovesciata. Come in quei prodigi d’ottica che ingannano i sensi, egli si avvicina a noi mano a mano che il tempo sembra distaccarlo, e la sua figura farsi più evanescente. Il mondo cambia […] ma ci accorgiamo che esso assomiglia sempre di più al mondo terribile e affascinante che il nostro poeta ammobiliò, indagò, sognò, accettò o respinse. Baudelaire aveva ragione. La nostra epoca è divenuta sempre più “baudelairiana”. E’ divenuta baudelairiana senza che noi siamo tornati indietro d’un passo».

6J0A7719-copia-768x512

Per restare in tema di fragilità e di paure, segnaliamo che Biancofango è attualmente in cartellone al Teatro Verga di Catania con il progetto Romeo e Giulietta, ovvero la perdita dei padri, quarta tappa di un vasto percorso pedagogico e artistico intorno alla tragedia shakespeariana che, già portato a Roma, Napoli e Genova, si concluderà nel 2021.

I POETI MALEDETTI _ n.1 Io e Baudelaire_Who wants to live forever?

un progetto di Biancofango
con Andrea Trapani
drammaturgia Francesca Macrì e Andrea Trapani
traduzione dal francese Francesca Macrì e Andrea Trapani
regia Francesca Macrì
luci Gianni Staropoli
consulenza al pianoforte Irene Ninno
direzione tecnica Massimiliano Chinelli
Produzione Fattore K

Teatro Torlonia, Roma
1 dicembre 2019